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(Fwd) N.E. Balcani #671 - USA/Balcani
- Subject: (Fwd) N.E. Balcani #671 - USA/Balcani
- From: "Davide Bertok" <davide@bertok.it>
- Date: Thu, 22 May 2003 14:15:34 +0200
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N.E. BALCANI #671 - USA/BALCANI
22 maggio 2003
USA E BALCANI: GRANDI MANOVRE
di Andrea Ferrario
Una rassegna di come i singoli paesi balcanici hanno reagito alla
guerra in Iraq e alle conseguenti pressioni degli USA
[NOTA: Distribuiremo oggi anche un pezzo di "Vreme" che spiega più
nei dettagli i retroscena del disgelo tra USA e Serbia. In fondo
all'articolo potete trovare una lunga serie di link ad articoli sul
tema USA/Iraq/Balcani]
La guerra contro l'Iraq, nonostante la sua breve durata, ha avuto
notevoli ripercussioni nei Balcani. Gli USA infatti, nel corso dei
preparativi bellici, hanno puntato molto sull'Europa Orientale per
gonfiare il numero dei paesi favorevoli alla guerra. Quando ha
ottenuto i primi successi in questa operazione, Washington ha
cominciato a parlare di una "Nuova Europa", contrapposta alla
"Vecchia Europa" di Francia e Germania, contrarie alla guerra senza
l'egida ONU. Dopo avere incassato il sostegno di paesi come Polonia,
Repubblica Ceca e Ungheria, gli Stati Uniti si sono spinti anche nei
Balcani, dove hanno ottenuto subito il pieno sostegno di Bulgaria e
Romania, che sono andate molto più in là dell'appoggio alla guerra
contro l'Iraq, offrendo i loro territori per la costruzione di nuove
basi militari USA. Oggi, a guerra terminata, gli USA continuano a
esercitare pressioni sui paesi balcanici, sia affinché inviino propri
contingenti in Iraq sia per ottenere la firma di accordi bilaterali
che garantiscano l'immunità dei cittadini e militari statunitensi di
fronte al Tribunale Internazionale (con la minaccia di tagliare gli
aiuti militari se non lo faranno entro luglio). Al fine di conseguire
questi scopi, Washington usa la classica politica del bastone e della
carota, laddove il primo è rappresentato soprattutto dalla minaccia
di finire nel "libro nero" degli USA, con le relative conseguenze
politiche, e la seconda consiste nell'allettare i paesi balcanici con
la promessa di ottenere subappalti per la ricostruzione dell'Iraq e
significativi investimenti americani. Nell'ambito di questa tattica,
che sta ottenendo successo, il bastone sembra prevalere sulla carota.
Le posizioni dei singoli paesi non sono comunque identiche, come
vedremo nella rassegna qui sotto.
ALBANIA
L'Albania è stato uno dei primi paesi ad aderire alla linea di
Washington, firmando nel febbraio scorso la dichiarazione dei paesi
del Gruppo di Vilnius a favore della guerra anche senza l'egida ONU.
Tutti i partiti politici albanesi hanno sostenuto tale linea e
pertanto non vi sono stati problemi, dopo la fine del conflitto, nel
decidere l'invio di un contingente in Iraq. A fine aprile sono
partiti per Baghdad 75 soldati albanesi, che svolgeranno operazioni
di pattugliamento nella capitale, sotto il comando statunitense. Un
viceministro albanese è stato inoltre tra i candidati alla carica di
governatore di Bassora, andata poi a un danese. La decisione che più
ha schierato politicamente l'Albania è stata quella di firmare con
gli USA un trattato che impegna il paese a garantire l'immunità ai
cittadini statunitensi che si trovano nel paese e a non estradarli al
Tribunale Internazionale: l'Albania è stata il primo paese europeo a
firmare un tale accordo dopo la Romania, che lo aveva fatto già
l'anno scorso. Tirana si è anche detta ufficialmente disposta ad
accogliere basi militari USA sulle proprie coste, anche se Washington
ha precisato che attualmente una tale eventualità non è ancora allo
studio. Il governo albanese ambisce a ottenere subappalti nell'ambito
della ricostruzione dell'Iraq, ma gli Stati Uniti non sono andati
oltre l'impegno a segnalare l'interesse albanese alle aziende USA
appaltatrici. La più grande tra queste ultime, la Bechtel, ha
cancellato una propria conferenza a Tirana, perché evidentemente non
interessata al coinvolgimento di aziende albanesi. Negli ultimi mesi
comunque alcune grandi aziende statunitensi hanno avviato o
finalizzato accordi per opere in settori strategici dell'economia
albanese come quello aereo, energetico e portuale, con in prima fila
Lockheed Martin e General Electric. Va infine menzionato che
l'Albania è l'unico paese d'Europa, fatta eccezione per il Kosovo
sotto protettorato, in cui la maggioranza della popolazione, stando
ai sondaggi, è stata a favore della guerra contro l'Iraq.
