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GAZA- Op Colomba - riflessioni dopo un attentato
- Subject: GAZA- Op Colomba - riflessioni dopo un attentato
- From: Lorenzo Salvadorini <lorello at chiodofisso.org>
- Date: Mon, 13 Jan 2003 09:42:48 +0100 (CET)
- Organization: Centro di Calcolo - Dipartimento di Informatica di Pisa - Italy
From: Famiglia Bettini <ibrizie at libero.it> 10.01.03 Riflessioni da Gaza dopo un attentato di Andrea Un attentato a Tel Aviv, più di 20 morti e 70 feriti. Lucidamente studiato per uccidere il maggior numero di civili possibile: un attentatore si fa esplodere, la gente scappa in un vicolo e lì un altro attentatore fa detonare la seconda bomba. Di fronte a queste cose rimaniamo sconcertati, pare impossibile trovare qualcosa di umano nella gente che pianifica e mette in atto questi attentati. Li chiamiamo fondamentalisti religiosi, fanatici, pazzi assetati di sangue. Ma sono anche definizioni che servono a placare la nostra coscienza, a non dover scavare troppo in profondità. Sono pazzi e crudeli, basta. Bisogna difendersi e eliminarli. Purtroppo non è così semplice: noi viviamo nella striscia di Gaza e da mesi ormai siamo a stretto contatto con la sofferenza di questa terra, ogni giorno scopriamo qualcosa che mette in crisi le convinzioni del giorno prima, scopriamo mille sfaccettature di una situazione complessa, difficile, logorata. La storia del popolo palestinese è una storia di occupazione, oppressione, umiliazione. In qualunque famiglia ci troviamo, storie di arresti, confisca di terre e case, pestaggi e uccisioni sono la normalità. Ogni famiglia ha dei parenti uccisi, o il padre imprigionato per anni, la casa e la terra scomparsi. Ogni storia è il ricordo di ciò che non c'è più, che ti è stato rubato. E' la storia dei sacrifici per ricominciare da capo, da profugo. Ma anche quello che sei riuscito a ricostruire rischia di essere portato via, gli insediamenti israeliani si allargano confiscando la tua terra, sradicando gli ulivi che avevi piantato, demolendo la tua casa. I soldati sparano, se sei vicino all'insediamento o alla strada dei coloni, o alla green line, o al confine con l'Egitto (rispettivamente ovest, nord, est e sud di Khan Yunis e Rafah), è facile morire: Un ragazzo di 20 anni ucciso mentre rincorreva il somaro scappato, una donna mentre tornava a casa coi figli, un contadino nel campo mentre lavorava, una ragazzina in casa sua mentre studiava e tanti altri, la lista è lunghissima. Non sono tutti errori. Ai check point le umiliazioni: ore ed ore sotto il sole, aspettando non si sa cosa che i soldati facciano passare. Le ambulanze ferme anche loro, ogni tanto qualcuno muore per non aver potuto raggiungere l'ospedale. Ultimamente arrivano da più parti notizie inquietanti; pare che i soldati a Betlemme e Hebron chiedano ai palestinesi fermati di pescare da un mazzo di foglietti. Su ognuno è scritta una parte del corpo. Quella che peschi è quella che ti verrà rotta. Se vivi vicino alla strada dei coloni il coprifuoco inizia alle 18, fino la mattina successiva. Così da due anni. E devi sperare che non ti abbattano la casa per "motivi di sicurezza". E' chiaro che bisogna condannare gli attentati. E' fin troppo ovvio che tutti noi siamo contro l'uccisione di civili innocenti. Anche molti palestinesi rimangono inorriditi di fronte a questi fatti. Ma se vogliamo sancire il principio del diritto uguale per tutti, allora bisogna ricordare che in questo momento non è rispettato: bisogna anche condannare ciò che succede tutti i giorni nei territori. Bisogna gridare forte che i civili innocenti vengono uccisi anche dai soldati israeliani, tutti i giorni. Bisogna denunciare la confisca delle terre, la distruzione delle case, l'imprigionamento della popolazione palestinese in territori sempre più piccoli. Se non lo facciamo siamo di parte. Se condanniamo solo gli attentati, senza spiegare in che contesto nascono, non sosteniamo la verità. Sicuramente gli attentati non aiutano alla pace. Ma in Israele abbiamo un governo altrettanto responsabile. Un governo che apertamente ha dichiarato di non voler concedere uno stato ai palestinesi, un governo che procede alla sistematica distruzione dell'ANP accusandola poi di non fare abbastanza contro il terrorismo. Ma anche i poliziotti regolari palestinesi se trovati con un fucile vengono arrestati come terroristi. Un governo che non fa