Notizie sorpassate.
Catherine Ashton e' a Sarajevo, dopo esser stata a Banja Luka. Dodik
ha vinto, come sempre: perche' come sempre fa, mirava a strappar
qualcosa altro agitando il solito babau secessionista.
ICG e' una delle varie emanazioni di Washington (come l'Institue for
Peace), e il gioco di Washington e' molto semplice e brutale e
primitvo, come sempre i giochi di Washington: evitare che la Bosnia
si riunifichi per non rischiare uno stato islamico. Stesse menate di
vent'anni fa, in questi mesi mi vien da pensare che potrei ripescare
i miei articoli dell'epoca per AGL e riproporli con quasi nessun
cambiamento (per quel che riguarda gli equilibri della trimurti
srbo-croata-bosniaco/musulmano).
Dietro questa "alta politica" comunque si nascondon cose ben piu'
banali e ruspanti: i "leader" son tuttora impegnati nel sistematico
saccheggio del paese che va avanti anche quello da vent'anni. Dodik
ha diverse cause aperte, il gran boss dell'HDZ Dragan Čović era
stato cacciato a calci dalla sua posizione di rappresentante croato
nella presidenza (per mano di un precdente Alto Rappresentante), a
causa di storiacce di corruzione... Peraltro, il suo vantare di
esser l'unico autorizzato a rappresentare i croati fa acqua da tutte
le parti, HDZ e HDZ 1990 hanno la maggioranza, e forte, ma qualcosa
sul 50-55 per cento, non 90 ne' tanto meno 100 per cento.
Alla diplomazia internazionale non fa schifo trattare con
ladri/corrotti/corruttori se han l'etichetta di "rappresentanti
istituzionali", son vent'anni che vedo questo schifo e non e'
cambiato nulla.
Il fattore vero e' che la gente e' passiva, depressa e sfiduciata,
quindi qua manifestazioni di piazza sono (quasi) inesistenti. Al
Primo Maggio non cadeva foglia, notevole, in un paese con la
disoccupazione oltre al 40 per cento (55 per cento nel Cantone Una
Sana dove sto io).
Francamente, ho le scatole piene degli articoli "internazionali"
sulla Bosnia, che da vent'anni non fanno atro che sostenere il
teatrino "etnico", ovvero rinfocolare l'interpretazione che le cause
vere di questo sfacelo siano le mitiche divisioni etniche. Quelle
sono solo la mano di pittura per coprire i problemi reali.
Cherchez l'argent.... se volete capirci davvero qualcosa.
paola
On 12.5.2011 17:21, Assopace Balcani wrote:
Ciao a tutti e tutte,
a seguire trovate due articoli da Osservatorio Balcani sulla crisi
politico-istituzionale in atto in Bosnia Erzegivina; per chi ha
voglia di approfondire consiglio il lungo e dettagliato report (in
inglese) dell'International Crisis Group, potete scaricare il pdf
a questo indirizzo: http://www.crisisgroup.org/en/regions/europe/balkans/bosnia-herzegovina/b062-bosnia-state-institutions-under-attack.aspx
Ettore
Nella crisi aperta in Bosnia Erzegovina la comunità
internazionale deve evitare la trappola dello scontro,
riportando al centro del dibattito politico il percorso di
integrazione europeo. In una Bosnia senza Alto Rappresentante.
Nostro commento
Il 13 aprile il parlamento della Republika Srpska (RS) ha
deciso di sottoporre a referendum l'operato dell'Alto
Rappresentante, della Corte e della Procura di Stato. Il
quesito referendario sottoposto ai residenti dell'entità
bosniaca a maggioranza serba è: “Sostieni le leggi imposte
dall'Alto Rappresentante e dalla comunità internazionale, in
particolare quelle sulla Corte e sulla Procura di Stato della
Bosnia Erzegovina, e la loro verifica incostituzionale
nell’Assemblea parlamentare della BiH?”
La decisione è stata presa a larga maggioranza (66 voti a
favore, 10 contrari), e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale
della RS 14 giorni dopo, il 26 aprile. Il voto è previsto per
la prima metà di giugno.
Il referendum proposto dalla RS rappresenta una brusca
accelerazione nella crisi aperta in Bosnia Erzegovina.
L'accelerazione è stata impressa da Milorad Dodik, presidente
della RS, e dal suo partito (SNSD), ed è diretta in prima
istanza contro le istituzioni giudiziarie comuni. In gioco c'è
però molto di più. La ridefinizione del delicato equilibrio
tra potere centrale e poteri delle entità, il ruolo della
comunità internazionale nel Paese e, secondo alcuni, la stessa
sopravvivenza della Bosnia Erzegovina come Stato sovrano.