BOSNIA-ERZEGOVINA
Essendo un protettorato internazionale, nonché un paese privo di
strutture politiche ed economiche stabili, la Bosnia è stata
coinvolta solo marginalmente nelle grandi manovre politiche di
Washington nei Balcani. Per gli USA il paese continua a essere
soprattutto un potenziale covo di terroristi islamici da tenere sotto
controllo. Washington ha comunque chiesto anche alla Bosnia di
firmare un accordo di non estradizione dei cittadini americani al
Tribunale Internazionale, ottenendo un successo a metà: il governo
bosniaco si impegna infatti a garantire immunità e non estradizione
solo ai cittadini americani che fanno parte della missione in Bosnia,
e non a tutti gli altri, come chiedevano gli USA. Tale immunità, tra
l'altro, era già sostanzialmente garantita dagli accordi di Dayton.
In occasione della firma, comunque, gli USA hanno incassato anche il
sostegno politico dei vertici della Republika Srpska.
BULGARIA
La Bulgaria ha avuto un ruolo particolarmente importante nella
strategia USA, per un fatto essenzialmente casuale: il paese
quest'anno è membro non permanente del Consiglio di Sicurezza
dell'ONU. In tale sede il rappresentante bulgaro si è schierato con
Washington nel tentativo di raccogliere una maggioranza a favore
della guerra. Insieme alla Romania, la Bulgaria è stata il primo
paese balcanico a offrire la concessione di basi militari agli USA e
lo ha fatto con particolare slancio, giungendo a consegnare a
Washington un elenco di ben 30 possibili sedi. Nel corso di una sua
recente visita a Sofia, Powell ha ringraziato la Bulgaria per essere
stata "la mano destra degli USA nella guerra contro il terrorismo e
Saddam" e riguardo alle basi ha specificato che non è ancora stata
presa alcuna decisione e che comunque si tratterà eventualmente di
basi di dimensioni limitate, il cui compito sarà principalmente
quello di facilitare i ponti aerei verso il Medio Oriente. A maggio
il governo di Sofia ha deciso di inviare in Iraq un contingente di
circa 480 uomini, che sarà di stanza nella zona sotto controllo
polacco e si occuperà tra le altre cose di ordine pubblico. Più
controversa la posizione della Bulgaria riguardo a un accordo
bilaterale "anti-Tribunale Internazionale": il governo aveva già dato
la sua disponibilità in passato, ma le divisioni politiche nel paese
potrebbero rendere difficile la ratifica di un eventuale accordo, un
fatto che frena l'esecutivo. In Bulgaria si è infatti aperta una
frattura tra il presidente della repubblica Parvanov, socialista e
oppositore della guerra senza egida ONU, e il governo dell'ex zar
Simeon, schierato con gli USA. L'opinione pubblica è schierata contro
la politica USA e il Partito Socialista, in testa ai sondaggi, ha
cavalcato la tigre organizzando raccolte di firme e manifestazioni
antiguerra, nonostante le sue posizioni siano rigidamente
filoatlantiche. A livello economico, Sofia spera di riuscire a
ricuperare parte dell'ingente debito dell'Iraq nei suoi confronti, ma
finora gli USA non hanno dato molte speranze a tale proposito. Anche
per quanto riguarda eventuali subappalti, Washington ha fatto solo
dichiarazioni vaghe.
