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Kosovo, il medioevo bruciato
- Subject: Kosovo, il medioevo bruciato
- From: andrea <andreamartocchia at libero.it>
- Date: Sat, 29 May 2004 16:01:36 +0200
Segnalo che - finalmente - alcuni professori e rappresentanti politici "trasversali" hanno incominciato a denunciare lo scempio che e' in atto da circa 5 anni:
Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" Data: Sab 29 Mag 2004 15:49:07 Europe/Rome A: crj-mailinglist at yahoogroups.com, jugoinfo at domeus.it Oggetto: [JUGOINFO] Kosovo, il medioevo bruciato ( Sullo stesso argomento vedi anche: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3541 http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3521 http://www.salvaimonasteri.org/ ) http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/28-Maggio-2004/art146.html il manifesto - 28 Maggio 2004 Kosovo, il medioevo bruciato Dal 1999 al 2004 sono state distrutte dall'ex Uck circa 140 chiese serbo-ortodosse. Un comitato internazionale lancia l'appello: «Salvate quel patrimonio della cultura europea» ARIANNA DI GENOVA La Madonna con il bambino «nutritore», che distribuisce una manna ai fedeli, straordinaria icona del Duecento, amata, studiata, pregata, simbolo di un grande patrimonio artistico, non esiste più. Al suo posto c'è un buco nero fuliggine: ha preso fuoco insieme alla chiesa che la ospita, Bogorodica Ljeviska di Prizren, ed è stata volutamente scalpellata e mutilata nelle sue parti inferiori. L'immagine, proposta sul sito www.salvaimonasteri.org, con un inquietante paragone - com'era prima e come si presenta adesso - fa sussultare chiunque si fermi a guardarla. Non c'è bisogno di essere storici dell'arte per lanciare l'allarme e gridare all'orrore. Da ieri, sono a Roma due monaci ortodossi venuti dal Kosovo, per testimoniare con le loro parole le distruzioni dei monasteri cominciate nel 1999, dopo l'intervento della Nato e riprese con estrema violenza nel marzo 2004: almeno trenta sono gli edifici sacri devastati dall'ex Uck (la formazione armata kosovaro albanese formalmente disciolta, la cui sigla campeggia sinistramente sulle rovine dei monasteri), durante la recrudescenza degli scontri, con conseguente epurazione etnica (di serbi e rom), morti e centinaia di feriti, mentre a Belgrado finiva in fiamme, in risposta all'attacco, la principale moschea della città. In questi quattro anni, sono andate letteralmente in fumo - vi è stato appiccato il fuoco o sono state fatte saltare in aria con esplosivi - 140 chiese, con tutto il loro corredo di oggetti liturgici e i loro cicli di affreschi, considerati tra i documenti più importanti della cultura bizantina. La violenza contro i luoghi sacri è diretta non ad una appartenenza religiosa ma a una identità, alla memoria di un Kosovo culla della civiltà serba, che ospita, insieme a Costantinopoli e Salonicco, le maggiori testimonianze, architettoniche e figurative dell'arte bizantina. È così che un comitato, dal significativo nome «Salva i monasteri», ha invitato Sava Janijc e Andrej Sajc, giunti dal monastero di Decani, a raccontare la distruzione sistematica della storia messa in atto sotto gli occhi di 20mila soldati dell'Onu. Alla base c'è l'appello lanciato da Massimo Cacciari: «Il Kosovo ospita opere d'arte di straordinaria importanza per la vicenda europea. La distruzione di un edificio, di quegli affreschi equivale al massacro di San Marco e sant'Apollinare a Ravenna. È la stessa area paleocristiana influenzata da Bisanzio... Per noi, i cicli pittorici serbo-ortodossi sono diecimila volte più significativi dei Buddha di Bamiyan». Poi l'intenzione è cresciuta e il documento si è trasformato in un'iniziativa spontanea ed è stato firmato da centinaia di personalità della cultura (fra questi, gli storici dell'arte Valentino Pace e John Lindsay Opie) e della politica. Esiste anche un'interrogazione dei Verdi sottoposta al ministero degli esteri e della difesa italiana, condivisa oggi da più parlamentari di diversi schieramenti. L'appello, cui partecipano anche l'Istituto centrale per il restauro e l'Ong Intersos, già da tempo attivi sul territorio, è rivolto alla comunità internazionale affinché cerchi di salvare quanto più possibile. L'Unesco