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clinica Raffaele, l'ospedale della solidarieta'
- Subject: clinica Raffaele, l'ospedale della solidarieta'
- From: "Alessandra Buccheri" <alessandrabuccheri at hotmail.com>
- Date: Wed, 12 Dec 2001 17:29:55 +0100
Luogo: South Korea Tema: clinica Raffaele, l'ospedale della solidarieta' Data: 12/12/2001 Fonte: MISNA In mezzo ai poco più di 46 milioni di abitanti della Corea del Sud vivono 500 mila stranieri provenienti da 176 nazioni. Di questi 178 mila, secondo il ministero della Giustizia, risiedono illegalmente dopo aver superato i termini di permanenza previsti dal loro permesso di soggiorno. Statisticamente parlando non si può dire che il fenomeno sia allarmante, tuttavia le condizioni di vita dei lavoratori stranieri, illegali o no, preoccupano gli ambienti più sensibili della società civile. Da queste preoccupazioni a Seoul, nella cui area metropolitana si concentra la metà dei sudcoreani, è sorta alcuni anni fa la Clinica Raffaele, un'esperienza di volontariato in campo sanitario promossa da alcuni medici e professori cattolici dell'Università nazionale di Seoul. Il 13 aprile 1997 presso la parrocchia cittadina di Hehwa Dong un gruppo di medici ha cominciato a mettersi a disposizione per visite gratuite ai lavoratori stranieri. Da quel giorno l'iniziativa non ha fatto che crescere. Via via attorno ai dottori si sono raccolti studenti universitari di medicina (40 circa), religiosi, un gruppo di laici protestanti ed anche altri volontari non credenti: un'ottantina di persone in tutto. Due domeniche pomeriggio al mese la clinica apre i battenti nei locali del centro giovanile cattolico ospitato al quarto piano della Dong Sung High School, adiacente alla parrocchia di Hewha Dong. Un lungo corridoio viene suddiviso con paraventi che lo trasformano in un congestionato poliambulatorio. Si ricevono in media 400 pazienti per turno di apertura. La folla chiassosa è composta da donne e uomini di varie nazionalità: il gruppo più grosso è costituito da cinesi di origine coreana, tutt'intorno bangladesi, mongoli, filippini, pakistani, indiani e qualche africano. Il primo approccio è con i volontari addetti alla segreteria che annotano i dati della persona su una schedina (ve ne sono ormai 10 mila) e poi smistano ciascuno a seconda delle esigenze. C'è chi chiede e riceve anche abiti, riso o assistenza legale, ma la maggior parte delle persone è lì per una visita specialistica. Alcune di loro, più familiari con la lingua coreana, si prestano per fare da interpreti insieme ai volontari locali. I medici sono 25. Uno dei servizi più utilizzati dalla clinica Raffaele (nel cui logo appare un arcangelo con stetoscopio) è quello dentistico a cui si alternano due o tre specialisti. Gli interventi sono in media una ventina. Gli esami di laboratorio più semplici (su sangue e urine, ad esempio) vengono realizzati con i mezzi della Clinica dagli studenti. Per la diagnostica più complessa si fa ricorso ad una clinica privata, che offre i servizi gratuitamente, o all'ospedale dell'Università nazionale di Seoul. Per gli interventi chirurgici i pazienti vengono indirizzati all'ospedale della Croce rossa. "I lavoratori immigrati - spiega il direttore amministrativo della Clinica, dott. John Kim Jun - arrivano a lavorare fino a 20 ore al giorno senza la garanzia di ricevere il salario. Lo stress giunge anche a causare depressione, ma le malattie professionali più comuni derivano dal sollevamento di pesi. Vi sono poi frequenti problemi gastrointestinali indotti dal nuovo tipo di alimentazione". Più dell'80 per cento dei farmaci distribuiti viene regolarmente acquistato, il resto proviene da omaggi. Per le sue attività la Clinica spende ogni mese 7 milioni e mezzo di won (circa 14 milioni di lire). L'impresa non sarebbe possibile senza l'appoggio economico fornito da un gruppo di sostenitori.
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