Sri Lanka: la soluzione militare ha ripreso il sopravvento



Sri Lanka: la soluzione militare ha ripreso il sopravvento

Da più di un mese sono ripresi seri scontri armati tra il Governo dello Sri Lanka ed il gruppo separatista LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam). Se già dal novembre dello scorso anno esercito e guerriglieri avevano iniziato nuovamente a fronteggiarsi, è a partire dalla fine del mese di luglio che i combattimenti si possono, senza alcun dubbio, definire ad alta intensità e dunque essere tradotti con il termine “guerra”.

Angelo Valsesia

Equilibri.net (04 settembre 2006)

Motivi del rancore

Il rancore ha origini lontane, che si possono già ascrivere al governo di Solomon Bandranaike che proclamò il cingalese unica lingua ufficiale ed il buddismo religione di Stato (1956). Il popolo d’etnia Tamil (circa il 13% della popolazione), d’origine indiana e religione induista, presente nel nord-est del Paese, apprese la notizia come una chiara volontà da parte del governo centrale di voler creare disparità di diritti e libertà. In un primo momento l’opposizione tamil si svolse principalmente sul piano politico e lo stesso Bandranaike propose delle aperture alla minoranza etnica. La reazione cingalese (74% della popolazione) fu senza proporzioni ed il Primo Ministro fu assassinato da un monaco buddista nel 1959. La moglie di Bandranaike, Sirimavo, lo sostituì nella carica ed acuì le politiche nazionaliste inizialmente proposte dal consorte, non facendo partecipare rappresentanti Tamil alla stesura della Costituzione del 1972 né del 1978. In quegli anni nascono i primi gruppi clandestini che osteggiano i provvedimenti del governo centrale e nel 1976 nasce il movimento armato LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam) la cui opposizione è violenta, caratterizzata da metodi di guerriglia e dalla pratica degli attentati suicidi. La contestazione è vivamente appoggiata dall’intera popolazione e lo dimostra che l’anno successivo (1977) il partito separatista Tamil conquista tutti i seggi della penisola di Jaffna, nel nord del Paese. Dal 1983 è guerra aperta, con la conseguente repressione del Governo di Colombo. Il soffocamento dell’insurrezione Tamil è basato su una linea dura, che sfocia in quella che tecnicamente può essere definita “pulizia etnica”, con la fuga di circa 65.000 tamil verso l’India, loro terra d’origine. Le violenze si sono arrestate soltanto nel 2002 quando le due parti hanno firmato un cessate-il-fuoco, grazie alla mediazione della Norvegia.

I recenti avvenimenti

Anche se il rispetto del cessate-il-fuoco è sempre stato relativo, le violenze si sono nuovamente intensificate nel novembre del 2005, allorquando le elezioni presidenziali sono state vinte da Mahinda Rajapakse. La campagna elettorale di Rajapakse è stata basata su una linea dura a riguardo delle trattative di pace con i rappresentanti Tamil. Inoltre ha sostenuto che in qualunque caso il conflitto si sarebbe indubbiamente concluso all’interno di un unico Stato. La frase assume particolare valenza se si considera che dal 2002 in poi diverse ipotesi alternative erano state proposte da entrambi gli attori in gioco. Una delle prime proposte del LTTE fu quella dell’Interim Self-Governing Authority (ISGA). Questo Governo provvisorio avrebbe rappresentato gli otto distretti in cui è divisa la regione settentrionale, e sarebbe stato composto dai gruppi etnici e religiosi della zona con una particolare attenzione al rispetto dei diritti umani. Tuttavia sia il Governo sia lo stesso gruppo separatista non hanno mai veramente creduto in questa opzione, rifiutandola o ritornando sui propri passi. Altra soluzione sembrava quella federalista, ma anche per questa vale lo stesso discorso di cui sopra.
Le ultime elezioni presidenziali sono poi state caratterizzate da altri due fondamentali problemi. In primo luogo, Rajapakse si è avvalso del sostegno sia del partito marxista sia di quello dei monaci buddisti, da sempre ferocemente contrari ad una soluzione di compromesso con il LTTE. Molto probabilmente è per questo motivo che la campagna elettorale è stata posta in relazione ad uno scontro, più che alla ricerca di una soluzione, con i rappresentanti Tamil. È grazie al loro appoggio che Rajapakse è riuscito a vincere le elezioni con un margine minimo (50,29%). Qui subentra la seconda problematica: il popolo Tamil ha disertato le elezioni su scelta dello stesso LTTE. Nel nord del Paese i tassi d’astensionismo non sono mai stati così alti, sintomo che il LTTE ha ancora un’ampia influenza sulla popolazione, e solo per citare l’esempio più eclatante, nella penisola di Jaffna, su circa 62.000 elettori hanno preso parte alle elezioni in 455. La scelta del LTTE era indirizzata ad impedire l’elezione dell’altro candidato, Ranil Wickremesinghe, favorito nelle zone del nord. Wickremesinghe è difatti personalità d’alta caratura e gode dell’appoggio internazionale (sopratutto degli USA) per le sue scelte economiche e per le sue politiche di compromesso con gli stessi Tamil. Conseguentemente le “Tigri Tamil” temevano un assoggettamento delle loro volontà a quelle di Wickremesinghe, con il timore che le proposte fossero poste in secondo piano.

