SEGNALAZIONE IMPORTANTE: I media italiani hanno dimenticato lo scrittore calabrese Saverio Strati, che vive in condizioni difficili a Scandicci. Il vitalizio della legge Bacchelli potrebbe risolvere i suoi problemi. Ma chi lo dice a Berlusconi?
- Subject: SEGNALAZIONE IMPORTANTE: I media italiani hanno dimenticato lo scrittore calabrese Saverio Strati, che vive in condizioni difficili a Scandicci. Il vitalizio della legge Bacchelli potrebbe risolvere i suoi problemi. Ma chi lo dice a Berlusconi?
- From: "Mariangela Latella" <maralate at yahoo.it>
- Date: Thu, 9 Apr 2009 08:23:39 +0200
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In: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=3658 APPELLO AL GOVERNO PERCHE’ APPLICHI LA “LEGGE BACCHELLI” PER SAVERIO STRATI. I MEDIA NAZIONALI IGNORANO LO SCRITTORE CALABRESE CHE VIVE A SCANDICCI IN CONDIZIONI DIFFICILI,
Testimonianza di Matteo Cosenza, direttore del “Quotidiano della Calabria”: “Lo scrittore vive in una condizione d’indigenza di cui l’Italia, che ha un grande debito nei suoi confronti, ha il dovere di interessarsi”.
di Romano Pitaro Una cavalcata di messaggi e un’impennata di risvegli. Con un limite grave: il ribollio d’interesse per Saverio Strati, il Corrado Alvaro vivente che Enzo Biagi infilava spesso nei suoi affreschi giornalistici, non oltrepassa i confini della Calabria. Vive da tempo a Scandicci, alle porte di Firenze: 85 anni, 13 grandi romanzi (perlopiù editi da Mondatori, l’ultimo è del 1988: L’uomo in fondo al pozzo) e una moglie svizzera, conosciuta quand’era emigrante. “Una delle voci più autorevoli della narrativa italiana contemporanea”, l’ha definito il prof. Luigi M. Lombardi Satriani. E il critico letterario Pasquino Crupi di lui ha detto: “Ha saputo immettere nella narrativa italiana la voce dell’uomo in fuga dalla Calabria, ma anche quella degli sfruttati che non vogliono pi&u grave; servire”. Nato a Sant’Agata del Bianco in provincia di Reggio Calabra, a ventuno anni smette i panni del muratore e, dopo le lezioni di Giacomo Debenedetti all’Università di Messina, imbocca il percorso che lo condurrà al successo e all’inedia. La sua prima opera è “La Marchesina” del 1956. Nel 1960 con “Tibi e Ta scia” vince il premio internazionale “Veillon”. I suoi libri sono stati tradotti in Francia, Inghilterra, Germania, Stati Uniti. Oggi, dimenticato dalle case editrici e dalla critica, suo malgrado confessa: “ Con i premi ricevuti e la vendita dei libri avevo risparmiato del danaro che ho usato in questi anni di silenzio e di isolamento. Ora quel denaro è finito, e io, insieme a mia moglie, mi trovo in una grave situazione economica”. Ha riferito, dopo averlo incontrato, Matteo Cosenza, direttore del Quotidiano della Calabria, che ha pubblicato la richiesta di applicazione della legge Bacchelli per Strati: “Lo scrittore vive in una condizione d’indigenza di cui l’Italia, che ha un grande debito nei suoi confronti, ha il dovere di interessarsi”. S’è mobilitata, fin nelle pieghe più recondite, una regione intera che, come la Sicilia per Sciascia, per Strati, che ha raccontato “I lazzaroni del Sud” (Mondadori,1972), è stata una metafora d’amore e odio. A distanza di un mese dalla confessione dello scrittore, la domanda da farsi è: tutto qui? Uno spumeggiante entusiasmo che non si tramuta in atti concreti? Forse no. Però, anche se la giostra si fermasse ora, sarebbe una lezione su cui riflettere. Intanto, non si creda che Strati sia un affare solo calabrese. E’ invece una ferita enorme, che riguarda l’intera Italia. L’abbandono di Strati è il risvolto di ciò che Gian Enrico Rusconi (L’Unità del 3 febbraio) ha definito “un Paese decaduto e sfaldato, in preda a un imbarbarimento dei costumi”. Lo spettacolo mediatico nazionale ogni giorno tritura migliaia di notizie. Però di Strati neanche un rigo o un’immagine. Se un uomo della tempra dello scrittore di Sant’Agata del Bianco, è costretto a confessare: “Non ho i soldi per la spesa”, l’Italia dei grandi giornali e delle tv spazzatura non gli riserva neanche un box in terza o uno spazio a tarda sera. Badate: neanche un rigo su un foglio nazionale. La moglie di Bonolis è intervistata da riviste patinate, ma Strati, scrittore da cui non si può prescindere per capire la narrativa contemporanea e il meridionalismo, è ignorato. Morto vivente che cammina. E forse, col suo