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(Fwd) N.E. Balcani #628 - Croazia
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N.E. BALCANI #628 - CROAZIA
4 marzo 2003
FAUTORI DELLA PACE
di Heni Erceg - ("Feral Tribune" [Spalato], 14 febbraio 2003)
Il "no" dei croati alla guerra in Iraq, il "sì" del loro governo, le
amnesie degli odierni fautori della pace e le parole che farebbero
venire il voltastomaco perfino al defunto Franjo Tudjman
Secondo svariate indagini d'opinione, la maggior parte dei croati
(addirittura l'85%) è decisamente contraria a un intervento militare
americano in Iraq. In questi giorni si stanno preparando
manifestazioni contro la guerra, ma anche contro il governo croato,
che con la sua firma sul documento del Gruppo di Vilnius ha accettato
di schierarsi al fianco della cosiddetta alleanza antiterroristica.
Bene! Solo che...
Non molto tempo fa, quando già la dittatura di Milosevic era al
tramonto ed era chiaro a tutti che presto sarebbe caduta,
l'amministrazione Clinton ha deciso di mostrare i denti e di
scaricare sui Balcani un po' delle sue riserve di armamenti e di
bombe imbottite di uranio impoverito. Detto, fatto! Dalla base
militare italiana di Aviano sono decollati per giorni i bombardieri
americani i quali - con il permesso ufficiale di attraversare lo
spazio aereo croato, dato nel nome del santo obiettivo democratico di
distruggere il Saddam dei Balcani - hanno scaricato il loro prezioso
carico sui civili di Belgrado e Novi Sad. Le indagini condotte allora
tra l'opinione pubblica croata hanno dato un risultato addirittura
migliore di quello di oggi... solo che di segno opposto. Allora, in
particolare, più dell'attuale 85% di fautori della pace era
entusiasta dei bombardamenti americani contro l'odiato nemico. Ed è
stato distrutto un ospedale pediatrico a Belgrado, sono stati uccisi
giornalisti della Televisione Serba, distrutti ponti e altri
obiettivi civili.
I croati in quella occasione hanno accettato con maturità, come essi
stessi sanno, la tesi americana sulla necessità dei cosiddetti danni
collaterali per potere conseguire i grandi e sacri obiettivi, e
silenziosamente godevano dei reportage della CNN "dal posto", dalle
terrazze nel cuore di Belgrado sullo sfondo dei lampi delle bombe
americane e del suono delle sirene d'allarme. Il risultato? Centinaia
di morti, tra i quali decine di bambini, distruzioni a Belgrado, Novi
Sad, Pristina, colonne di profughi albanesi... Alcuni anni dopo
Milosevic si sarebbe ritrovato all'Aia, mentre in Serbia, invece
della democrazia promessa, oggi governano insieme i nazionalisti e la
mafia. Non solo, tale paese è diventato un rifugio più che sicuro per
i sanguinari criminali di guerra Mladic e Karadzic. Chissà, tra
l'altro, se gli strateghi di guerra americana oggi si ricordano
ancora di questi due ricercati dall'Aia, che non possono arrestare
proprio per la paura dei possibili danni collaterali alle proprie
formazioni sul terreno, che ancora oggi sono disseminate sulla
maggior parte della ex Jugoslavia?
Ma non bisogna essere pignoli. Meglio qualcosa che nulla, e quindi è
positivo fare parte di un popolo che oggi in maniera così cosciente e
massiccia si rivolta contro una guerra che ha come obiettivo quello
di rovesciare un dittatore e offrire infine al popolo iracheno, sì,
tutti i comfort di una democrazia coloniale. Alla maniera serba,
bosniaca o kosovara! Il deciso "no" della Croazia alla guerra in Iraq
ci dovrebbe riempire di orgoglio: ecco, facciamo parte di un piccolo
popolo dalle grandi idee, qualcosa di simile alla Jugoslavia del
lontano anno 1948, quando Tito ha pronunciato lo storico "no" a
Stalin e al rivoltante comunismo di tipo sovietico, che era
totalmente orrendo rispetto a quello nostrano "dal volto umano".
Ma mi sono confusa? E se si trattasse di un pronunciamento antiguerra
"una tantum", che non incide su posizioni solide e rimaste sempre
immutate da un evento all'altro?