Una parola sinistra
La parola referendum, in Bosnia, risuona sinistra alla luce
della storia recente del Paese. Secondo Nenad Stojanović,
ricercatore presso il Centro per la Democrazia di Aarau e
docente all'Università di Losanna, “la democrazia diretta può
portare vantaggi alla coesione sociale in Bosnia, i cui
cittadini si allontanano sempre di più dalla politica. Ma
purtroppo in Bosnia la democrazia diretta è sinonimo di
referendum unilaterali. Referendum che non vengono dal basso,
ma dall'alto, cioè da leader politici che indicono queste
votazioni solo perché sanno in anticipo quale sarà il
risultato. Questo vuol dire manipolare i cittadini e Dodik è
un esempio emblematico di questo atteggiamento."
Sul banco, secondo gli osservatori più pessimisti, e
nonostante le rassicurazioni fatte in tal senso sia da Dodik
che dal presidente serbo Tadic a margine del recente incontro
di Karadjordjevo, ci sarebbe la prova generale di qualcosa di
più grande: il referendum – più volte evocato – sulla
secessione della RS dalla Bosnia Erzegovina.
Diversi giuristi si sono confrontati sul significato che
l'attuale referendum potrebbe avere. Molti concordano sul
fatto che il voto non avrebbe valore legale, dato che si
tratta di una questione di pertinenza dello Stato e non delle
entità. La creazione della Corte è stata infatti ratificata
dal Parlamento statale, con il sostegno – a suo tempo – dei
rappresentanti serbi. Allo stesso tempo, però, molti
sottolineano che il referendum potrebbe avere importanti
conseguenze pratiche, specie se i giudici e i procuratori
serbi lasciassero i loro posti nelle istituzioni comuni. La
presidente della Corte, Meddžida Kreso, ha dichiarato che le
conseguenze del referendum sarebbero catastrofiche
coinvolgendo “in un effetto domino [...] altre istituzioni”.
L'Unione Europea ha reagito prontamente alla crisi aperta.
L'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza,
Catherine Ashton, ha dichiarato (14 aprile) che “la decisione
dell'Assemblea della RS rappresenta un passo nella direzione
sbagliata”, e che “l'Unione Europea sostiene il lavoro della
Corte e della Procura di Stato della BiH.”
Lo stesso concetto è stato ribadito la settimana scorsa
dall'inviato dell'UE Miroslav Lajčak, il quale ha dichiarato
che si tratta di una decisione irresponsabile che “non risolve
alcuna questione ma al contrario ne apre di nuove, rovina
l'atmosfera, crea sfiducia e allontana ulteriormente la Bosnia
Erzegovina dall'Unione Europea.”
La Federazione di Bosnia/Erzegovina
Il parlamento della Federazione di Bosnia Erzegovina, la
seconda entità che compone lo Stato bosniaco, in una riunione
d'emergenza il 27 aprile ha approvato una risoluzione che
ribadisce il desiderio di proseguire nel percorso di
integrazione euro atlantico, rafforzare lo stato di diritto e
sostenere un sistema giudiziario funzionale e centralizzato.
La sessione parlamentare è stata però disertata dai
rappresentanti croati dell'HDZ e HDZ 1990, i due maggiori
partiti croato bosniaci. Solo pochi giorni prima infatti (19
aprile), i due partiti – insieme ad altre formazioni minori –
avevano dichiarato a Mostar la creazione di una “Assemblea
Nazionale Croata”, sorta di governo inter-municipale che
dovrebbe unire le aree a maggioranza croata con compiti di
“coordinamento”. L'operazione richiama alla memoria quella
tentata nel 2001 da Ante Jelavić che, secondo i supervisori
internazionali di allora (Jelavić fu destituito dalle sue
funzioni dall'allora Alto Rappresentante Petritsch per
“attività contrarie alla Costituzione”) era diretta a creare
una terza entità in Bosnia Erzegovina. Dieci anni dopo, ci
risiamo.
Dom Naroda
Il referendum proposto dalla RS avrebbe potuto essere
bloccato dalla Camera dei Popoli dell'entità, nella quale
siedono rappresentanti di tutti e 3 i popoli costituenti. I
rappresentanti bosgnacchi però, pur essendo contrari alla
decisione, non hanno utilizzato il proprio diritto di veto. In
Bosnia Erzegovina è ormai prassi comune attendere che i
problemi vengano risolti da un deus ex machina, l'Alto
Rappresentante della comunità internazionale, in questo
momento l'austriaco Valentin Inzko.
