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(Fwd) N.E. Balcani #771 - Kosovo
- Subject: (Fwd) N.E. Balcani #771 - Kosovo
- From: "Davide Bertok" <davide at bertok.it>
- Date: Thu, 01 Apr 2004 20:14:00 +0200
- Priority: normal
Come al solito ripeto: ambasciator non porta pena :) ------- Forwarded message follows ------- Date sent: 1 Apr 2004 16:23:24 -0000 To: <free at notizie-est.com> From: "Notizie Est" <info at notizie-est.com> Subject: N.E. Balcani #771 - Kosovo Send reply to: info at notizie-est.com Notizie Est: http://www.notizie-est.com N.E. BALCANI #771 - KOSOVO 1 aprile 2004 NELLA MORSA DELLA PAURA di Violeta Oroshi - (“Monitor” [Podgorica], 26 marzo 2004) Da Pristina e da Belgrado due valutazioni sulle conseguenze delle recenti violenze in Kosovo In Kosovo solo ora si sta facendo il calcolo dei danni politici e materiali arrecati. E ci si ripete continuamente la domanda: le violenze della scorsa settimana hanno fatto tornare il Kosovo indietro di alcuni anni? I pessimisti ritengono che tutto sia tornato al punto di partenza, quando non vi erano, né vi potevano essere, contatti politici tra serbi e albanesi. Altri, invece, affermano che questa situazione segna l’inizio di una nuova epoca per il Kosovo. Chi la pensa così, in linea di principio ritiene che verranno instaurati nuovi rapporti con l’amministrazione internazionale ai fini di una soluzione definitiva dello status del Kosovo. Il segretario generale della NATO, Jap de Hoop Schaeffer, ha tuttavia rifiutato la possibilità che la violenza in Kosovo sia stata una conseguenza dello status politico irrisolto. “Sono solo illusioni di coloro i quali ritengono di potere arrivare a qualche status con la violenza. La comunità internazionale non lo accetterà mai”, ha detto Schaeffer. Il capo dell’UNMIK, Hari Holkeri, è stato un po’ sibillino: afferma di non essere sicuro che nel 2005 la questione del Kosvo verrà risolta. “Tutto quello che è stato fatto fino a oggi è stato distrutto e ora bisogna ricostruire tutto dal principio”, ha detto ai giornalisti a Pristina. Nel frattempo, la capitale del Kosovo è diventata nuovamente un centro di incontro dei principali rappresentanti della comunità internazionale. Questa volta per dare agli albanesi - che cinque anni fa erano vittime della politica di pulizia etnica di Milosevic - un meritato schiaffo. I diplomatici internazionali hanno preso di mira i leader albanesi locali, dai quali ci si attendeva una condanna chiara e dura della violenza dei dimostranti. “Io ho sentito solo giustificazioni, le condanne della violenza sono rimaste ai margini”, ha messo in guardia Holkeri. Oliver Ivanovic, membro della Presidenza del Parlamento del Kosovo, afferma che Holkeri, durante l’incontro con i rappresentanti serbi, ha dichiarato che i leader albanesi del Kosovo, se non condanneranno duramente le violenze, verranno isolati e che si sta pensando alle modalità per farlo. Per ora, nessuno dei capi dei partiti albanesi ha puntato l’indice contro colpevoli o colpe. I rappresentanti della comunità internazionale, comunque, affermano che tutto è stato ben organizzato e coordinato da parte di estremisti albanesi e che i leader kosovari sanno molto di più di quello che finora hanno detto. Le conseguenze dei cinque giorni di caos in Kosovo sono pesanti: decine di case di serbi sono state brucaite, così come anche 20 edifici ortodossi, più di 3.000 serbi hanno dovuto abbandonare i loro luoghi di residenza.... Secondo le ultime informazioni, il 17 e 18 marzo in Kosovo hanno perso la vita 28 persone, tra le quali, secondo dati ancora non ufficiali, otto di nazionalità serba. Dopo tutto quello che è accaduto, è rimasto poco spazio per parlare di un Kosovo multietnico. Nonostante questo, i diplomatici internazionali insistono su questo tema e cercano di ottenere dai leader kosovari non solo la ricostruzione di ciò che è stato distrutto e bruciato, ma anche l’assunzione della responsabilità di creare un Kosovo multietnico. Qualcuno cerca di analizzare le cose per sciogliere l’indovinello: cosa ha influito su questo scoppio di violenza in quasi tutti i maggiori centri del Kosovo? La risposta più frequente è che si è trattato dell’insoddisfazione per la politica dell’UNMIK. Gli amministratori internazionali non hanno ancora fatto nulla per cancellare le strutture parallele nel nord del Kosovo e per unificare Mitrovica divisa. Per questo alcuni leader albanesi hanno chiesto un trasferimento dei poteri alle istituzioni locali per instaurare, come si