Piani strategici americani
- Subject: Piani strategici americani
- From: "Valentino R" <semjase at tin.it>
- Date: Tue, 31 Jan 2006 18:39:38 +0100
Abbiamo riscontrato indizi,
testimonianze, comportamenti che ci inducono a pensare che ciò che ci è stato
raccontato riguardo 1'11 settembre sia ben lontano dalla verità. Ma non solo.
Dopo essere venuti a sapere tutte queste cose, tutti noi non possiamo più
escludere l'ipotesi più estrema riguardo quel giorno: è possibile che il governo
americano abbia agevolato, o addirittura organizzato gli attentati terroristici
dell' Il settembre? E' possibile che il governo americano abbia deliberatamente
ucciso 3000 suoi concittadini? E' possibile che siamo stati tutti ripetutamente
e sfacciatamente presi in giro? Non lo sappiamo se è possibile. Forse non lo
sapremo mai. Probabilmente, però, la domanda più importante è un'altra: perché?
Se anche le nostre ipotesi "estreme", "complottiste", si rivelassero. un giorno
esatte, ci chiederemo sempre: perché? Esiste un motivo, una ragione per cui sia
giusto uccidere tanta gente, per cui sia giusto mentire per tanti anni? Secondo
me non esiste. Però mi sono sforzato di cercarla. E qualcosa ho trovato. Non so
se è stato proprio questo a spingere il governo americano ad agire in quel modo,
e neanche mi interessa: quello che hanno fatto è imperdonabile, e nulla potrà
mai giustificarlo.
Comunque, per completezza di
informazione, illustrerò quello che ho scoperto. Si tratta di due documenti
eccezionali, che trattano del futuro del nostro pianeta e del ruolo che in esso
gli Stati Uniti dovranno giocare. Il primo è uno studio del 1997 del
"Council on Foreign Relations" (CFR), redatto da un consulente strategico USA di
vecchia data, già consigliere per Ma i 'Balcani eurasiatici' sono
infinitamente più importanti come potenziale preda economica: nella regione c'è
un 'enorme concentrazione di riserve di gas naturali e di petrolio, oltre a
importanti miniere tra cui l'oro. L'impetuoso sviluppo economico dell'Asia sta
già generando massicce spinte verso la ricerca e lo sfruttamento di nuove fonti
di energia, ed è risaputo che le regioni dell'Asia centrale e del bacino del Mar
Caspio contengono riserve di gas naturali e di petrolio che potrebbero far
apparire ridicole quelle del Kuwait, del Golfo del Messico o del Mare del Nord.
Il Kazakhstan è lo scudo e l'Uzbekistan l'anima dei vari risvegli nazionali
della regione. L'Uzbekistan è, di fatto, il primo candidato alla guida dei paesi
dell'Asia centrale. Una volta che saranno costruiti gli oleodotti diretti verso
quell'area, le riserve, veramente ampie, di gas naturali del Turkmenistan
garantiranno un futuro prospero alla popolazione del paese. Di fatto, il revival
islamico fornirà probabilmente l'impulso a mobilitarsi per un nuovo
nazionalismo, sempre più dilagante e determinato a opporsi a qualsiasi ritorno
sotto il controllo dei russi Da tutte queste argomentazioni l'autore ha poi
ricavato: "Ne segue che è primario interesse dell'America contribuire a far sì
che nessuna singola potenza conquisti il controllo di questo spazio geopolitica,
e che la comunità globale possa avervi accesso finanziario ed economico senza
incontrare alcun ostacolo". "L'America è ora l'unica
superpotenza globale, e I 'Eurasia è l'arena centrale del globo. Ne segue che
quel che accade quanto a distribuzione delle aree di influenza nel continente
eurasiatico sarà di decisiva importanza per il primato globale dell' America, e
per il retaggio storico dell'America. Se non c'è un coinvolgimento americano
diretto e prolungato, in tempi non così lunghi le forze del disordine globale
potrebbero giungere a dominare la scena del pianeta". Queste osservazioni di Brzezinski
sono strettamente legate al principale punto d'interesse del CFR, cioè il
mantenimento del dominio globale statunitense: "L'ultimo decennio del XX secolo ha
visto un colossale cambiamento della situazione mondiale. Per la prima volta una
potenza non eurasiatica, gli Stati Uniti, è divenuta non solo il principale
arbitro delle relazioni tra le potenze eurasiatiche, ma anche la potenza suprema
del pianeta. Ma adesso è assolutamente necessario che non emerga nessuno
sfidante eurasiatico capace di dominare l'Eurasia, e quindi anche di sfidare
l'America. Lo scopo di questo libro è dunque la formulazione di una geostrategia
eurasiatica complessiva e integrata. Per l'America, la principale posta in gioco
è l'Eurasia. In tale contesto, il modo in cui l'America gestisce l'Eurasia è un
elemento critico. Si tratta del più vasto continente del globo, che totalizza i
tre quarti delle risorse energetiche conosciute. La potenza che lo dominasse
controllerebbe due delle tre aree più avanzate ed economicamente produttive.