CROAZIA
Schieratasi in un primo tempo a fianco degli USA (a quanto pare sotto
pesanti minacce) con la firma della dichiarazione del Gruppo di
Vilnius, il governo di Zagabria ha successivamente ritirato il
proprio appoggio e il suo governo si è pubblicamente dichiarato
contrario all'imminente guerra, adottando posizioni analoghe a quelle
di Francia e Germania. Di fronte a questo voltafaccia, l'ambasciatore
USA in Croazia ha avuto una posizione molto scomposta e ha minacciato
esplicitamente il paese di pesanti conseguenze. I primi segnali di
ritorsione si sono avuti quando Washington ha deciso prima di
rimandare la firma della Partnership USA-Adriatica con Albania,
Croazia e Macedonia e poi di organizzare la cerimonia di firma a
Tirana e non a Zagabria, come era originariamente previsto. Il
governo croato ha anche deciso di non firmare l'accordo bilaterale
"anti-Tribunale Internazionale" proposto dagli USA, affermando
apertamente che è in contraddizione con la posizione adottata
dall'UE. Con ogni probabilità Washington reagirà a questa decisione
annullando i 19 milioni di dollari stanziati per la riforma
dell'esercito croato. Gli Stati Uniti riescono comunque ancora a
ottenere da Zagabria importanti concessioni, come indica il fatto che
la Croazia sia stata obbligata ad accettare un accordo per lo
stazionamento nel paese di navi e aerei statunitensi, con il quale
Washington si arroga scandalose immunità per i propri funzionari e
soldati. La Croazia è il paese balcanico in cui è stato più forte il
sentimento popolare contro la guerra voluta dagli USA e della Gran
Bretagna, un fatto che sicuramente ha inciso sulle decisioni prese
dal governo.
MACEDONIA
La Macedonia, che continua ad avere una scena politica altamente
instabile e dove i rapporti tra albanesi e macedoni permangono tesi,
ha dato il proprio sostegno alla guerra agli USA e ha inviato in Iraq
un proprio contingente militare simbolico, composto da 28 uomini. E'
interessante notare come tale contingente sia formato pressoché per
intero da membri delle unità speciali dei "Lupi" e degli "Scorpioni",
utilizzate nel 2001 per combattere la guerriglia albanese dell'UCK.
La visita a Skopje del vicesegretario alla difesa Wolfowitz non ha
prodotto, fino al momento in cui scriviamo, l'effetto sperato di
ottenere una firma della Macedonia che garantisca la non estradizione
dei cittadini americani al Tribunale Internazionale. Il governo di
Skopje comunque non ha nemmeno opposto un rifiuto.
ROMANIA
Il governo del più grande paese balcanico in termini di popolazione è
stato tra i più entusiasti sostenitori della guerra di Bush e Blair.
La Romania infatti ha risposto positivamente, e in maniera rapida,
all'appello di Washington a schierarsi al suo fianco quando la guerra
era imminente e, come la Bulgaria, ha offerto di accogliere basi
militari permanenti degli USA. Bucarest aveva inoltre inviato un
proprio contingente simbolico in Iraq già durante la guerra. Il
governo romeno era stato tra i primi, l'anno scorso, a firmare un
accordo "anti-Tribunale Internazionale" con Washington, accordo che
tuttavia non è ancora stato ratificato dal parlamento. Infine a
maggio la Romania ha deciso di inviare in Iraq un altro contingente
militare, composto da 470 uomini, che opereranno sotto il comando
britannico, insieme alle truppe italiane.
SERBIA
Quello della Serbia è senz'altro il caso più interessante. Da una
parte, infatti, Belgrado non è stata sottoposta a particolari
pressioni da parte di Washington per ottenerne il sostegno alla
guerra in Iraq, l'invio di truppe o l'immunità per i cittadini
americani. Dall'altra, la Serbia è stata il paese che ha ottenuto più
di altri riconoscimenti e aperture politiche da parte degli USA. Ciò
è dovuto in parte anche alla coincidenza temporale tra la guerra in
Iraq e lo stato di emergenza introdotto in Serbia dopo l'assassinio
del premier Djindjic. La nuova dirigenza di Belgrado è
particolarmente apprezzata dai funzionari statunitensi, che hanno
operato negli ultimi mesi una vera e propria svolta nei rapporti con
la Serbia. Ai dirigenti serbi è stato subito perdonato lo scandalo
della vendita illegale di armi all'Iraq, scoppiato a fine ottobre
2002 e che vedeva direttamente coinvolta la Jugoimport, una delle più
grandi aziende del paese, specializzata nell'import-export di
armamenti. Lo scandalo è stato insabbiato dal governo di Belgrado
senza che Washington insistesse per l'individuazione dei
responsabili, come è invece avvenuto in Bosnia, dove per lo stesso
traffico di armi si sono dovuti dimettere alti funzionari
dell'esercito e dello stato. Secondo un articolo di "Vreme" uscito
oggi [e che distribuiamo in parallelo al presente articolo] il
governo serbo avrebbe fornito agli USA importanti informazioni
segrete sull'Iraq, guadagnandosi i favori dell'amministrazione
statunitense. Lo scandalo Jugoimport coinvolgeva direttamente il
ministro degli interni serbo Mihajlovic e l'attuale premier Zivkovic,
entrambi nel consiglio di amministrazione dell'azienda. Solo un mese
dopo l'insabbiamento dello scandalo, una delegazione della Jugoimport
si recava a Washington per stipulare accordi commerciali.
