(Fwd) N.E. Balcani #771 - Kosovo



Come al solito ripeto: ambasciator non porta pena :)

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N.E. BALCANI #771 - KOSOVO
1 aprile 2004


NELLA MORSA DELLA PAURA
di Violeta Oroshi - (“Monitor” [Podgorica], 26 marzo 2004)

Da Pristina e da Belgrado due valutazioni sulle conseguenze delle 
recenti violenze in Kosovo

In Kosovo solo ora si sta facendo il calcolo dei danni politici e 
materiali arrecati. E ci si ripete continuamente la domanda: le 
violenze della scorsa settimana hanno fatto tornare il Kosovo 
indietro di alcuni anni? I pessimisti ritengono che tutto sia tornato 
al punto di partenza, quando non vi erano, né vi potevano essere, 
contatti politici tra serbi e albanesi. Altri, invece, affermano che 
questa situazione segna l’inizio di una nuova epoca per il Kosovo. 
Chi la pensa così, in linea di principio ritiene che verranno 
instaurati nuovi rapporti con l’amministrazione internazionale ai 
fini di una soluzione definitiva dello status del Kosovo. Il 
segretario generale della NATO, Jap de Hoop Schaeffer, ha tuttavia 
rifiutato la possibilità che la violenza in Kosovo sia stata una 
conseguenza dello status politico irrisolto. “Sono solo illusioni di 
coloro i quali ritengono di potere arrivare a qualche status con la 
violenza. La comunità internazionale non lo accetterà mai”, ha detto 
Schaeffer. Il capo dell’UNMIK, Hari Holkeri, è stato un po’ 
sibillino: afferma di non essere sicuro che nel 2005 la questione del 
Kosvo verrà risolta. “Tutto quello che è stato fatto fino a oggi è 
stato distrutto e ora bisogna ricostruire tutto dal principio”, ha 
detto ai giornalisti a Pristina. Nel frattempo, la capitale del 
Kosovo è diventata nuovamente un centro di incontro dei principali 
rappresentanti della comunità internazionale. Questa volta per dare 
agli albanesi - che cinque anni fa erano vittime della politica di 
pulizia etnica di Milosevic - un meritato schiaffo. I diplomatici 
internazionali hanno preso di mira i leader albanesi locali, dai 
quali ci si attendeva una condanna chiara e dura della violenza dei 
dimostranti. “Io ho sentito solo giustificazioni, le condanne della 
violenza sono rimaste ai margini”, ha messo in guardia Holkeri. 
Oliver Ivanovic, membro della Presidenza del Parlamento del Kosovo, 
afferma che Holkeri, durante l’incontro con i rappresentanti serbi, 
ha dichiarato che i leader albanesi del Kosovo, se non condanneranno 
duramente le violenze, verranno isolati e che si sta pensando alle 
modalità per farlo. Per ora, nessuno dei capi dei partiti albanesi ha 
puntato l’indice contro colpevoli o colpe. I rappresentanti della 
comunità internazionale, comunque, affermano che tutto è stato ben 
organizzato e coordinato da parte di estremisti albanesi e che i 
leader kosovari sanno molto di più di quello che finora hanno detto. 
Le conseguenze dei cinque giorni di caos in Kosovo sono pesanti: 
decine di case di serbi sono state brucaite, così come anche 20 
edifici ortodossi, più di 3.000 serbi hanno dovuto abbandonare i loro 
luoghi di residenza.... Secondo le ultime informazioni, il 17 e 18 
marzo in Kosovo hanno perso la vita 28 persone, tra le quali, secondo 
dati ancora non ufficiali, otto di nazionalità serba. Dopo tutto 
quello che è accaduto, è rimasto poco spazio per parlare di un Kosovo 
multietnico. Nonostante questo, i diplomatici internazionali 
insistono su questo tema e cercano di ottenere dai leader kosovari 
non solo la ricostruzione di ciò che è stato distrutto e bruciato, ma 
anche l’assunzione della responsabilità di creare un Kosovo 
multietnico.

Qualcuno cerca di analizzare le cose per sciogliere l’indovinello: 
cosa ha influito su questo scoppio di violenza in quasi tutti i 
maggiori centri del Kosovo? La risposta più frequente è che si è 
trattato dell’insoddisfazione per la politica dell’UNMIK. Gli 
amministratori internazionali non hanno ancora fatto nulla per 
cancellare le strutture parallele nel nord del Kosovo e per unificare 
Mitrovica divisa. Per questo alcuni leader albanesi hanno chiesto un 
trasferimento dei poteri alle istituzioni locali per instaurare, come 
si afferma, l’ordine e la legge. Le imminenti elezioni generali che 
si terranno in Kosovo il 23 ottobre di quest’anno sono forse, nei 
fatti, il vero motivo della violenza intenzionalmente causata. Il 
motivo alla base delle azioni pianificate era quello di dimostrare, 
dopo avere creato caos, come le forze internazionali non siano in 
grado di tenere la situazione sotto controllo. Naturalmente, dopo 
avrebbero dovuto emergere figure politiche che avrebbero spento il 
fuoco nazionalista. I promotori di questa idea hanno pensato a un 
rapido trasferimento dei poteri agli organi di governo del Kosovo. E 
come ultima mossa, la piena conquista del potere secondo la formula: 
chi tiene in mano la polizia e il sistema giudiziario vince anche le 
elezioni. 

