WASHINGTON — I media
di tutto il mondo, da i più diffusi quotidiani europei alla più oscura
radio-tv nepalese, saranno sottoposti in futuro al costante controllo di
un Grande fratello elettronico americano «per identificare potenziali
minacce agli Stati Uniti». Un «software» o programma in preparazione alle
università di Cornell, di Pittsburgh e dell’Utah consentirà alla
Superpotenza di registrare «le opinioni negative» su di essa o sui suoi
leader espresse dalle testate o dagli autori degli articoli. In casi
estremi, il programma, una «sentiment analysis» (analisi del sentimento,
ossia degli orientamenti politici) varata dal Ministero della sicurezza
nazionale, porterà all’adozione di misure preventive.
Lo ha svelato ieri il New
York Times, a cui il coordinatore dell’iniziativa, Joe Kielman, ha
spiegato che gli Usa «devono potere distinguere tra la critica e
l’aggressione». Il programma, per cui l’amministrazione ha stanziato 2
milioni e mezzo di dollari, e che sembra sia stato suggerito dalla Cia, è
già in corso in via sperimentale. Il «software» sta esaminando centinaia
di articoli del 2001 e 2002 su Guantanamo, il campo di internamento dei
terroristi a Cuba; sull’uso del termine «asse del male» (Corea del nord,
Iran, Iraq) da parte del presidente Bush; sull’effetto serra; e sul
fallito golpe contro il leader venezuelano Chávez. Tutte vicende o
posizioni che hanno generato aspre denunce dell’operato della Casa Bianca.
Sebbene Kielman sostenga che il Grande fratello elettronico non
sorveglierà i media americani, perché vietato dalla legge, le ricerche in
corso vertono non solo su voci straniere come l’Agence France Press e The
Dawn, un quotidiano pachistano, ma anche su voci interne come il New York
Times e il Miami Herald.
I media stranieri vengono
già monitorati dalle ambasciate Usa e dagli agenti della Cia e
dell’Fbi sul posto. Ma questo spionaggio elettronico, il versante
mediatico delle intercettazioni globali telefoniche e delle «email»
condotte dalla National Security Agency, non ha precedenti, e ha suscitato
furenti reazioni. Lucy Dalglish, una dirigente di Freedom for the press
(Libertà di stampa), lo ha definito «un incubo orwelliano». E Mark
Rotenberg, il direttore dell’Electronic privacy information center (Centro
della riservatezza della informazione elettronica) ha auspicato che venga
abolito. «È agghiacciante» ha protestato. «È una violazione dei diritti
civili. Ricorda il programma spionistico del Pentagono del 2002, a cui si
oppose persino il Congresso, così ossequiente a Bush». Claire Cardie e
Jaynice Wiebe della Università di Pittsburgh sono due dei programmatori
della «sentiment analysis». Hanno dichiarato al New York Times che ci
vorrà qualche anno prima che il programma non commetta errori, al momento
frequenti, «e segnali con esattezza le esternazioni più forti di
antiamericanismo». E hanno ammesso che il suo impiego potrebbe porre
«problemi giuridici».
Ma hanno affermato che
servirebbe anche a fare capire meglio all’amministrazione «che cosa
pensano all’estero» e contribuirebbe a plasmarne le politiche. Non è il
parere del politologo Larry Sabato, un esperto dei media: «Il principale
effetto di un’iniziativa del genere — ha obbiettato Sabato — è di creare
un clima di censura. Quante testate e giornalisti americani non solo
stranieri continuerebbero a esprimere liberamente le loro opinioni? Non
c’è bisogno di questo programma per scoprire quali siano le pubblicazioni
estremiste nel mondo».
Ennio
Caretto