ha visitato i siti devastati in aprile e sta preparando una relazione mentre il ministero per i beni culturali cominceranno i primi lavori a Decani a metà giugno. Attualmente, le truppe italiane in missione in Kosovo (Kfor) presidiano e tutelano i tre maggiori monumenti: il complesso di Pec, Gracanica e Decani. Ma, come spiega lo storico John Lindsay Opie, «tre siti, pur eccezionali, non sono tutto. È come se venisse salvato solo San Marco a Venezia e qualche basilica ravennate, lasciando tutto il resto andare alla deriva. Ci sono chiese di cui non è rimasta neanche una pietra, che non si potranno restaurare mai più, sono sparite». Non solo cattedrali ma anche teatri, biblioteche, cinema, cioè edifici di culto e più propriamente culturali, sono andati in rovina. È un patrimonio dell'umanità intera che rischia di estinguersi, un tesoro dell'arte medievale europea che va dal XII al XV secolo. A Prizren, in marzo, dopo varie profanazioni, è stato appiccato il fuoco alle chiese di Bogorodica Ljeviska - il cui nartece conserva l'importante galleria dei ritratti dei Nemanja dell'inizio del Trecento- e di st. Georgy. La cattedrale della Madonna Ljeviska, con i suoi affreschi di valore inestimabile, era stata lasciata sguarnita di protezione dal presidio tedesco. Valentino Pace, docente di arte medievale all'università di Udine, ha commentato così la notizia del danneggiamento del ciclo figurativo: «Questi affreschi sono un capolavoro assoluto. Si potrebbe dire che hanno la stessa rilevanza della Cappella degli Scrovegni a Padova. I ritratti della dinastia regnante serba, i Nemanja, risalgono al XIV secolo: vi sono rappresentati il fondatore della dinastia, Simeone, divenuto monaco sul monte Athos e altri esponenti della sua famiglia, vescovi e re. L'altro affresco importantissimo è la Madonna col bambino cosiddetto «nutritore» (oggi un testo pittorico divenuto illegibile, secondo quanto pubblicato sul sito di «Salva i monasteri», ndr.). Il soffitto ligneo che li sovrastava è bruciato provocando danni ingenti al patrimonio sottostante: sembra essersi miracolosamente «conservata», interamente, la figura centrale di re Simeone. Tra gli altri luoghi, Devic (secolo XIV) è in rovina, il monastero di Sant'Arcangeli è stato attaccato e distrutto, gli alloggi devastati, i suoi «abitanti» dormono ancora sotto le tende e si sta pensando a come ovviare al rigido inverno kosovaro. Il monaco serbo-ortodosso Sava Janijc, nella conferenza romana, ha tenuto a sottolineare con forza che «gli attacchi sono sistematici, fanno parte di un progetto di cancellazione di una cultura. Non stiamo parlando di una distruzione avvenuta in guerra ma di qualcosa che viene perpetrato `dopo', contro i monumenti della cristianità e nonostante le truppe della Nato e le Nazioni unite. Quella che va perduta è la coscienza di una civiltà, la sua memoria. È necessaria allora una mobilitazione internazionale ma tutto dipende dalla stabilità e sicurezza che si potrà dare in seguito al Kosovo. È inutile ricostruire o restaurare un patrimonio se poi questo viene ridotto in macerie nel giro di qualche mese». E soprattutto senza i serbi cacciati dal territorio kosovaro. --- http://www.salvaimonasteri.org/stampa_10.htm Kosovo e Metohija 1998-2000. Rapporto preliminare sulla situazione del patrimonio culturale. (il presente contributo, è desunto dall’introduzione del volume, di Fabio Maniscalco, “Kosovo e Metohija 1998-2000. Rapporto preliminare sulla situazione del patrimonio culturale”, Napoli 2000, Massa Editore) A circa un anno dalla fine della crisi in Kosovo, la situazione culturale, sociale e politica si rivela particolarmente complessa. In questa piccola regione della Repubblica Federale Jugoslava sono presenti vari gruppi “etnici” e religiosi, tutti separati e non integrati fra loro, distinti in kosovaro-albanesi di religione musulmana (la maggioranza degli abitanti, che si considerano i soli futuri gestori della vita socio-politica); kosovaro-albanesi di religione cattolica (assoluta minoranza); kosovaro-serbi di religione ortodossa (parte esigua della popolazione, costretta in ambiti ristretti ed isolati, protetti dai contingenti della forza multinazionale di pace); slavik-gorans musulmani nell’area di