PER IVAN e ALTIMARI



Una mia amica serba odia con tutte le sue forze e, purtroppo, non riesce a
non testimoniare questo odio ai propri figli,  i bosniaci. Suo marito, un
uomo di pace, è stato ucciso a tradimento.

Una mia amica bosniaca è pazza di dolore per la morte di suo marito: un
cecchino serbo l’ha preso in pieno. Il suo dolore è sordo e resistente al
tempo, come un virus che muta in continuazione.

Hanno in comune me, la nostra amicizia, e gli sforzi che faccio per
raccontare ad entrambe il loro dolore comune, la loro vita uguale, senza
speranza, una vita in cui c’è solo ricordo di morte e non c’è futuro.

Non ho proprio ricette miracolose, ma credo che la pietà e il velo
trasparente che l’accompagna, senza nascondere o negare la storia, possa
essere un mezzo per iniziare a vivere in pace. A vivere, non a parlare di
pace. Perché a parlarne siamo già in troppi, tutti quelli che non hanno
conosciuto sulla propria pelle il dolore che è sempre unico e
incommensurabile per ognuno che lo vive. Noi usiamo le nostre parole per
parlare di pace. Per soddisfare il nostro bisogno di pace. E ci schieriamo,
perché fa parte dell’essere uomo lo schierarsi, da una parte o dall’altra.
Ma per favore, anche se siamo convinti di avere la RAGIONE, cerchiamo di non
schiacciare l’altro che, secondo noi, non ce l’ha. Parliamo di pace, molte
volte, con estrema violenza.

I figli delle mie amiche si conoscono e le famiglie non lo sanno. È una mia
forzatura, forse un mio errore. Si frequentano perché li porto insieme a
prendere il gelato. Perché parliamo delle cose che piacciono ai bambini.
Perché credo che la pace passi attraverso il silenzio, soprattutto quando si
ha bisogno di dimenticare il rumore della guerra. Silenzio non vuole dire
dimenticare. Non vuole dire nascondere. Vuol dire agire pietosamente verso i
tanti che soffrono e che, sembrerà strano, molte volte non chiedono il tipo
di giustizia che noi ci aspetteremo.

La storia e la giustizia faranno il loro corso. I parenti dei martiri di
Stazzema hanno avuto giustizia. Ora. Tremendamente in ritardo, sicuramente,
ma nel frattempo hanno continuato a vivere e a non odiare.

E nel silenzio sulla guerra e nel parlare delle “identità” comune di esseri
umani che cerco di insegnare la pace. Io che non conosco la guerra e la
divisione. Devo insegnare e testimoniare la tolleranza. Vorrei portare il
meglio della nostra cultura democratica… aiutatemi a crederci.

Fate in modo ce ogni data non diventi motivo di odio e divisione. O
d'incomprensione e rabbia.
 
paola