Inzko ha dichiarato di non poter ignorare il referendum, dato
che rappresenta “un diretto attacco agli accordi di Dayton,
alla Costituzione e alle istituzioni della Bosnia”. Più
esplicitamente, sulle colonne del quotidiano britannico The
Guardian (28 aprile), Inzko ha detto che l'Alto Rappresentante
“dovrà intervenire per bloccare il referendum” e che “la
Bosnia è di fronte alla peggiore crisi dalla fine della
guerra”.
Secondo una fonte dell'OHR, che ha preferito rimanere
anonima, l'atmosfera all'interno dell'organizzazione era più
distesa dopo la riunione del Consiglio di Implementazione
della Pace (PIC, la conferenza intergovernativa da cui l'OHR
dipende) di venerdì scorso (29 aprile). Superando le consuete
divisioni, tutti gli ambasciatori presenti – tranne il russo –
si sarebbero infatti mostrati solidali con la posizione
espressa da Inzko, e favorevoli a prendere misure contro la
decisione della RS.
Lunedì l'agenzia di stampa FoNet ha infatti comunicato che
Inzko utilizzerà i propri poteri esecutivi per annullare il
referendum. La stessa agenzia ha dichiarato che “secondo fonti
diplomatiche a Sarajevo, l'Alto Rappresentante intende anche
'sanzionare' alcuni politici, compreso il presidente della RS
Milorad Dodik e il portavoce del parlamento della RS, Igor
Radojičić.”
Escalation
Seguendo il copione dell'inevitabile (e prevedibile)
escalation, fonti vicine al governo della RS, citate dal
quotidiano Glas Srpske, hanno però fatto sapere subito dopo
(mercoledì 4 maggio) che i rappresentanti serbi abbandoneranno
le istituzioni comuni se l'Alto Rappresentante prenderà queste
misure. La “contromisura” potrebbe coinvolgere il
rappresentante della presidenza tripartita bosniaca, Nebojša
Radmanović, i rappresentanti serbi nel Consiglio dei Ministri,
oltre a deputati, giudici e procuratori serbi.
Mercoledì sera Valentin Inzko e Milorad Dodik si sono
incontrati, ma la riunione non ha prodotto risultati, come poi
dichiarato ai giornalisti dallo stesso Inzko.
Ieri l'Alto Rappresentante ha fatto pubblicare sulla stampa
locale un commento in cui ricorda che “nessuna entità in base
alla Costituzione può interferire con un'istituzione dello
Stato”, e che “i politici della RS lo sanno, e dovrebbero
sapere che portare una minaccia agli Accordi di Pace
rappresenta un'avventura politica pericolosa, che può avere
conseguenze imprevedibili.” Lo stesso concetto è stato
ribadito dopo una nuova riunione del PIC, ieri a Sarajevo. Al
termine dell'incontro però non sono state annunciate misure
concrete.
La scelta di Inzko
La posizione di Inzko è stata riassunta in una recente
intervista (Euractiv.com, 3 maggio). Inzko ha dichiarato che
“ci sono solo due possibilità. O la RS annulla la decisione
[di convocare il referendum], o lo farà la comunità
internazionale.”
Esiste una terza possibilità: lasciare che il referendum si
svolga. L'utilizzo dei poteri dell'Alto Rappresentante non
risolverà la situazione. Al contrario, la aggraverà. Il voto
referendario non può che avere un valore consultivo. Dopo il
referendum, se ne valuteranno le conseguenze pratiche. La
pronuncia di una parte del Paese non potrà essere ignorata nel
dibattito politico bosniaco. Ma non si può cambiare l'assetto
costituzionale di Dayton con la volontà di una sola parte.
Questo lo sanno sia Dodik che Čović o Lagumdžija. Non ci sono
alternative ad un percorso condiviso di riforme. Ma la cosa
più importante, in questa fase, è evitare la trappola dello
scontro. Sarebbe molto grave se la spirale della crisi si
avvitasse ulteriormente. In un conflitto aperto con la RS, la
comunità internazionale ha solo da perdere.
In generale, l'intervento dell'Alto Rappresentante nelle
questioni politiche interne sembra ormai produrre effetti
controproducenti, sia sotto il profilo della soluzione di
problemi concreti che sotto quello del rafforzamento delle
istituzioni locali. È tempo per l'OHR di cedere il testimone.
