(Fwd) La Turchia in guerra (da Liberazione)



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Cari amici,
mi permetto di trasmettere a tutta la rete di Azad i miei due articoli
pubblicati oggi dal quotidiano Liberazione.in una pagina monografica
sulla Turchia, perchè sono il frutto di un'ampia ricerca sulle fonti
disponibili, rispettivamente sul ruolo della Turchia nella guerra in
corso (e in quella probabile contro l'Iraq) e sulla situazione
attuale, particolarmente drammatica ad Istanbul dove nei prossimi
giorni arriverà una delegazione italiana - e dunque credo che
contengano informazioni utili a tutti/e. Perdonatemi per
l'intromissione. Dino Frisullo




"Siamo sempre stati contrari a un attacco all'Iraq, ma nuove
circostanze possono comportare nuove valutazioni". E' bastato questo
accenno del ministro della Difesa turco Cakmakoglu per far precipitare
di sette punti la già disastrata Borsa di Ankara, memore dei danni
economici della guerra del '91 e dell'embargo all'Iraq. Colin Powell,
atteso nella prossima settimana in Turchia dopo un vertice Nato a
Bruxelles, secondo l'agenzia Reuters verrà appunto a chiedere "al
paese che proponiamo come esempio al mondo" di condividere e 
sostenere
l'eventuale attacco a Baghdad. 



I militari turchi temono che la guerra in Medio oriente comporti la
nascita di una contagiosa entità statuale kurda nella regione irakena
attualmente autonoma. Ma nello stesso tempo accarezzano il sogno di
Ataturk: mettere le mani sull'intero Kurdistan irakeno, comprese le
province petrolifere di Mosul e Kirkuk annesse all'Iraq e in via di
forzosa arabizzazione. Intanto rispondono a Saddam, che ha ammonito
"possiamo tornare nel Nord quando vogliamo" e ammassa truppe 
nell'area
di Mosul, sostituendo con divisioni blindate le guardie di frontiera
al valico di Halil. I kurdi tremano: nella guerra che s'avvicina
rischiano di fare ancora una volta la fine della noce.



Nel frattempo, per flettere i muscoli, dal 3 al 7 dicembre la flotta e
l'aviazione turca si eserciterà in acque anatoliche con i colleghi
israeliani e nordamericani. L'offerta turca di guidare con migliaia di
uomini una forza di peacekeeping in Afghanistan, per ora scartata ma
destinata a tornare all'ordine del giorno secondo l'analista Simon
Tisdall del Guardian, ha fatto della Turchia il perno del nuovo ordine
postbellico nel "Medio oriente allargato" dall'Adriatico al Caspio e
all'oceano Indiano. 



Un ruolo pagato in moneta sonante: un nuovo prestito del Fmi di dieci
miliardi di dollari, da aggiungere ai 15,7 miliardi già prestati
quest'anno. Seicento milioni di dollari passeranno direttamente dal
Fondo monetario all'israeliana Imi incaricata di rimodernare 170 tank
M-60 turchi. O agli Usa, che rivendicano per sé la commessa. Non è 
che
l'assaggio del grande rilancio militare-industriale chiesto dai
generali turchi, in un paese disastrato, per lanciarsi in guerra.



Nell'analisi di Tindall, scontata la necessità di una presenza
militare nel dopoguerra afghano, e scartata la "soluzione balcanica"
(contingenti sotto bandiere diverse) per i conflitti d'interessi delle
potenze circostanti e dei signori della guerra afghani, come dimostra
il veto dell'Alleanza del Nord all'invio di seimila teste di cuoio
inglesi, si imporrà alla fine la bandiera Onu su un contingente
multinazionale a prevalenza islamica ed a guida turca. 



"Ma la Turchia chiederà diversi favori in cambio: più voce in capitolo
nella Forza europea di rapido impiego, finora bloccata dal veto turco,
la rinuncia all'ingresso di Cipro nell'Ue nel 2004, e soprattutto la
sordina alle critiche occidentali sulle violazioni dei diritti della
minoranza kurda e in genere dei diritti umani, testimoniate dai 43
prigionieri morti per fame e dall'uso ampio e sistematico della
tortura. Se in futuro bisognerà usare il pugno di ferro contro i
signori della guerra afghani - conclude ironicamente il Guardian - chi
potrà farlo meglio dei turchi?"