Daragash; bosniaci nell’area di Jupa Region nella municipalità di Prizren; rom gypsy (di religione musulmana o cristiana). Numerosi sono i rifugiati all’estero o in Serbia, che attendono le condizioni possibili per il rientro in patria. In ogni caso, non esistono dati di consistenza certi sulla popolazione attualmente residente né su quella profuga. Della originaria economia agricolo-pastorale sopravanzano tracce nel paesaggio verde, fertile e pianeggiante, dove si elevano alberi di pioppo, querce e numerosi noci di dimensioni maestose. Ad eccezione dell’agricoltura, che non sembra razionalmente organizzata, non risulta in atto alcuna attività produttiva, ma solo una diffusa occupazione di piccolo commercio connesso alle molteplici opere di ricostruzione. Attualmente la presenza della forza di pace KFOR (Kosovo Forces) e degli amministratori OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e UNMIK (United Nation Mission in Kosovo), oltre a garantire la sopravvivenza delle minoranze, la certezza degli stipendi statali e la dotazione dei servizi di base, costituisce, col suo effetto indotto, la maggiore entrata economica del Paese. A prima vista alcune città, Prizren, Peja o Priština, si presentano piene di vita, soprattutto nelle copiose caffetterie all’aperto in cui una moltitudine di giovani sorridenti ravviva l’ambiente. Tuttavia, soffermandosi in dettaglio, sono ancora numerose le case demolite, i souk-bazar incendiati, i caratteristici kulla (case-fortezza in pietra tipiche del luogo) distrutti, le centrali elettriche di distribuzione gas e carburanti cannoneggiate, le stazioni ferroviarie danneggiate. Quasi tutte le chiese serbo-ortodosse rimaste integre nelle murature, dopo essere state date alle fiamme da estremisti dell'UCK, sono al momento transennate e presidiate dalle forze della NATO. La popolazione cristiano-ortodossa di fatto non esiste più e la poca residua è costretta in immobili o in villaggi isolati, presidiati e protetti dalla KFOR., in condizione di soggiorno coatto e senza alcuna possibilità di contatto con l’esterno. Frequenti lungo le strade s’incontrano i cimiteri di guerra e svariate sono ancora le aree minate o ricoperte da ordigni inesplosi. I toponimi serbi sono stati sostituiti con quelli kosovaro-albanesi; così, ad esempio, Pec è stata rinominata Peja. Gli edifici di culto ed i simboli architettonici storici caratteristici delle due culture e religioni principali sono stati distrutti. La pubblica amministrazione è ora affidata all’organizzazione internazionale UNMIK che sta tentando di organizzarsi, unitamente ad esponenti locali, in vari settori amministrativi e gestionali. Nel frattempo provvede al solo pagamento dello stipendio base degli impiegati statali, che lamentano di essere sottopagati, insoddisfatti, demotivati ed annichiliti dal conflitto bellico, che è stato d’inaudita violenza, e si mostrano confusi, impotenti, impauriti, frustrati, ma dignitosamente desiderosi di riprendere le loro originali funzioni sociali. Scaltri ex dirigenti hanno preso il sopravvento e in alcuni casi la loro personalità sovente arriva ad influenzare addirittura l’azione dell’UNMIK. Numerosissime ONG (Organizzazioni non Governative) operano nel territorio e non appare come le loro singole attività risultino svolte secondo un piano strategico d’intervento coordinato. Al contrario, si è assistito come, rispetto ad una stessa iniziativa, più ONG abbiano elaborato proposte e promesse parallele, creando situazioni di profonda confusione nelle autorità municipali locali. Alcuni progetti sottoposti a chi scrive si sono dimostrati incompleti e privi di un qualsiasi approccio metodologico e scientifico, rivelando la carente sensibilità e preparazione culturale nel campo dell’arte e del restauro monumentale di alcuni "responsabili culturali" di ONG. Non esistono forze dell'ordine locali, ma solo Polizia delle Nazioni Unite. La maggioranza degli autoveicoli circola liberamente senza targhe, anche perché di provenienza illecita, ed il tentativo dell'UNMIK di creare una sorta di registro automobilistico è fallito. Difatti, le targhe che venivano consegnate agli utenti previo il pagamento di una tassa, non autorizzavano gli stessi a spostarsi oltre i confini del