Fino a quando i politici bosniaci non saranno pienamente
responsabili di fronte al proprio elettorato, prevarrà la
retorica e sarà difficile che il Paese faccia progressi nel
suo principale obiettivo di politica estera, l'ingresso
nell'Unione Europea. Il percorso di integrazione comporta il
rafforzamento delle istituzioni dello Stato. Uno Stato
disfunzionale non può entrare in Europa. Di questo i politici
locali, a cominciare da Dodik, sono ben consapevoli. Per
questo la chimera europea, unanimemente invocata, è anche
temuta. Il rischio è quello di perdere posizioni di rendita.
Ed è per questo che il dibattito politico continua ad essere
dirottato su altre questioni, sull'eterno conflitto tra Dodik
e l'Alto Rappresentante. Nel percorso europeo, che deve essere
sostenuto da una rafforzata delegazione della Commissione in
Bosnia Erzegovina, non ci possono essere altri attori oltre a
quelli locali. Altrimenti la crisi di Dayton può durare a
lungo.
Le recenti iniziative
della società civile in Republika Srpska,
mentre il dibattito pubblico è
monopolizzato dalla richiesta di
referendum sulla comunità internazionale e
le istituzioni giuridiche statali.
“Rumore”, gli “Zero pungenti” e la “Voce
del Popolo”
La Republika Srspka
(RS), entità a maggioranza serba della
Bosnia Erzegovina, non è un contesto
facile dove essere attivisti, e lo sanno
bene i 4 fondatori di Oštra nula, studenti
di sociologia e di belle arti di Banja
Luka che, alla fine del 2009, hanno deciso
di smettere di lamentarsi davanti ad una
birra e di diventare degli “zero pungenti”
(oštra nula). “Perché se in questo paese i
cittadini sono considerati degli zero,
almeno che siano degli zero pungenti”,
spiega Dejan, mentre mi racconta dei 25
milioni di marchi convertibili dati dal
presidente Dodik a Kusturica per costruire
la città di Ivo Andrić, elargiti “come se
fossero soldi suoi, di Dodik”, o della
figlia del presidente che, appena finita
l'Accademia di belle arti a Milano, è
stata messa a capo di una commissione
governativa.
La prima volta che
sono andati (in quattro) davanti al
parlamento, per protestare contro
l'innalzamento dei prezzi, sono stati
presi per attivisti di un gay pride
improvvisato, ma da allora "Oštra nula" ha
portato avanti molte battaglie. Ad esempio
per educare ad una consapevolezza civica,
o per spingere le persone ad andare a
votare alle elezioni dello scorso ottobre.
Ma la reazione è sempre stata molto
debole. “Quello che ci chiedevano, al
massimo, era: chi vi paga? Quando
postavamo le nostre iniziative su Facebook
ricevevamo centinaia di 'I like' –
continua Dejan. Sul posto, però, non c'era
nessuno”. Insomma Facebook non ovunque
aiuta le rivoluzioni.
La voce del popolo
Come in tutta la
Bosnia Erzegovina, anche in RS l'apatia è
la cifra con cui leggere la società
civile. In più, a Banja Luka la vita
pubblica è schiacciata dalla presenza
dell'uomo forte, il presidente Milorad
Dodik, che in cinque anni di governo
(prima come premier e, dalle ultime
elezioni, come presidente) è diventato il
padre padrone dell'entità serba
esercitando, attraverso il suo partito,
l'SNSD, un controllo ferreo dei gangli
principali della società dell'RS,
soprattutto quello dei media.
Proprio per questo va
registrato che qualcosa, anche se di
piccolo, è successo. Nei primi mesi del
2011 ben due dimostrazioni hanno portato i
cittadini in piazza a Banja Luka per
protestare contro la situazione sociale:
salari, disoccupazione, inflazione. La
sigla che ha promosso le due proteste si
chiama Glas Naroda (voce del
popolo), un gruppo informale nato dallo
stesso "Oštra nula", da un altro gruppo
chiamato "Pokret" (movimento) e da un
giovane studente di scienze politiche
Stefan Filipović, che è stato il front man
di entrambi gli appuntamenti.