Un’analisi dettagliata delle dimostrazioni indica che dall’inizio non 
è stato tutto così spontaneo come era sembrato in un primo momento. 
Vi è stata una selezione negli incendi appiccati e durante le 
distruzioni. Non è affatto un caso, per esempio, che non siano stati 
bruciati né negozi né edifici di proprietà di albanesi. Gli studenti 
dei licei e delle scuole inferiori erano dominanti nelle 
manifestazioni. I gruppi di coloro che hanno cercato di sbloccare la 
strada che portava verso il villaggio serbo di Caglavica, portavano 
sulla bocca e sul volto delle mascherine verdi da chirurgo. Più 
tardi, hanno dato magnanimamente ai proprietari di edifici 
alberghieri e di negozi quindici minuti per chiuderli. I dimostranti, 
è evidente, erano ben coordinati e preparati ad agire. A Prizren sono 
state preventivamente segnate con vernice verde tutte le case serbe 
che in un secondo tempo sono state attaccate. Il messaggio era 
chiaro: contro il dialogo avviato tra albanesi e serbi, contro il 
ritorno dei profughi, contro una vita in comune. E, soprattutto, 
contro l’idea del Kosovo come parte della Serbia. I circoli 
diplomatici internazionali ora sono più che infuriati. E’ stato 
causato un grande danno al loro lavoro di cinque anni e agli enormi 
finanziamenti effettuati. E’ stata fatta vacillare la pace nella 
regione, conquistata a fatica e fragile. Spetta alle istituzioni del 
Kosovo, ora, cercare di sanare in breve tempo gli effetti del caos. 
Il governo del Kosovo si è impegnato a finanziare la ricostruzione 
delle case e delle chiese incendiate e distrutte. Ci si attende da 
esso che prenda chiaramente le distanze dagli organizzatori delle 
dimostrazioni violente. Sono i primi passi necessari lungo la 
difficile strada della creazione di un minimo di fiducia interetnica. 
La settimana scorsa abbiamo avuto tutti l’occasione di constatare una 
cosa: tenere i cittadini del Kosovo nella morsa della paura non è una 
soluzione né per gli albanesi, né per i serbi, né per il Kosovo.


CANTONIZZAZIONE, SUBITO
di Sonja Drobac - (“Monitor” [Podgorica], 26 marzo 2004)

Belgrado è stata chiara nel valutare che gli ultimi disordini sono 
stati in realtà un tentativo albanese di ripulire etnicamente il 
Kosovo e Metohija dai serbi. Quello che il governo serbo ora desidera 
ripetere più di ogni altra cosa è che la comunità internazionale per 
la prima volta riconosce il fatto che i serbi in Kosovo sono 
minacciati. Sono andate in questo senso tre dichiarazioni che questi 
giorni vengono spesso ripetute a Belgrado. La prima è la valutazione 
del generale James Jones, comandante in capo della regione sud della 
NATO, secondo il quale si è trattato di un tentativo di pulizia 
etnica e territoriale. Si tratta della prima valutazione di questo 
tipo da parte di un funzionario occidentale. In secondo luogo vi è 
stata la valutazione del coordinatore speciale del Patto di Stabilità 
per l’Europa Sud-Orientale, Erhard Busek, secondo il quale i recenti 
disordini in Kosovo sono stati provocati dai politici albanesi. Busek 
ha affermato che dietro la violenza vi è una strategia preelettorale 
e che alcuni partiti tentano di “ottenere un profilo nazionale” in 
vista delle elezioni che si terranno in Kosovo in ottobre. In terzo 
luogo, Belgrado è stata soddisfatta del commento di Ted Carpenter, 
dell’istituto Cato di Washington, ritenuto vicino all’attuale 
amministrazione americana. Carpentere afferma che il recente ciclo di 
violenze spingerà gli sviluppi, contrariamente ai desideri dagli 
albanesi, verso una spartizione del Kosovo. Non vi sono dubbi che il 
governo del premier Vojislav Kostunica ora sfrutterà il fatto che 
numerosi funzionari, nonché media, occidentali hanno cominciato a 
parlare dei serbi come vittime. Carpenter ritiene che l’immagine dei 
serbi come elemento negativo dei Balcani sia cambiata. Il 23 marzo 
Kostunica ha illustrato a Bruxelles, e presto lo farà anche nelle 
altre capitali europee, il piano del governo serbo per risolvere la 
questione del Kosovo. “Il governo si impegnerà per una soluzione 
politica simile a quella applicata in Bosnia-Erzegovina, cioè per la 
cantonizzazione. Là coloro che se ne sono andati durante la guerra 
sono tornati e il 90% delle proprietà è stato restituito, quindi 
bisogna trovare una soluzione simile anche per il Kosovo e Metohija”, 
ha precisato il vicepremier Miroljub Labus. Dopo l’incontro a 
Bruxelles, l’UE ha affermato di essere fermamente contraria al 
modello di cantonizzazione e di essere favorevole a un Kosovo 
multietnico. Il premier serbo, tuttavia, è rimasto decisamente 
soddisfatto. “Penso che siano stati incontri coronati da successo”, 
ha detto Kostunica. Significa quindi che, dietro le porte chiuse, si 
sta pensando a una soluzione definitiva per il Kosovo?

(traduzione di Andrea Ferrario)

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