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ultime notizie dal Kossovo
- Subject: ultime notizie dal Kossovo
- From: Associazione per la Pace <ufficiostampa@assopace.org>
- Date: Wed, 31 Mar 2004 13:44:14 +0200
- Disposition-notification-to: Associazione per la Pace <ufficiostampa@assopace.org>
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*I primi giorni di scontri a Mitrovica*
*Dal *
*nostro collaboratore
ASSOPACE
Giambattista Pace*
*Pristina*. Qualcuno mi chiedeva di scrivere degli appunti su quel che
accadeva. Gli appunti ci sono, tutti segnati, per sempre, sul bloc notes
della memoria. Le penne quelle non c'erano, rimaste con tutto il resto
nella mia casa a Mitrovica sud.
Finalmente siamo liberi, noi comodi e privilegiati profughi di questa
battaglia che non volevamo, non speravamo e di cui siamo stati inermi
testimoni.
Mercoledi' 17 marzo era una mattina di splendida primavera a Mitrovica,
nessuno avrebbe potuto immaginare l'imminente cambio di stagione verso
il torrido non estivo ma infernale.
Contavano solo 6 giorni dal mio arrivo in questa terra tormentata, il
Kossovo.
Ero riuscito con circospezione e cautela a vivere qualche giorno di
normalita': lunedi' avevo conosciuto i nostri operatori locali, proposto
loro il mio progetto di comunicazione verso il quale sembrava esserci un
bell'entusiasmo, martedi' avevo partecipato alle prime attivita' con i
bambini nel quartiere misto a nord di Bosniak Mahala.
Tutto sembrava maledettamente normale, come quando avevo per la prima
volta messo piede in quella citta' e mi aveva colpito quella maledetta
normalita'. Dusan, Daniel, Sokol, Naser, Advje (che aveva subito preso a
chiamarmi Giovanni risultandole il mio nome piuttosto ostico) ora posso
solo collegare i loro nomi ai volti grazie alle premurose comunicazioni
che Simona, il mio capo progetto, mantiene con loro per assicurarsi che
stiano bene, loro che hanno creduto nell'integrazione, in una Mitrovica
migliore, in un Kossovo migliore.
Siamo ancora qui, non ce ne siamo andati, solo a poca distanza da voi,
per dire che la costruzione della pace e' un cammino difficile e che non
vi faremo mancare il nostro appoggio.
Noi non fuggiamo nelle nostre comode case o a riabbracciare i nostri
premurosi cari perche' se un mondo migliore e' possibile lo e' qui e
subito, non domani, non per conto di chissa' chi.
La notizia dell'annegamento dei bambini albanesi ci era giunta in
ufficio in mattinata, una mattinata apparentemente normale, sarebbe
stata l'ultima. Ci avevano riportato che erano stati i serbi a spingere
i bambini nel fiume. In seguito sarebbe arrivata prima la smentita del
portavoce UNMIK, Chapell, poi la conferma della mancanza di prove
<http://www.balkanpeace.org/hed/archive/mar04/hed6307.shtml> che
dimostrasse l'accaduto. Ci siamo precipitati in strada poco dopo
sentendo il vociare dalla strada, la scena ci si e' subito presentata
per quello che era: una sommossa, e il gas dei lacrimogeni sparati dal
carro UN ce lo confermava. Solo dopo avremmo saputo dai testimoni
privilegiati (gli UNMIK di Jugobanka, finestre vista ponte) che le
manifestazioni albanesi in mattinata erano state ben 3: due pacifiche
(la seconda con una corposa presenza di bambini), la terza violenta.
Di li' a poco il ponte metallico di Mitrovica si e' messo a suonare,
scosso dalle pietre che da una parte all'altra avevano cominciato a
volare, un triste preludio alle pietre di metallo che sputate dalle armi
da fuoco qualche istante dopo avrebbero ucciso. E in tutto questo le
pochissime forze KFOR ci sembravano inermi e impreparate ad affrontare
la situazione, curioso per un paese militarizzato ormai da anni. Per noi
giusto il tempo di attraversare la passerella pedonale che permette
l'accesso alle tre torri abitate dagli albanesi nella parte nord,
nessuno ce lo ha impedito, nonostante la zona sia presidiata dai soldati
francesi (ce ne erano 4 in quel momento), tutto avveniva sul ponte
principale a pochi metri, e noi volevamo incontrare il nostro operatore
serbo che ci attendeva per quella che doveva essere la nostra attivita'
giornaliera nel quartiere di Bajnska. Non c'e' stato tempo per quella
attivita', perche' era iniziata la battaglia, che intanto si era estesa
anche alle torri con una fitta sassaiola da parte serba e una donna a
urlare la sua disperazione: "perche' ci tirate le pietre, noi non siamo
colpevoli". Lo stesso grido di dolore che sara' risuonato poco dopo nei
villaggi serbi in fiamme e dalle pietre, se solo avessero la parola, dei
monasteri e delle case ormai perduti per sempre. Noi, il cuore in gola,
iniziavamo il nostro piccolo calvario rifugiandoci prima in casa
dell'operatore Sokol, poi sarebbe stata la volta della Jugobanka, per
continuare con il Belvedere francese, l'abitazione di una nostra
funzionaria presso la rappresentanza diplomatica a Pristina e infine
quella di alcuni amici.
Cominciava la ridda di rumors, indiscrezioni, notizie carpite, ma non
avremmo piu' visto.