“Alla prima
manifestazione, il 5 febbraio, c'erano 300
persone – racconta Dejan – e a Banja Luka
questo equivale ad un milione di persone
in qualsiasi altro luogo. Abbiamo marciato
dalla piazza principale fino al
parlamento, chiedendo un cambiamento ed
esprimendo la nostra insoddisfazione”. La
seconda manifestazione, il 19 marzo, è
stata molto meno partecipata e non è stata
autorizzata la marcia di fronte al
Parlamento, solo il raduno in piazza
Krajina. Glas Naroda, per questo
secondo appuntamento, aveva presentato tre
richieste specifiche: riportare ai livelli
precedenti i contributi per famiglie
numerose, che sono stati tagliati del 30%,
abbassare le tasse e rimuovere le persone
condannate penalmente dagli uffici
pubblici. Ma i partecipanti,
principalmente persone di mezza età ed
oltre, erano diminuiti di almeno la metà.
Pochissimi i giovani, mentre i canali di
informazione hanno fatto del loro meglio
per non parlare dell'evento. “La Tv della
RS, la RTRS, ha passato la notizia della
manifestazione in venti secondi mostrando
una foto, tipo previsioni del tempo,
mentre subito dopo c'è stato un servizio
di 2 minuti e mezzo su un agnello che si
era perso su una strada principale, con la
troupe televisiva che riusciva ad
avvicinarlo. Ecco questa era la notizia,
racconta ancora Dejan.” Così, per ora, si
archivia il capitolo delle manifestazioni
e si torna alle azioni di Oštra nula di un
tempo - l'ultima è stata fatta con adesivi
e volantini - e agli “I like” su Facebook.
Rumore
Aleksandar Trifunović,
direttore di Buka (Rumore), il
portale indipendente nato dall'ong “Centro
per la decontaminazione dell'informazione
giovanile di Banja Luka”, se lo aspettava.
“Erano cento persone – dice amaro
Trifunović – che è molto poco per una
manifestazione della società civile, se si
pensa che solo a Banja Luka ci sono 200
ong registrate. Il problema è che bisogna
definire la lotta di ogni giorno, spiegare
alle persone che tipo di futuro vogliamo,
che tipo di Paese”. Il giornalista, molto
vicino alle idee di "Oštra Nula",
continua: “Questo è un Paese strano, tu
puoi parlare degli argomenti più
importanti, dall'economia alla corruzione,
con la massima serietà, ma chiunque ti può
zittire mettendo sul tavolo il
nazionalismo, iniziando ad esempio a
chiedere se la Republika Srspka deve
essere indipendente dalla Bosnia
Erzegovina o meno”.
Referendum
In effetti è quello
che più o meno sta succedendo. Il tema
principale in Bosnia Erzegovina, di questi
giorni, è ancora una volta dettato da
Dodik, ed è il referendum che si terrà a
giugno in RS sulla Corte e la Procura
della Bosnia Erzegovina. “Dodik è salito
al potere nel 2006 promettendo la legge
per il referendum, che sarebbe servito ad
ottenere l'indipendenza dalla BiH, e ora
lo serve ai cittadini della RS che
sicuramente andranno a votare pensando che
si tratti di questo. In realtà è un
referendum su un tema giuridico molto
complesso, su cui dovrebbe decidere la
politica non i cittadini”, sostiene
Trifunović.
La domanda del
referendum voluto da Dodik in effetti non
è semplice: “Sei favorevole alle leggi
imposte dall'Alto rappresentante della
comunità internazionale, in particolare a
quelle sulla Corte e la Procura della
Bosnia Erzegovina?”
L'iniziativa ha permesso una nuova –
inutile – levata di scudi da tutte le
parti in causa. Il rappresentate Ue
Miroslav Lajčak ha affermato che il
referendum porta solo problemi. L'OHR ha
gridato all'attacco a Dayton, minacciando
sanzioni. I partiti bosgnacchi hanno
denunciato l'attacco alle istituzioni.
Dodik, da Belgrado, ha spiegato che vuole
interrompere il “terrore della comunità
internazionale”, assicurando che la Serbia
appoggerà il referendum. Pochi giorni fa
però, a Karađorđevo, Boris Tadić ha preso
le distanze. Ma ogni giorno si leggono
nuove, scottanti, dichiarazioni sul tema.
Poco importa se – come affermano gli
analisti – l'architettura giudiziaria
bosniaca non è materia su cui la RS possa
fare un referendum, poco importa se il
referendum non ha carattere vincolante ma
è di natura consultiva e poco importa se
costerà alle casse della RS cinque milioni
di marchi. A Banja Luka sono già apparsi
gli striscioni: “Tutti per il referendum”.
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