Kosovo stesso. La manutenzione delle strade è inesistente, come la segnaletica stradale. In tale drammatico e complesso contesto è evidente come la salvaguardia e la tutela dei beni culturali non venga presa in considerazione. All'interno della recente crisi in Kosovo è possibile focalizzare quattro fasi distinte, a seguito delle quali il patrimonio culturale immobile è stato distrutto o danneggiato: a. inizio del conflitto civile tra Serbi e Kosovaro-Albanesi; b. bombardamenti della NATO in tutta la Repubblica Federale Jugoslava; c. rientro dei profughi kosovaro-albanesi; d. ricostruzione post bellica. Durante la prima fase (tra la fine del 1998 e gli inizi del 1999), che ha avuto carattere di conflitto interno, non si sono riscontrati danneggiamenti di particolare entità a monumenti né ad edifici culturali e cultuali. La reale distruzione monumentale, invece, ha avuto inizio a seguito dell'opinabile intervento bellico della NATO (tra marzo e giugno 1999). La comunità politica internazionale, infatti, non ha preso in considerazione l'eventualità che le truppe serbe potessero avvantaggiarsi del disordine e del caos prodotti dai bombardamenti (talvolta imprecisi) per accelerare il processo di "epurazione etnica" e per strumentalizzare la risoluzione della NATO. In questo periodo l'esercito regolare e, soprattutto, la polizia ed i diversi corpi paramilitari serbi, oltre a deportare ed a massacrare la popolazione kosovaro-albanese, con sistemi analoghi a quelli impiegati in Bosnia tra il 1992 ed il 1995 (come gli stupri di massa), hanno saccheggiato e devastato proprietà private e pubbliche del “nemico”, quali moschee o madrase. Inoltre, non pochi danni sono stati inferti dai missili della NATO alla popolazione civile ed ai monumenti. Dopo il rientro della popolazione kosovaro-albanese, favorito dallo schieramento a terra delle truppe KFOR, e la fuga di quella serba, è iniziata una nuova ed infausta fase di distruzione monumentale incentrata, però, sui monumenti serbo-ortodossi. A partire dal luglio 1999 gruppi di facinorosi hanno iniziato ad appiccare incendi o a demolire con esplosivi molte chiese dalle quali, come hanno evidenziato le indagini dello scrivente, venivano prima sottratte le icone e gli oggetti facilmente asportabili. Recenti ed irrimediabili violazioni al patrimonio monumentale kosovaro sono talvolta imputabili, invece, all'attuale fase di ricostruzione post bellica, e anche alla messa in atto di tecniche e metodologie errate e prive di logica; è questo, ad esempio, il caso della Moschea dell’Hammam di Peja o della Moschea di Gazi Ali Bey a Vucitrn. Inoltre, il conflitto in Kosovo ha comportato il deterioramento e la corruzione della quasi totalità della cultura locale mediante la distruzione fisica di edifici cultuali e culturali (biblioteche, teatri, cinema etc.); la traduzione forzata a Belgrado di buona parte del patrimonio storico-artistico mobile dai musei, ad opera delle forze serbe in ritirata; l’assoluta mancanza di mezzi destinati agli operatori culturali ed il conflitto etnico fra le possibili entità sociali, che rende di fatto impossibile tra loro il dialogo e la coesistenza e che, senza interventi mirati, comporterà la scomparsa totale del patrimonio culturale serbo. Fabio Maniscalco (docente di “Tutela dei Beni Culturali” presso la Facoltà di Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo dell’Università L’Orientale e direttore dell’Osservatorio per la Protezione dei Beni Culturali in Area di Crisi) -------------------------------------------------------- Ramsey Clark: DIVIDE ED IMPERA. LA DISTRUZIONE DELLA FEDERAZIONE BALCANICA DA PARTE DEGLI STATI UNITI E DELLA NATO http://www.cnj.it/documentazione/divideetimpera.htm -------------------------------------------------------- FOR FAIR USE ONLY --> La lista JUGOINFO e' curata da componenti del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ). I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le posizioni ufficiali o condivise da tutto il CNJ, ma vengono fatti circolare per il loro contenuto informativo al solo scopo di segnalazione e commento. --> Bilten JUGOINFO uredjuju clanovi Italijanske Koordinacije za Jugoslaviju (CNJ). 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