Purtroppo l'udito non ci ha impedito, per la prima volta in vita mia,
di ascoltare la guerra, gli spari che ci hanno accompagnato per due
notti intere, senza sapere dove fossero diretti ne' da chi fossero sparati.
*Giambattista Pace*
*Collaboratore Assopace*
*
*
**
*Q**uel ponte che segna il confine*
In questo momento il personale italiano dell'Associazione per la Pace,
una cooperante ed un volontario, sono rinchiusi all'interno della base
militare della Kfor francese a Kosovska Mitrovica. Non sono stati
"evacuati" come molto altro personale internazionale in queste ultime
ore in Kossovo, ma semplicemente "riallocati" in un luogo più sicuro
rispetto al quartier generale dell'Onu. Le condizioni di sicurezza per
trasportare il personale internazionale lontano dagli scontri non
c'erano. Sono stati scortati dai blindati ieri notte e ora si trovano al
sicuro all'interno della base miltare ma ancora vicini a quella linea di
confine geografico, politico ed etnico che è il fiume Ibar.
Quante volte abbiamo attraversato quel ponte dopo il 1999 non lo so. Una
volta non ci hanno permesso di attraversarlo con l'auto perché c'era il
coprifuoco, costringendoci a lasciare l'auto a sud e trasportare i
bagagli fino a casa nella parte nord. Eravamo presenti l'ultima volta
che si sono verificati scontri di una certa gravità, nell'aprile del
2002, e in quell'occasione lo attraversammo solo dopo 24 ore di attesa,
qualche serbo e un soldato francese feriti. Poi siamo riusciti ad
attraversarlo insieme al primo gruppo di turisti italiani nel Kossovo
del dopo-guerra, nell'estate di quello stesso anno. E siamo riusciti a
farlo attraversare per la prima volta anche ai bambini serbi e rom per
recarsi a realizzare il circo della pace a sud, nell'estate 2003, prima
attività multi-etnica dopo anni di lavoro parallelo con le comunità.
Lo abbiamo attraversato l'inverno scorso, quando una granata è stata
lanciata contro la sede della polizia dell'Unmik, e lo abbiamo
attraversato questo inverno quando neanche controllavano più i documenti
(e sembrava quasi una città normale), se non fosse che i serbi a nord
avevano già cominciato a bruciare le case dove si apprestavano a
ritornare gli albanesi, e gli albanesi a sud ogni tanto ammazzavano
qualche serbo tanto per scoraggiare ogni tentativo di ritorno. I rom
continuavano a bruciare solo vecchi legni e copertoni per riscaldarsi,
troppo poco coperti con i dieci gradi sotto zero delle serate invernali.
Dopo di noi e insieme a noi hanno cominciato ad attraversarlo anche gli
operatori locali, serbi che con molta prudenza si sono spinti dall'altra
parte, albanesi e rom che con altrettanta prudenza hanno messo il naso
al di fuori delle loro enclave. Sono questi i segnali "pericolosi" che
hanno convinto le forze nazionaliste a imprimere un'accelerata
all'escalation di violenza da tempo programmata per raggiungere la tanto
agognata soluzione definitiva?
Anche questi.
Fanno paura, a chi fomenta i disordini, a chi guadagna con il traffico
di armi, a chi si arricchisce in un sistema economico poco trasparente,
a chi si autolegittima con le armi, tutti i segnali di ripresa del
dialogo e di democratizzazione. Le ultime dichiarazioni di Rexhepi e
Ivanovic andavano in questo senso. La gente lo voleva.
Abbiamo incontrato decine e decine di giovani durante questi anni e in
tutti era forte l'esigenza di tornare alla normalità, anche se questo
significava lavorare con la controparte. I fatti dimostrano il
contrario? No, i fatti dimostrano semplicemente che non appena queste
esigenze si manifestano vengono stroncate sul nascere. E' questa la
prima guerra che si combatte in Kosovo come in altri territori non
pacificati come la Bosnia. Troppi interessi economici e politici dietro
il conflitto per consentire il ritorno alla normalità.
Quali mezzi abbiamo messo in campo per condurre questa guerra? Pochi ed
inadeguati. Distolti verso nuove emergenze, Afghanistan prima, Iraq
dopo. Chi come noi è rimasto a Mitrovica, lo ha fatto con pochi
spiccioli della cooperazione decentrata (grazie al Comune e alla
Provincia di Venezia). Il grosso della cooperazione internazionale ha
finanziato la ricostruzione delle case (ora ridistrutte), delle strade
(che i mezzi cingolati pesanti distruggeranno nuovamente), o degli
ospedali (ancora divisi etnicamente), oppure il ritorno dei profughi
(prima discriminati, poi sfollati, poi vittime) ma solo una piccola
parte la formazione al dialogo e alla tolleranza, l'empowerment dei
gruppi nonviolenti, la democratizzazione diffusa e dal basso, il disarmo
delle milizie di entrambe le parti. L'Uck non solo è stato tollerato
(tranne alcuni esponenti di spicco incriminati dal Tpi con conseguenti
proteste dei nazionalisti) ma è stato trasformato in formazione di
polizia ufficiale, i paramilitari serbi tollerati per par condicio. Si
dice ora: "il fallimento dei tentativi di dialogo", "il fallimento delle
politiche inter-etniche": si tenta di costruire (sul terreno paludoso
dei bombardamenti Nato) un palazzo con dieci sacchi di sabbia e uno di
cemento, il palazzo crolla e si da la colpa al cemento.
* *
*Associazione per la Pace *
*Coordinatore Nazionale *
*Davide Berruti
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