Basta inoltre un semplice sguardo alla cartina geografica per cogliere che il
controllo dell'Eurasia comporterebbe quasi automaticamente la subordinazione
dell'Africa, rendendo l'emisfero occidentale e l'Oceania geopoliticamente
periferici rispetto al continente centrale del mondo. Quindi può darsi che gli
Stati Uniti debbano decidere come affrontare coalizioni nazionali che cercassero
di spingere l'America fuori dall 'Eurasia, minacciando così il suo status di
potenza globale .". Allargando il discorso, Brzezinski
osserva: "Visti i segnali d'allarme che appaiono in Europa e in Asia, la
politica americana, per essere vincente, dovrebbe focalizzarsi sull'Eurasia nel
suo complesso ed essere guidata da un progetto geostrategico. Ciò pone l'accento
sulle manovre e la manipolazione necessarie a prevenire l'emergere di una
coalizione ostile che possa cercare di minacciare il primato dell'America. Il
compito più immediato è quello di assicurare che nessuno Stato o unione di Stati
conquisti la capacità di espellere gli Stati Uniti dall'Eurasia, o anche di
sminuirne in modo significativo il decisivo arbitrato. Alla lunga, la politica
globale diventerà sempre meno congeniale alla concentrazione del potere
egemonico nelle mani di un singolo Stato. E quindi l'America non solo è la
prima, oltre che la sola, vera superpotenza globale; ma probabilmente è anche
destinata a essere l'ultima ". Quello che afferma subito dopo l'ex
consigliere alla Sicurezza Nazionale è di fondamentale importanza: "Inoltre,
dato che l'America sta diventando una società sempre più multiculturale, può
essere difficile suscitare consenso sulle questioni di politica estera, eccetto
che nel caso di una minaccia esterna diretta, veramente grande e percepita in
modo generalizzato". Tutto questo dovrebbe essere messo a
confronto con la precedente affermazione: "L'atteggiamento del popolo americano
verso la proiezione esterna del potere USA è stato molto ambivalente. L'impegno
americano nella seconda guerra mondiale in gran parte è stato sostenuto a causa
dell'effetto scioccante dell'attacco giapponese a Pearl
Harbor". In pratica, Brzezinski sembra
suggerire che solo un attacco contro gli Stati Uniti nello stile di Pearl Harbor
sarebbe sufficiente a generare il sostegno interno richiesto per mettere in atto
la sua grande strategia geopolitica. Il secondo documento di cui parlerò
è altrettanto esplicito. Si tratta di un progetto, scoperto dal "Sunday Herald",
per la creazione di una "Pax Americana globale", redatto per Dick Cheney
(l'odierno vicepresidente), DonaId Rumsfield (segretario alla Difesa), Paul
WoIfowitz (vice di Rumsfield), Jeb Bush (fratello minore del presidente) e Lewis
Libby (il capo dello staff di Cheney). TI documento, intitolato "Rebuilding
America's Defences: Strategies, Forces and Resources For A New Century" e
disponibile al link http://www.newamericancenturv.org/RebuildingAmericasDefenses
, fu scritto nel settembre 2000 dal "thinktank" neoconservatore chiamato
"Project for The New American Century" (PNAC). Altri membri dell'amministrazione
Bush che contribuirono al rapporto sono John Bolton (sottosegretario di Stato),
Stephen Cambone (capo dell'Ufficio Programma, Analisi e Valutazione del
Pentagono), Devon Gross (membro del Consiglio Politico della Difesa) e Dov
Zakheim (controllore della gestione del dipartimento della
Difesa). Il piano delineato in questo
documento del PNAC rappresenta le posizioni di fondo del gabinetto Bush e vale
perciò la pena di esaminarlo in qualche dettaglio. In buona sostanza il
documento sostiene un "progetto per conservare la supremazia globale USA,
precludere l'ascesa di una grande potenza rivale e plasmare l'ordine della
sicurezza internazionale in linea con i principi e gli interessi americani". In
questa vena, le forze armate statunitensi operanti all'estero sono descritte
come "la cavalleria della nuova frontiera americana". Una "missione cardine" della
"cavalleria" è "combattere e vincere nettamente più guerre simultanee su
importanti teatri". Al fine dunque di preservare la "Pax Americana globale", il
rapporto sostiene che le forze USA devono assolvere "compiti di polizia": in
altre parole, agire come poliziotto del mondo scalzando così le Nazioni Unite.