Attori ed errori

Nel giorno stesso delle elezioni, il 17 novembre, vi sono state le prime esplosioni d’ordigni solitamente utilizzati dalle Tigri Tamil. Così si può osservare che entrambi i principali attori in gioco si sono mossi prima e dopo le elezioni in maniera azzardata. Da un lato il Presidente Rajapakse ha calcato troppo la mano ricercando una base elettorale avversa alla soluzione con i Tamil e sostenendo, anche recentemente, che non è in atto alcun tipo di conflitto con la minoranza del nord. Dichiarazioni che volevano porre in secondo piano gli scontri ed i numerosi morti (più di 1.000 dall’inizio dell’anno), ma che hanno provocato così le ire delle Tigri Tamil. Si denota dunque che per un ritorno elettorale, il Presidente ha eroso quelle che erano le già fragili basi del processo di pace.
D’altro canto anche le mosse del LTTE sono state alquanto sconsiderate ed i vantaggi derivati dall’uso della violenza non hanno certamente, almeno sino ad ora, fatto pendere la bilancia dalla parte del gruppo separatista. Gli obiettivi del recente uso così esplicito della forza militare possono essere diversi: dal provocare il Governo e spingerlo a reagire con rappresaglie, con la speranza che gli valessero un discredito internazionale, all'ampliamento dell'aerea sotto controllo dell'LTTE. In ogni caso bisogna rilevare che le caratteristiche (militari, economiche e sociali) dei due principali attori non sono tali da far prevalere un soggetto sull’altro. Si andrebbe così a finire ad una sostanziale guerra di logoramento, che, in fondo, non è altro che quello che già sta accadendo: le due forze si contrastano soprattutto attraverso colpi d’artiglieria, di mortaio e gli scontri non hanno alcuna caratteristica tipica delle guerre di movimento, se si escludono gli attacchi aerei governativi su obiettivi, anche civili, nel nord del Paese. Un altro obiettivo, forse più sensato, dell’uso della forza è far valere i relativi vantaggi che ne deriverebbero in sede di trattative e durante i colloqui di pace, in modo tale da avere qualche “carta” in più da giocare. Tuttavia c’è un altro fattore che non permette la quadratura del cerchio: il LTTE ha sino ad ora sempre rifiutato i colloqui di pace ed anche l’ultima volta in febbraio, dopo aver spinto per un incontro in sede europea, hanno fatto saltare gli incontri a Ginevra. La giustificazione è stata che la violenza governativa era esagerata e la partecipazione ad un nuovo round di colloqui sarebbe stata rispettata solo al ritorno di una situazione “normale”. Così sono saltati anche i conseguenti incontri organizzati per il mese d’aprile. La scelta pare un non-senso perché sarebbe proprio in tale contesto che si potrebbe rilevare alla comunità internazionale l’uso non proporzionato e gli abusi delle forze governative.
Oltretutto un compromesso tra i due contendenti pare ulteriormente allontanarsi sia per il reiterato uso della forza, sia per la negazione dello stesso nelle comunicazioni ufficiali. Entrambi si accusano di aver iniziato gli scontri, entrambi fanno rimbalzare le rispettive responsabilità, entrambi sottolineano le promesse non mantenute dall’avversario. In una situazione del genere è estremamente difficile che Governo cingalese e minoranza Tamil scendano a compromessi. Ad aggravare ulteriormente la situazione è intervenuta anche l’Unione Europea, che ha inserito, in un momento in cui il sostegno al processo di pace era fondamentale, il LTTE nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, congelando così tutti gli averi degli immigrati Tamil in territorio europeo. È risaputo difatti che il LTTE è soprattutto finanziato dalle numerose comunità presenti in Europa e negli USA. Proprio qui il 22 agosto sono state arrestate otto persone per diversi crimini, tra cui il tentativo di corruzione di pubblici ufficiali per la cancellazione del LTTE dall’elenco delle organizzazioni terroristiche e per il tentativo di procurare armi alla stessa organizzazione.
La scelta europea ha scatenato la reazione dei ribelli separatisti che hanno invitato i rappresentanti europei della SLMM (Sri Lanka Monitoring Mission) a lasciare l’isola. Così Danimarca, Finlandia e Svezia hanno ritirato i rispettivi personali lasciando Norvegia ed Islanda in una situazione non facile da gestire. Viste le conseguenze, per l’Unione Europea sarebbe stata mossa migliore minacciare un potenziale inserimento del gruppo nell’elenco dei terroristi o altrimenti congelare solo temporaneamente i loro averi. Ovvero far capire che solo applicando una politica compromissoria, anche per ciò che riguarda le forze governative, la situazione avrebbe potuto effettivamente cambiare.

Conclusioni

Ciò che effettivamente manca ai rappresentanti dei due schieramenti è una visione globale e complessiva dei rispettivi rapporti. Governo e LTTE hanno perso di vista quelli che sono effettivamente obiettivi comuni: la fine delle ostilità per permettere sia la ricostruzione dell’economia sia delle regioni distrutte dalla guerra e dai disastri naturali. Entrambi i protagonisti stanno agendo secondo politiche che sono dettate dagli episodi giornalieri e dunque sempre mossi da emotività. Politiche che dunque si concentrano più sui punti di rottura che su quelli d'incontro.