Successivamente gli stabilimenti Zastava hanno firmato un accordo per
la vendita di armi leggere agli USA. L'amministrazione statunitense
ha dato il proprio pieno appoggio all'introduzione dello stato di
emergenza in Serbia e, mentre la guerra in Iraq era in corso, Powell
ha trovato il tempo di recarsi in visita a Belgrado per dare il
proprio pieno appoggio al governo di Belgrado, dichiarandosi
"entusiasta" delle misure introdotte dopo l'assassinio di Djindjic.
Ai primi di maggio il presidente Bush ha emesso un decreto che
autorizza la vendita di armi alla Serbia, definendo quest'ultima un
paese amico e importante per gli interessi nazionali degli USA. Nel
mese di aprile la Jugoimport ha aperto un proprio ufficio a Bagdad
con l'autorizzazione degli USA e poco dopo veniva annunciato che
l'azienda era stata incaricata di coordinare le aziende serbe che
parteciperanno alla ricostruzione dell'Iraq. La Serbia dispone di
carte molto migliori rispetto agli altri paesi balcanici per quanto
riguarda l'ottenimento di subappalti, perché le sue aziende hanno
avuto un'ampia esperienza in Iraq, in particolare nel settore delle
costruzioni, anche fino a tempi recenti, sotto Saddam Hussein. La
Jugoimport sta già discutendo progetti concreti con le grandi aziende
USA appaltatrici, mentre gli altri paesi balcanici fino a oggi non
hanno ancora avuto contatti diretti con queste ultime. Washington ha
inoltre allo studio la possibilità di fare di Belgrado il centro
delle proprie strutture antiterroristiche e diplomatiche nei Balcani
e a tale scopo nel prossimo autunno giungeranno in Serbia funzionari
di FBI e DEA. Nella stampa serba era anche circolata la voce secondo
cui l'aeroporto di Nis, che verrà ricostruito per intero, sarebbe
destinato a diventare una base USA, ma Washington ha smentito
recisamente la notizia. Va infine segnalato che il governo di
Belgrado ha chiesto e ottenuto in questi giorni da Carla Del Ponte la
promessa di potere processare in Serbia parte degli incriminati dal
Tribunale dell'Aia.
TRA USA E UE
Le manovre politiche degli USA nei Balcani hanno nel complesso
ottenuto successo. Fatta eccezione per la Croazia, gli altri paesi
hanno tutti soddisfatto le richieste più importanti di Washington,
senza potere pretendere molto in cambio. Le dirigenze politiche dei
paesi balcanici hanno dato un'ulteriore dimostrazione del baratro che
le divide dalle rispettive popolazioni, in larghissima maggioranza
contrarie alla guerra. E' chiaro tuttavia che i leader politici si
sono preoccupati più delle possibili reazioni dell'UE, che dei propri
popoli. Prima della guerra contro l'Iraq ci sono state tensioni
notevoli con alcuni paesi dell'Unione, in particolare la Francia, ma
ora l'atteggiamento di Bruxelles nei confronti dei paesi balcanici
schieratisi con gli USA sembra molto più moderato. Non bisogna
d'altronde dimenticare che l'UE non è unita nelle sue posizioni e che
uno dei paesi con i maggiori interessi economici nei Balcani,
l'Italia, ha appoggiato la linea USA, un fatto che sicuramente ha
incoraggiato le dirigenze politiche balcaniche ad accettare le
richieste di Washington.
LINK A MATERIALI PRECEDENTI SU USA/IRAQ/BALCANI:
Da "Notizie Est" (http://www.notizie-est.com):
Zivkovic, la Jugoimport e i traffici d'armi con l'Iraq
Serbia: il Patto di Varsavia di Bush
Croazia: il diktat del Pentagono
Libera anche tu l'Iraq con "Bushopoli"!
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Da "Osservatorio Balcani" (http://www.osservatoriobalcani.org):
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Reazioni macedoni alla guerra in Iraq
Le reazioni montenegrine alla guerra in Iraq
Da "Reds" (http://www.ecn.org/reds):
La guerra vista dai Balcani
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