Comunicato Amnesty su decennale accordi di Dayton



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BOSNIA ED ERZEGOVINA: DICHIARAZIONE DI AMNESTY INTERNATIONAL IN OCCASIONE
DEL DECENNALE DEGLI ACCORDI DI DAYTON

Tra il 1992 e il 1995 i tre principali gruppi etnici dell'odierna Bosnia
ed Erzegovina (musulmani, serbi e croati) combatterono una guerra
sanguinosa che provocò decine di migliaia di morti e costrinse alla fuga
milioni di persone.

Alla vigilia del decimo anniversario della firma degli accordi di pace di
Dayton, le autorità della Bosnia ed Erzegovina devono ancora affrontare in

modo soddisfacente le conseguenze del conflitto. Le ferite provocate dalla

guerra possono essersi chiuse ma non sono ancora guarite. Solo la volontà
politica e l'impegno delle autorità della Bosnia ed Erzegovina di portare
di fronte alla giustizia i responsabili di crimini di guerra, crimini
contro l'umanità e genocidio, potranno condurre a una pace sostenibile.

Alcuni dei responsabili dei crimini commessi tra il 1992 e il 1995 sono
stati processati dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia
(Tpij) che, sulla base di quanto stabilito dal Consiglio di sicurezza,
dovrà completare i lavori ? appelli compresi ? entro il 2010. Alcune
persone incriminate dal Tpij si sono recentemente arrese e sono state
trasferite all'Aja. Tuttavia, nove ricercati (tra cui l'ex leader serbo
bosniaco Radovan Karadzic e gli ex generali serbo bosniaci Ratko Mladic e
Zdravko Tolimir) sono ancora a piede libero. Ad oggi, la polizia della
Republika Sprska non ha arrestato neanche una delle persone ricercate dal
Tpij.

Gli organi giudiziari della Bosnia ed Erzegovina hanno sistematicamente
omesso di agire nei confronti di persone sospettate di aver commesso
crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Nel marzo di quest'anno è
entrato in funzione un organo giudiziario nazionale denominato Camera per
i crimini di guerra, col mandato di occuparsi dei casi "rilevanti" di
crimini di guerra. Amnesty International ritiene che i meccanismi per
trasferire le prove dal Tpij siano inadeguati e che sia ancora poco chiaro

se la giurisprudenza del Tpij troverà piena applicazione in tutti i
procedimenti di fronte a questo organo.

La maggior parte dei casi sarà giudicata da tribunali locali della
Republika Srpska e della Federazione di Bosnia ed Erzegovina. Questi
organismi mancano di risorse, competenza e, soprattutto, non c'è la
volontà politica di renderli efficienti. Solo ultimamente, infatti, in due

processi celebrati in novembre e dicembre, una corte di Banja Luka ha
giudicato colpevoli di crimini di guerra tre ex poliziotti e un ex
militare serbo bosniaci che avevano ucciso civili musulmani. Amnesty
International ha apprezzato questi verdetti, ritenendoli un primo passo
avanti per portare di fronte alla giustizia i responsabili di crimini di
guerra e crimini contro l'umanità.

Gli accordi di Dayton, in particolare nell'allegato 7 relativo ai
rifugiati e agli sfollati, riconoscono espressamente il diritto al
ritorno, sia come rimedio alle violazioni dei diritti umani causate da
trasferimenti e deportazioni illegali, sia come modo per rovesciare gli
effetti della "pulizia etnica" dei territori colpiti dal conflitto. Nei
dieci anni trascorsi dalla fine della guerra, circa la metà dei due
milioni di sfollati sono rientrati nelle loro case.

Tuttavia, i problemi, persistenti e diffusi, cui vanno ancora incontro gli

appartenenti alle minoranze etniche che tornano a casa in termini di
accesso all'educazione, ai servizi sanitari e sociali, alla pensione e
soprattutto al lavoro continuano a costituire un potente ostacolo a un
ritorno sostenibile.

Le autorità della Bosnia ed Erzegovina hanno il dovere di creare le
migliori condizioni possibili per la reintegrazione di coloro che fanno
rientro nei luoghi e nelle comunità in cui vivevano prima della guerra.
Questo significa creare un ambiente sicuro, privo di discriminazione
etnica, in cui queste persone possano godere appieno dei propri diritti.
Se non saranno perfettamente reintegrati e se non avranno un adeguato
standard di vita, il loro diritto al ritorno rimarrà un concetto vuoto.

La massiccia e perdurante discriminazione etnica nei confronti delle
persone che tornano a casa, è per molti versi una continuazione delle
politiche che, durante la guerra, hanno prodotto la "pulizia etnica". Si
perpetua così la divisione etnica di un paese, che genera nuove tensioni
tra comunità, alimentate anche da fattori politici ed economici.

Amnesty International chiede alle autorità della Bosnia ed Erzegovina di:
- avviare indagini giudiziarie e di polizia su tutti i casi di crimini di
guerra e crimini contro l'umanità, con l'obiettivo di assicurare alla
giustizia i responsabili;
- assicurare che sia eliminata ogni forma di discriminazione affinché le
persone che fanno rientro nelle loro case dopo la guerra possano godere
appieno dei loro diritti economici e sociali.

Amnesty International chiede alla comunità internazionale di:
- assicurare che le attività del Tribunale dell'Aja siano estese oltre il
2010, fino almeno a quando non sarà operativo un efficace piano d'azione
per porre fine all'impunità nei paesi dell'ex Jugoslavia;
- continuare e raddoppiare gli sforzi per porre fine alla discriminazione
nell'impiego e nell'accesso ad altri diritti economici e sociali, in
collaborazione con le autorità locali e con il mondo degli affari.


FINE DEL COMUNICATO                                   Roma, 14 dicembre
2005


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