Le missioni di "peacekeeping", per esempio, "richiedono una guida politica
americana anziché quella delle Nazioni Unite". Per assicurare questa condizione
e impedire a un qualsiasi paese di sfidare gli Stati Uniti si prosegue, deve
essere promossa in tutto il mondo una presenza militare USA molto più ampia, che
vada ad aggiungersi alle circa 130 nazioni dove già stazionano forze americane.
A tal fine vanno istallate basi militari permanenti in Medio Oriente,
nell'Europa sud-orientale, nell' America Latina e nel sud-est asiatico, dove in
precedenza non ne esistevano. Ai fini di questo studio, il
progetto del PNAC mostra in particolare che il gabinetto di Bush aveva
programmato di stabilire il controllo militare sul Golfo Persico a prescindere
da Saddam Hussein e da qualsiasi minaccia il suo regime potesse aver posto al
mondo. "Gli Stati Uniti cercano da decenni di svolgere un ruolo più stabile
nella sicurezza regionale del Golfo ", fa notare il documento. "Anche se il
conflitto irrisolto con l'Iraq fornisce la giustificazione immediata, il bisogno
di una presenza consistente di forze americane nel Golfo trascende il problema
del regime di Saddam Hussein ". In un colpo solo il documento sfata il mito che
il piano di Bush di invadere l'Iraq fosse dettato principalmente da
preoccupazioni relative al regime di Saddam come le armi di distruzione di
massa. Ma l'Iraq è solo l'inizio. Tra gli altri punti pertinenti sollevati dal
rapporto del PNAC c'è il fatto che, "anche qualora Saddam uscisse di scena", gli
Stati Uniti intendono conservare a tempo indeterminato basi militari in Arabia
Saudita e Kuwait, malgrado l'opposizione interna. Il documento elenca inoltre vari
altri stati come pericolosi fuorilegge che rappresentano una minaccia per i
disegni americani, vale a dire Corea del Nord, Libia, Siria e Iran. L'esistenza
di questi regimi richiede l'istituzione di un "sistema di comando e controllo
mondiale" sotto la guida di Washington. L'Iran, in particolare, "potrebbe
rivelarsi una grave minaccia agli interessi statunitensi tanto quanto l'Iraq",
sollevando lo spettro di un altro intervento USA. Peggio ancora, il documento
propugna un "cambiamento di regime" in Cina, da sostenere aumentando "la
presenza di forze americane nel sud-est asiatico" affinché "la forza americana e
alleata" fornisca "lo sprone per il processo di democratizzazione in Cina".
Anche l'Europa viene additata come un potenziale rivale degli Stati
Uniti. Ma forse l'elemento più inquietante
del progetto del PNAC per l'egemonia globale è l'ammissione che il piano non può
essere realizzato senza che gli Stati Uniti conoscano una qualche sorta di crisi
senza precedenti. Facendo eco alle osservazioni del geo-stratega Zbigniew
Brzezinski, il documento PNAC del settembre 2000 fa notare, come riferisce "ABC
News", che "il passaggio a una politica mediorientale più decisa . si avrebbe
lentamente, a meno che non ci fosse qualche evento catastrofico e catalizzatore,
come una nuova Pearl Harbor". Nelle parole del PNAC: "Ogni serio tentativo di
trasformazione deve avvenire entro la più ampia cornice della strategia di
sicurezza nazionale, delle missioni militari e dei bilanci della difesa USA.
Inoltre il processo di trasformazione, anche se determinerà cambiamenti
rivoluzionari, sarà probabilmente lungo, in assenza di qualche evento
catastrofico e catalizzatore, come una nuova Pearl
Harbor". L'evento in stile Pearl Harbor che
auspicavano sia Brzezinski sia il PNAC è arrivato 1'11 settembre
2001. Guida
Gaetano Per domande, commenti, suggerimenti
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