E quindi con grande sforzo cerco di ricordarmi un'uguale opposizione
plebiscitaria alla guerra in Bosnia-Erzegovina, ma non riesco proprio
a ricordarmi proteste di massa dei cittadini della Croazia che
urlassero per le vie e nelle piazze slogan anti-Tudjman del tipo:
"Non lasceremo che i nostri figli muoiano per la Grande Croazia!", o
"Nessuna bomba sui bambini di Stolac!", oppure ancora "Non
distruggete il ponte di Mostar!".
Non riesco nemmeno a ricordarmi, chissà perché, di una Conferenza
episcopale croata, sì, la stessa che oggi condanna apertamente la
posizione di Bush rispetto all'Iraq, richiamandosi al Vangelo ed
emettendo messaggi di pace e amore tra i popoli, non riesco proprio a
ricordarmi, dicevo, che la stessa Chiesa in Croazia abbiamo inviato i
medesimi messaggi di amore tra il popolo croato e quello bosniaco ai
tempi della folle aggressione di Franje Tudjman contro lo stato della
Bosnia-Erzegovina. Ma a quanto pare il motivo è solo che, come ci
insegna la stessa Chiesa, esistono guerre giuste e guerre ingiuste e
quindi logicamente c'è stato un "sì" alla "giusta" guerra in Bosnia-
Erzegovina, così come c'è un "no" alla "ingiusta" guerra in Iraq.
Tutto questo in parole povere si chiama cinismo, solo che, d'altro
canto, è noto come non sia desiderabile incolpare un'intera nazione
per un'opinione. Nemmeno quando tale opinione, come la pasta da pane,
non fa che prendere una forma a seconda di chi attacchi chi.
Ma che i croati improvvisamente scopertisi fautori della pace - e che
danno prova di una coscienza di gran lunga più sviluppata del loro
governo, che ha subito dato il proprio appoggio, addirittura senza
discuterne o attendere l'approvazione del parlamento, a un'invasione
americana dell'Iraq - non rinuncino comunque a essere affascinati
dalle armi lo dimostra un'altra indagine, secondo la quale un'altra
schiacciante maggioranza di cittadini ritiene che per la Croazia sia
tremendamente importante aderire alla NATO. Chissà mai perché coloro
che altrimenti si oppongono ferocemente alla guerra in Iraq, pensano
che per la Croazia sia decisivo aderire a una delle più grandi e
insensate alleanze di guerra.
Ma a essere sinceri, non è che tali paradossi non siano alla fine
normali in presenza di un potere che a casa sua persevera nel non
volere rivedere alcuni fatti storici, secondo i quali i croati non
sarebbero mai entrati in Bosnia con cattive intenzioni, con
intenzioni di guerra, per esempio, mentre sulla scena internazionale
accetta pieno di entusiasmo il dettato del Grande Fratello che
costringe noi piccoli a offrire sostegno logistico alle forze
americane nel loro tragitto di guerra verso l'Iraq. Addirittura, se
bisogna credere all'ambasciatore americano in Croazia, e bisogna
credergli, per quanto suoni tremendo, gli USA forse chiederanno alla
Croazia di prendere direttamente parte alla guerra nel Golfo Persico.
E se non accetterà, dice l'ambasciatore Rossin, la Croazia, "come gli
altri stati che non ci appoggiano, perderà il nostro rispetto". Detto
in altre parole, si tratta di una volgare minaccia da parte
dell'unica superpotenza mondiale, alla quale il governo del premier
Racan, forte dei grandi risultati politici fin qui conseguiti, non ha
esitato a sottomettersi.
In generale, l'esempio più eloquente della miseria politica
dell'autoproclamato primo uomo dello stato è il messaggio che Racan
ha inviato, non appena entrato nella funzione di capo supremo delle
forze armate, ai volontari croati che stavano partendo per l'Iraq.
Invece di dire loro umanamente, sapendo che vi si recavano per i
soldi, e non per gli ideali: "Ragazzi e ragazze, state attenti e non
fatevi male!", li ha eruditi con tono da imperatore, dicendo loro
che, recandosi laggiù nel fottuto Afghanistan a combattere per una
causa straniera, dovevano - state attenti! - "difendere l'immagine
della Croazia e la dignità della nostra bandiera".
Sentendo queste parole, penso, avrebbe vomitato perfino il nostro
buon vecchio dittatore Franjo Tudjman.
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