fardello di citazioni classiche e di storia vissuta, infastidisce il sistema mediatico che per non incepparsi deve ingurgitare tir di banalità. Di questo demonio che ha eletto l’istantaneità a proprio ideale supremo e solletica il peggio della “società inselvatichita” all’insegna dell’ottimismo di maniera, Benedetto XVI e il cardinale Bagnasco forse dovrebbero occuparsi di più. Ma se cosi è per i giornali, la tv pubblica nazionale, che non nega una ripresa neppure a pluriassassini rei confessi, su Strati avrà fatto chissà quanti servizi, per amplificare il suo scoramento e sensibilizzare l’opinione pubblica. Macchè! Su Strati, nel mezzo di un guazzabuglio di programmi demenziali e senza qualità, messi all’indice persino dalla relazione rassegnata al Parlamento dal & nbsp;Presidente dell’Autorità di garanzia per le Comunicazioni, niente di niente. Nel suo saggio (La veduta corta, il Mulino), Tommaso Padoa Schioppa ricorda che nel novembre del 2008 la regina Elisabetta d’Inghilterra, in visita alla London School of Economics, a proposito del disastro finanziario, chiede: “Perché nessuno se n’è accorto?” La risposta è, appunto, lo sguardo corto della società. Il dantesco “Or chi s’è tu che vu ò sedere a scranna/ per giudicar di lungi mille miglia/con la veduta corta di una spanna?” Bè, l’indifferenza verso Strati è il segno di “quella veduta corta” dei nostri giorni. Che affligge come un cancro anche i media. Impastati in un nichilismo che non spinge a occuparsi delle cause degli eventi e li induce ad appiattirsi sull’istante, proprio come si conviene alla “modernità liquida” descritta mirabilmente da Zygmunt Bauman. Inoltre, un autore prestigioso come Strati ha il torto di essere calabrese e di non avere santi in quel paradiso dove Fabrizio Corona è un dio ai cui piedi s’inchinano le agnostiche folle televisive. Indoviniamo che c’è un Paese senza più memoria, leggendo le dure parole di Strati. E che se una regione non conta nel potere politico che tutto muove (specie nella tv pubblica), anche i suoi figli di talento sono messi all’angolo. Del resto un Paese che, nel cataclisma economico mondiale, per non smarrirsi del tutto crede per davvero che gl’immigrati siano il male assoluto, come potrebbe occuparsi di Strati e dei suoi libri? Come potrebbe interessarsi dell’autore del Selvaggio di Santa Venere, il mostro mediatico che riflette e amplifica il disorientamento del Paese? Ha ragione Aldo Grasso, quando dice che è tutto un autoscatto: i premi mondiali, persino lo Strega (pare si sappia già il nome del prossimo vincitore), ma soprattutto la tv italiana che si parla addosso “e non ama confrontarsi con le alterità”. Questa è l’andazzo, caro Strati. Dunque, si rassegni al tempo che viviamo. E ad entrate nel pantheon dei romanzieri, ma post mortem. La Calabria, che avrebbe interesse a valorizzare un protagonista del suo spessore, dato che il suo “non essere” nel circuito dei media che influenzato l’immaginario collettivo, dipende anche dal fatto che non ha uno scrittore potente e di successo che ne racc onti le vicissitudini, è semplicemente impotente. Non ce la fa a infilarla in uno dei tanti contenitori mediatici nazionali perché, nel cliché imperante, essa può generare solo delitti, mafie, sfracelli ambientali e ruberie. In un Paese normale, “E’ il nostro turno” avrebbe dovuto essere il manifesto di un’intera generazione di nuovi politici tenuti nelle retrovie. O di una generazione conculcata da anziani leader che non mollano neanche se li scotenni: in politica, nel sindacato, nell’imprenditoria e nelle varie Università. E’ invece il titolo di un grande libro di Strati (Mondatori 1975). Di cui gli italiani di questo secolo non sapranno mai nulla dalle tre reti della Rai, dai giornali più venduti e dai magazine infarciti di pubblicità. ALTRE OPERE DI SAVERIO STRATI La Teda (Mondatori, 1956) Mani vuote (Mondatori, 1960) Avventure in città(Mondatori, 1962) Il nodo (Mondatori, 1965) Gente in viaggio (Mondatori,1966) Il Codardo (Bietti, 1970) Il Selvaggio di Santa Venere (Milano, 1977) IL Diavolaro (mondatori, 1979) La conca degli aranci (Mondatori, 1986) Per non ricevere più alcuna comunicazione e cancellare la tua iscrizione clicca qui: http://www.francoabruzzo.it/newsletter/unsubscribe.asp?UID=144940&UID2=9964045240 -ANT-S43-R68746- |
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