Iraq: scheda elettorale in una mano, RPG nell’altra.



Iraq: scheda elettorale in una mano, RPG nell’altra.

 

Ieri si è votato in Iraq e sembra proprio che l’affluenza alle urne sia ampiamente superiore a quella del 30 Gennaio scorso, dal momento che i sunniti questa volta non hanno boicottato il voto e anche la gran parte dei gruppi guerriglieri non si è opposto alle elezioni. Qualche esplosione c’è stata ugualmente ma giusto per avvisare che la guerriglia è sempre presente e attiva.

Emblematico di questa alta affluenza dei sunniti è stato il fatto che a Falluja in alcuni seggi erano esaurite le schede elettorali. Il 30 Gennaio invece a Falluja non si era votato proprio, visto che solo qualche settimana prima era stata praticamente rasa al suolo dalla devastante offensiva USA e si era fatto di tutto perché i sunniti non potessero votare il 30 Gennaio, costringendoli ovviamente al boicottaggio delle elezioni.

 

Il 30 Gennaio quindi erano state elezioni farsa che avevano prodotto un’Assemblea incapace di legiferare e un governo curdo-sciita incapace di governare ma efficiente nel farsi i propri interessi a scapito dell’intera popolazione e ben protetto dall’esercito USA e dalle proprie milizie; questa volta forse non accadrà di nuovo, ma lo si capirà ben presto.

 

Tutto dipenderà dalla possibilità e volontà delle forze politiche del nuovo Parlamento, che ora resterà in carica per 4 anni, di formare un governo in grado di essere per la prima volta veramente sovrano, garante dell’unità territoriale dell’Iraq e finalmente ansioso di cominciare la ricostruzione del Paese.

Certamente i problemi che il nuovo governo dovrà affrontare sono immani: tasso di disoccupazione spaventoso, ricostruzione delle infrastrutture, ripresa di una produzione petrolifera degna di un Paese che galleggia sull’oro nero, distribuzione equa dei proventi del petrolio, sicurezza interna da garantire per favorire anche gli investimenti stranieri, decidere se privatizzare del tutto l’economia del Paese seguendo alla lettera le ordinanza di Bremer o farne carta straccia mantenendo in mani pubbliche il settore industriale o gran parte di esso.

 

Oltre a tutto ciò si aggiungono altre gravi questioni da affrontare: come emendare la Costituzione in maniera da salvaguardare l’unità territoriale del Paese e cosa dire alle truppe occupanti.

Un’ultima cosa, ma anch’essa fondamentale, sarà stabilire se l’Iraq dovrà essere un Paese islamista, alla stessa stregua dell’Iran con l’aggiunta però dell’influenza crescente dei religiosi sunniti che nelle settimane scorse hanno emesso delle fatwe per “ordinare” alla propria gente di recarsi alle urne, o mantenere un carattere fondamentalmente laico anche se rispettoso dei principi islamici.

Dubito molto sulla seconda ipotesi, dal momento che l’insieme dei partiti religiosi – sia sciiti che sunniti – ha già e avrà sempre di più un peso fondamentale nella vita politica irachena.

L’ultima avvisaglia di ciò sono stati i recenti incendi a Nassirya delle sedi del partito di Allawi, uno sciita laico, e di quello Comunista, alleato dello stesso Allawi. E solo qualche giorno prima a Najaf, Allawi era stato preso a scarpate in testa, rischiando di fare una brutta fine per mano dei seguaci di Moqtada al Sadr, le cui milizie armate controllano gran parte del sud iracheno e di Baghdad.

 

Quindi se finalmente - e si spera in tempi ragionevoli - nascerà un nuovo governo non più ad interim e con ministri sunniti di peso, la prima cosa che devono fare gli USA, per far capire al mondo intero che questo processo politico iracheno è genuino e sostenuto da loro con forza, è di ritirarsi nelle basi desertiche, bloccare qualsiasi offensiva sia di terra che di aria, finire di pattugliare il territorio e rispondere solo se attaccati. E tutto ciò gli USA devono farlo senza aspettare che glielo chieda il nuovo governo, presentando di propria iniziativa un calendario serio di ritiro delle truppe, ed eliminando qualsiasi sospetto di future basi permanenti sul territorio iracheno.

 

L’amministrazione Bush nel frattempo deve finirla di dire che le truppe se ne andranno solo quando gli iracheni sapranno garantirsi da soli la sicurezza perché ciò non avverrà mai se gli USA stessi contemporaneamente continuano a bombardare città e villaggi, fare rastrellamenti casa per casa, uccidere innocenti civili ai posti di blocco ecc. ecc.

 

Ovviamente il ritiro nelle basi desertiche non comporterà automaticamente la fine di tutte le violenze, ma è comunque una strada obbligata da prendere affinché siano gli stessi iracheni a decidere se vogliono proseguire con la guerra civile, già in corso per altro da tempo, o rimboccarsi tutti insieme le maniche per ricostruire il Paese. Un altro passo in questo senso è quello di reintegrare quasi tutti i 400.000 membri dell’esercito licenziati da un giorno all’altro da Bremer nel 2003, ed anche tutte le varie milizie private dovranno far parte integrante del nuovo esercito iracheno. Solo così si potrà garantire quell’unità nazionale e concordia sociale fondamentali per isolare e liquidare i qaedisti.

 

Insomma, i primi a dimostrare che il processo politico in atto è concreto e lungimirante, e che la democrazia si sta radicando in Iraq devono essere proprio gli USA, riconoscendo subito la sovranità e l’indipendenza del nuovo governo che sorgerà, facendo quelle cose elencate prima, ma soprattutto prendendone l’iniziativa. E lo stesso discorso vale poi per il secondo esercito straniero presente in Iraq, quello dei contractors armati che invece se ne deve andare immediatamente dal Paese.

 

Se queste cose avverranno nelle prossime settimane, il mondo intero e gli iracheni in primis avranno la conferma che tutti gli sforzi fatti finora per portare avanti un processo politico democratico erano reali e utili a dare veramente quella stabilità fondamentale per ricostruire socialmente ed economicamente l’Iraq.

Se tutto ciò invece non avverrà, allora saranno state solo chiacchiere e la mano con la scheda elettorale non sarà servita a nulla mentre quella con l’RPG o l’IED continuerà a colpire sempre più pesantemente e a tempo indeterminato. Un Iraq senza futuro.

 

Enrico Sabatino