La globalizzazione irakena
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- From: "davide" <marzoratirenato at aliceposta.it>
- Date: Sat, 29 Jan 2005 18:09:19 +0100
- Importance: Normal
Perché la
democrazia
Se l'irak è l'ultimo passo della
globalizzazione
La questione irakena, come forse altre nel mondo,
permette di focalizzare l'attenzione su diversi punti della realtà,
permettendoci di afferrare anche termini che potrebbero essere interpretati solo
in un lontano futuro. La storia si fa nel presente, ma si comprende a
posteriori, nel futuro. Eppure cerchiamo sempre di delineare il punto della
situazione con una visione possibilmente globale magari da manuale di scuola.
L'interesse della questione Irakena verte su un punto singolare e su cui di
certo in futuro si scriveranno pagine e pagine sui libri: la democrazia.
La
democrazia ha avuto nella storia occidentale un lento sviluppo e un lento
progredire. Possiamo affermare che è "un'invenzione" piuttosto moderna, anche se
la storia dimostra che la direzione fu già delineata con la rivoluzione
francese. Il problema consiste nel fatto che la rivoluzione francese fu opera
dei francesi. Sull'evoluzione del più importante avvenimento della storia
moderna, hanno agito fattori che chiamerei interni. La democrazia (o almeno i
primi passi) fu raggiunta in modo progressivo e partiva da constatazioni
basilari, che le stesse persone notavano: i privilegi dei nobili o le terre dei
cardinali. Fu il popolo il motore della rivoluzione perché le motivazioni
c'erano tutte. Ora, il popolo irakeno, è stato ovviamente sotto un oppressore e
di certo non viveva una situazione felice. Gli americani hanno avuto il merito
di liberare un popolo da una dittatura, ma per questo motivo non devono farsi
promotori della democrazia. Questa parola è un insieme di valori che parte dalla
stessa constatazione fisica della gente. La dittatura di Saddam può essere stato
uno di quei fattori per il quale il popolo avrebbe scelto la democrazia, ma
forse non l'unico. Gli americani devono anche far fronte ad una serie
innumerevole di altre variabili (quali gruppi estremisti) che rimettono in gioco
la situazione. Con questo non voglio affermare che in Iraq sarebbe stato meglio
che il popolo in primis si ribellasse. Ogni cultura e gente ha la sua storia. Ma
se l'obiettivo americano era quello di portare la democrazia in Iraq, ciò doveva
avvenire a piccoli passi, cercando la strada del dialogo. Conoscere tramite
l'istruzione la democrazia era un passo molto importante per far capire e
spiegare il perché della democrazia. Ovviamente la dittatura irakena era di per
sé un ostacolo grosso, ma non invalicabile, dato che è agito per fini e
interessi della casa bianca. In questo momento è difficile dire come si può
portare la democrazia in Irak, per il semplice motivo che è il popolo stesso che
non crede, è la gente che non capisce il significato di questa parola. Non c'è
da stupirsi quindi se estremisti saltano in aria su camionette, con la
convinzione di fermare un imperialismo americano. Per quello che fa l'america
sono purtroppo convinzioni fondate. Il dialogo rappresentava e rappresenta la
via maestra per infiltrare la democrazia, che è un insieme di valori, ma
soprattutto è l'adesione personale e concreta ad un mondo senza ne imperi né
dittature.
La questione ha altri aspetti però. La democrazia bisogna
considerarla anche in base alla sua origine. Essa è un prodotto occidentale e in
quanto tale appartiene ad una cultura diversa da quella araba. La cultura
occidentale è basata sui valori della religione cristiana, sulla tecnologia e
l'industrializzazione, sulla pubblicità. La cultura araba, una tra le tante, ha
differenze, per esempio sul piano religioso, ma anche analogie che è necessario
esaltare e sostenere per il benessere comune. Il luogo comune in cui si cade in
questi giorni è la lotta tra culture, che ulteriormente radicalizzata diventa
lotta tra religioni. Il rischio è quindi di precipitare in forti pregiudizi che
possono sfociare in episodi di razzismo e violenza. L'esportazione della
democrazia così rischia di diventare non solo elemento ulteriore di divisione,
ma anche promotrice di un atteggiamento di superiorità dell'uomo occidentale. La
presunta superiorità dell'europeo della Fallaci si basa su storie di popoli che
attraversano fasi e periodi diversi, ma fisicamente e scientificamente
infondata. Soprattutto noi occidentali che abbiamo redatto la dichiarazione dei
diritti dell'uomo, o "la legge è uguale per tutti", dobbiamo rendercene conto e
accettare. Lasciando stare il fatto dell'impossibilità di esportare fisicamente
la democrazia come ho detto prima, è necessario primancora educare i nostri
figli e crescerli secondo le rigide regole della globalizzazione, affinché la
democrazia non diventi un fattore discriminante, ma sia frutto di un'accezione
comune. Superare le divergenze è obbligatorio: la società futura della
comunicazione istantanea avrà sempre più denominatori comuni: tecnologia,
storia, magari lingua; la cultura di un popolo e così anche la sua forma di
governo potrebbe non essere rinunciata per un bene mondiale comune: in tal caso
ogni popolo manterrà i suoi tratti. La democrazia però non deve rappresentare un
primo passo per ovviare le differenze, perché queste non possono essere mai
superate e, soprattutto, perché c'è il rischio della perdita di biodiversità e
l'acquisizione dell'omologazione.
Tutti i tratti caratteristici di ogni
cultura rappresentano gli atomi della nostra società: non si può prescindere da
essi, perché anche il più piccolo mutamento di questi potrebbe provocare una
reazione a catena, che può portare a conseguenze devastanti. L'intervento
americano in Iraq lo dimostra. Riassumendo, la democrazia è una caratteristica
propria della nostra cultura ma che, tuttavia, può essere condivisa e non
esportata con altre culture; tutto ciò deve avvenire nel rispetto di queste
ultime, e nella voluttuaria partecipazione del singolo individuo alla sua
costruzione.
La scelta della democrazia in Irak come ho già detto è
frutto di una presunzione occidentale (seppur a fin di bene, vale a dire il
benessere collettivo e del popolo irakeno), ma ha un altro tratto di
discussione. A livello storico le forme di governo dei popoli arabi possono
essere paragonate alle antiche istituzioni feudali o alle monarchie assolute per
l'origine teocratica del potere. Questa può essere un'ulteriore prova
dell'arretratezza della cultura e storia araba e quindi della necessità di un
provvedimento esterno. Ma non c'è il rischio forse, nell'accelerare così i
tempi, di perdere il concetto stesso di tempo e realtà? E' possibile far
compiere in pochi anni un balzo storico che nella nostra storia è durato più di
otto secoli?
Perché poi la democrazia? E' la forma di governo più opportuno.
Ma anche questa è una risposta tipicamente occidentale. Perché non un'altra
forma di governo? Ogni popolo proprio per avere un bagaglio storico e culturale
diverso, ovvierà per la soluzione in fondo più adatta per loro. Il punto
consiste nella globalizzazione, che avvicina tutti, prescindendo certi fattori
che in realtà per ogni popolo, ma anche per ogni gruppo e individuo, sono
importanti. Ecco che ogni popolo dovrà fare quindi i conti con il proprio
interesse, ma anche quello di una comunità ben più grande: quella
mondiale.
Davide Marzorati
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