Senza ironia, l'attitudine del regime turco alla repressione diviene
invece la giusta risposta "a chi in passato ha usato un doppio
standard in materia di terrorismo o l'ha legittimato in nome
dell'equazione etnica" nella lunga analisi del professor
Karaosmanoglu, membro dell'Istituto internazionale di studi strategici
e testa d'uovo dei militari, apparsa sul quotidiano in lingua inglese
Turkish Daily News. Per il resto Karaosmanoglu concorda con Tindall
sulla centralità della Turchia in un nuovo assetto euroasiatico, con
l'Europa indebolita e la Nato a centralità angloamericana proiettata,
nell'ottica della "sicurezza" e non più della difesa, ben oltre le
sponde atlantiche. In questo scenario la Turchia potrà anche fare a
meno dell'Europa, forte del sostegno Usa, dell'alleanza con Israele e
dell'accordo di "partnership multidimensionale" firmato il 16 novembre
con la Russia a New York. 



Quanto allo scenario irakeno, Karaosmanoglu è esplicito. "La Turchia
vuol prevenire un'estensione della guerra all'Iraq, ma se comunque la
guerra ci sarà, non potrà restarne fuori. Il futuro dell'Iraq, e in
particolare dell'Iraq del Nord, ha a che fare con i nostri interessi
vitali. La Turchia è stata costretta ad avviare diverse campagne
militari nel Nord Iraq dopo la guerra del Golfo, ed è possibile che
oggi ci siano truppe ed armamenti turchi oltre il confine. Insomma, in
territorio irakeno ci siamo già. E se vogliamo avere un ruolo nel
futuro assetto del Nord Iraq, le nostre opzioni non sono poi
infinite". Chiarissimo. E minaccioso.



2.



La devastazione di Armutlu, il quartiere di Istanbul in cui a due
riprese i militari hanno fatto irruzione sparando e spianando con le
ruspe le case in cui si digiunava contro le celle d'isolamento, non
era che l'inizio. Venerdì scorso all'alba la polizia ha fatto
irruzione in tutte le ventisei sedi del partito Hadep a Istanbul e in
tutte le sedi di giornali, riviste e centri culturali legati
all'opposizione kurda, sequestrando quintali di materiali e decine di
attivisti. 



Pochi giorni fa il potente Consiglio di sicurezza nazionale aveva
tuonato contro l'Hadep "strumento del Pkk", che in caso di
abbassamento della soglia-capestro del 10% rischia di entrare in
parlamento nelle prossime elezioni, e il cui presidente Bozlak aveva
invocato il passaggio della guerriglia kurda dall'attuale tregua al
disarmo, nel quadro però di un'amnistia generale. E il Consiglio
nazionale per l'Educazione (in sigla Yok, che in turco equivale a No!)
aveva chiesto una punizione esemplare per i duecento studenti di
Istanbul che, nel quadro della campagna di disobbedienza civile e di
rivendicazione d'identità che dilaga in Europa e in Turchia, avevano
sottoscritto la richiesta di un insegnamento universitario di lingua e
cultura kurda.



A Istanbul, dove fra pochi giorni arriverà una delegazione di
giuristi, sindacalisti e giornalisti italiani, il clima è tesissimo.
La notizia della morte della giovane Tulay Korkmaz, 43.ma vittima del
digiuno nelle carceri, è giunta mentre il governo propone di colpire
con pene fino a vent'anni di carcere la "istigazione allo sciopero
della fame" e di legalizzare l'alimentazione forzata. Ad Armutlu,
distrutte le "case della resistenza", c'è ora un poliziotto ogni sette
abitanti. 



Ma il regime ritiene di avere mano libera in clima di guerra: come
criticare i nostri tribunali speciali, argomenta il quotidiano
Hurriyet, mentre gli Usa istituiscono corti marziali? Così ad Amnesty
International, rea di continuare a denunciare la tortura e in
particolare gli stupri di polizia, si è impedito di aprire una sede ad
Ankara, mentre si moltiplicano gli sforzi perché l'Unione europea
includa anche il Pkk nella lista, ancora segreta, delle organizzazioni
"terroriste". 



Una pressione efficace: proprio mentre il governo prorogava ancora 
una
volta lo stato d'emergenza nelle province kurde, a Fancoforte la
polizia tedesca faceva irruzione nella sede di un sindacato kurdo
accusato di sostenere il partito di Ocalan.



D.F.


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