mistero della sua volontà di ottenere tutto. Un governo che sta ottenendo anche l'appoggio dei paesi occidentali, muti e sordi di fronte ai crimini commessi da Israele ma prontissimi ad alzare la voce contro il terrorismo. I palestinesi questo non lo accettano, molti amici ci dicono: "Siamo contrari agli attentati, ma tanto per noi non cambia niente. Nei due mesi passati non c'è stato un solo attentato in Israele, ma cosa è successo? L'esercito ha continuato come prima, ad uccidere, demolire e terrorizzare. Almeno con gli attentati il problema palestinese è tornato sui notiziari." Posizione che non condivido personalmente, ma comprensibile. Questa non è una guerra contro il terrorismo. Questa è una guerra coloniale, in cui Israele è il colonizzatore e pertanto non può scendere a trattative con gli "indigeni". Perché sono inferiori, incapaci di governarsi, arretrati e non democratici; questa è la propaganda colonialista. Un processo di pace sarà possibile solo riportando le parti su un piano di parità. Se nessuno contrasta lo strapotere israeliano, nel mondo palestinese ci sarà sempre una parte di estremisti che continuerà col terrorismo. E Israele non avrà mai interesse a scendere a trattative, essendo l'unica potenza sul campo. E' Israele che occupa, questo deve essere chiaro. Perché non ritira il suo esercito dentro i confini del 67? Questo non vuol dire essere anti-israeliano, ma solamente riconoscere il principio di due stati per due popoli. Perché non smantella gli insediamenti? Tra l'altro gli insediamenti sono pieni di estremisti, tali e quali a quelli palestinesi: fanatici, armati, che attaccano i civili, e che sono assolutamente contrari a ritirarsi dai territori. Israele si deve ritirare invece di aumentare la pressione militare. Deve avviare dei negoziati con la leadership palestinese invece di screditarla e distruggerla. Se non va bene quella attuale, come anche molti palestinesi sostengono, devono permettere libere elezioni, non tenere i territori sotto coprifuoco. Che bisogno ha Israele della Cisgiordania e di Gaza? Israele può benissimo esistere anche senza quei territori. Se non si ritira è perché li vuole. Questo governo non ha nessuna intenzione di raggiungere la pace. I finanziamenti americani arrivano lo stesso, l'appoggio politico anche. Forse il nodo della faccenda è proprio a casa nostra coi nostri capi di governo. Se fossero più illuminati e intelligenti un processo di pace sarebbe possibile. Se veramente lavorassero per il bene comune e per la giustizia -come dicono di fare- tanta gente non sarebbe costretta a morire per niente. Il problema è che li abbiamo eletti noi, e a noi tocca la responsabilità di agire secondo coscienza al momento del voto. Per il momento siamo al punto in cui una presenza civile internazionale è fondamentale per proteggere la gente. La popolazione è abbandonata a se stessa, alla mercé di un esercito estremamente pericoloso e ostile e in una situazione in cui chiunque può essere considerato un bersaglio legittimo. La comunità internazionale è assente, le Nazioni Unite hanno una piccola presenza, per lo più con personale locale, che fornisce assistenza ai profughi. L'unica speranza e protezione per la popolazione rimane la presenza di volontari stranieri che spontaneamente vengono qua a rischiare la vita per testimoniare, fare azioni di interposizione, volgere il ruolo di osservatori che spetterebbe alle istituzioni internazionali, vivere nei villaggi per condividere questa sofferenza assieme alla gente. E' una presenza disorganizzata, composta da svariati movimenti e da gruppi di diversa appartenenza politica, culturale e religiosa. Ma efficace, dal momento che porta noi occidentali, la cui vita vale molto più di quella di un palestinese, nelle zone più rischiose di questa terra. Bisognerebbe essere di più, molti di più. E bisognerebbe lavorare di più nel tentativo di ricucire i rapporti tra i due popoli, supportando chi, in Israele, lavora per la pace e lotta contro le profonde ingiustizie di questa terra, mettendo in contatto palestinesi e israeliani su un unico obiettivo, quello dei diritti uguali per tutti. Probabilmente la strada per la pace passerà attraverso questo, un'azione dal basso che porterà israeliani e palestinesi ad incontrarsi e a costringere i propri governanti a prenderne atto. www.operazionecolomba.org
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