La sconfitta dei «resistenti»



La sconfitta dei «resistenti»

D'ora in poi non si dovrebbe più parlare di «resistenti», o della versione più edulcorata di «ribelli » o «guerriglieri», in Iraq. Perché sono gli stessi sedicenti «resistenti» ad avere innalzato la bandiera bianca e aderito al processo democratico tramite il baratto dell'impunità in cambio della deposizione delle armi. Armi in realtà spuntate visto che il 90 per cento degli attentati contro civili e militari, iracheni e stranieri, sono stati finora opera di Al Qaeda. È questo il principale risultato delle elezioni legislative in Iraq, qualunque sarà la composizione del prossimo Parlamento. È un successo essenzialmente politico più che militare. Grazie alla forza irresistibile di un movimento democratico che, come una valanga che da cima dilaga a valle, ha spazzato via ogni opposizione. Chi si ricorda più delle condanne di «tradimento» e di «apostasia» emesse lo scorso 30 gennaio, in occasione delle prime elezioni legislative libere, dagli ulema sunniti e dalla miriade di sigle che accomunano i militanti del passato regime tirannico di Saddam e gli islamici jihadisti del tagliagole Al Zarqawi? Alla fine di quella storica giornata ci furono 36 morti, tra cui 10 eroici poliziotti e 9 terroristi suicidi perlopiù stranieri. Ieri ci sono stati solo due civili uccisi e una decina di feriti. Un bilancio di vittime sostanzialmente identico a quello dello scorso 15 ottobre, quando si votò sulla nuova Costituzione, anche in quel caso con il boicottaggio di gran parte dei sunniti. Ed è stato proprio quest'esito a far comprendere ai sunniti e ai sedicenti «resistenti » che avevano perso la loro battaglia. Che l'unica alternativa era scendere dall'Aventino e uscire a mani alzate dai loro covi, per professare lealtà al nuovo corso democratico. Il 20 novembre scorso al Cairo gli sciiti e i curdi si sono prestati a un'operazione politica tesa a salvare la faccia ai sunniti. Riconoscendo formalmente l'esistenza di una «resistenza patriottica onesta» tra i sunniti, in cambio dell' impegno non solo a dissociarsi ma anche a contrastare con le armi il terrorismo islamico di Al Zarqawi. Non bisogna illudersi. Gli attentati terroristici contro gli iracheni e gli stranieri continueranno. Semplicemente perché non erano i sedicenti «resistenti » a compierli.Maè il successo politico del compattamento dell'insieme del fronte etnico-confessionale iracheno che riuscirà gradualmente a isolare e sconfiggere un terrorismo che è sempre più la lunga manodella diabolica strategia straniera di Al Zarqawi. I due morti di ieri dispiacciono.Masiamo ben lontani dalle stragi con centinaia di vittime che hanno insanguinato l'Iraq negli ultimi due anni. Se poi consideriamo che alle recenti elezioni legislative in Egitto i morti sono stati 11 e i feriti almeno un centinaio, tutto sommato l'Iraq ne esce fuori meglio. Se poi a ciò si aggiunge che i votanti in Iraq sono stati il 67 per cento degli elettori contro un misero 25 per cento in Egitto, ne emerge il netto scarto sul piano della maturità democratica a favore degli iracheni. In Iraq la sedicente «resistenza» si è rivelata un boomerang per chi ha immaginato di poter strumentalizzare la violenza, oltretutto quella messa in atto da terroristi suicidi arruolati all'estero, per destabilizzare il fronte interno e seppellire l'aspirazione popolare alla libertà. L'assassinio del leader sunnita Mozher al Dulaimi, presidente del «Partito progressista iracheno libero», il 13 dicembre a Ramadi, ha confermato come oramai il terrorismo si sta ritorcendo contro i suoi stessi burattinai. Dopo averlo elevato al nobile rango di «resistenza» quando a morire erano i soldati della forza multinazionale seppur legittimata dall'Onu, si è cominciato a nutrire dei dubbi quando a essere presi di mira sono stati i militari e i poliziotti iracheni, fino all'orrore e allo sdegno quando si è colpito indiscriminatamente tra la popolazione civile sciita e curda. Oggi è arrivato il turno dei sunniti. Perché il terrorismo è una spirale avvelenata che non risparmia nessuno. Gli iracheni l'hanno capito sulla propria pelle. Ora speriamo che lo capiscano anche gli occidentali che, seduti comodamente sulle poltrone del salotto, continuano a idealizzare e esaltare la «resistenza» irachena.
Magdi Allam
16 dicembre 2005

	

	
		
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