afferma, l’ordine e la legge. Le imminenti elezioni generali che si terranno in Kosovo il 23 ottobre di quest’anno sono forse, nei fatti, il vero motivo della violenza intenzionalmente causata. Il motivo alla base delle azioni pianificate era quello di dimostrare, dopo avere creato caos, come le forze internazionali non siano in grado di tenere la situazione sotto controllo. Naturalmente, dopo avrebbero dovuto emergere figure politiche che avrebbero spento il fuoco nazionalista. I promotori di questa idea hanno pensato a un rapido trasferimento dei poteri agli organi di governo del Kosovo. E come ultima mossa, la piena conquista del potere secondo la formula: chi tiene in mano la polizia e il sistema giudiziario vince anche le elezioni. Un’analisi dettagliata delle dimostrazioni indica che dall’inizio non è stato tutto così spontaneo come era sembrato in un primo momento. Vi è stata una selezione negli incendi appiccati e durante le distruzioni. Non è affatto un caso, per esempio, che non siano stati bruciati né negozi né edifici di proprietà di albanesi. Gli studenti dei licei e delle scuole inferiori erano dominanti nelle manifestazioni. I gruppi di coloro che hanno cercato di sbloccare la strada che portava verso il villaggio serbo di Caglavica, portavano sulla bocca e sul volto delle mascherine verdi da chirurgo. Più tardi, hanno dato magnanimamente ai proprietari di edifici alberghieri e di negozi quindici minuti per chiuderli. I dimostranti, è evidente, erano ben coordinati e preparati ad agire. A Prizren sono state preventivamente segnate con vernice verde tutte le case serbe che in un secondo tempo sono state attaccate. Il messaggio era chiaro: contro il dialogo avviato tra albanesi e serbi, contro il ritorno dei profughi, contro una vita in comune. E, soprattutto, contro l’idea del Kosovo come parte della Serbia. I circoli diplomatici internazionali ora sono più che infuriati. E’ stato causato un grande danno al loro lavoro di cinque anni e agli enormi finanziamenti effettuati. E’ stata fatta vacillare la pace nella regione, conquistata a fatica e fragile. Spetta alle istituzioni del Kosovo, ora, cercare di sanare in breve tempo gli effetti del caos. Il governo del Kosovo si è impegnato a finanziare la ricostruzione delle case e delle chiese incendiate e distrutte. Ci si attende da esso che prenda chiaramente le distanze dagli organizzatori delle dimostrazioni violente. Sono i primi passi necessari lungo la difficile strada della creazione di un minimo di fiducia interetnica. La settimana scorsa abbiamo avuto tutti l’occasione di constatare una cosa: tenere i cittadini del Kosovo nella morsa della paura non è una soluzione né per gli albanesi, né per i serbi, né per il Kosovo. CANTONIZZAZIONE, SUBITO di Sonja Drobac - (“Monitor” [Podgorica], 26 marzo 2004) Belgrado è stata chiara nel valutare che gli ultimi disordini sono stati in realtà un tentativo albanese di ripulire etnicamente il Kosovo e Metohija dai serbi. Quello che il governo serbo ora desidera ripetere più di ogni altra cosa è che la comunità internazionale per la prima volta riconosce il fatto che i serbi in Kosovo sono minacciati. Sono andate in questo senso tre dichiarazioni che questi giorni vengono spesso ripetute a Belgrado. La prima è la valutazione del generale James Jones, comandante in capo della regione sud della NATO, secondo il quale si è trattato di un tentativo di pulizia etnica e territoriale. Si tratta della prima valutazione di questo tipo da parte di un funzionario occidentale. In secondo luogo vi è stata la valutazione del coordinatore speciale del Patto di Stabilità per l’Europa Sud-Orientale, Erhard Busek, secondo il quale i recenti disordini in Kosovo sono stati provocati dai politici albanesi. Busek ha affermato che dietro la violenza vi è una strategia preelettorale e che alcuni partiti tentano di “ottenere un profilo nazionale” in vista delle elezioni che si terranno in Kosovo in ottobre. In terzo luogo, Belgrado è stata soddisfatta del commento di Ted Carpenter, dell’istituto Cato di Washington, ritenuto vicino all’attuale amministrazione americana. Carpentere afferma che il recente ciclo di violenze spingerà gli sviluppi, contrariamente ai desideri dagli albanesi, verso una spartizione del Kosovo. Non vi sono dubbi che il governo del premier Vojislav Kostunica ora sfrutterà il fatto che numerosi funzionari, nonché media, occidentali hanno cominciato a parlare dei serbi come vittime. Carpenter ritiene che l’immagine dei serbi come elemento negativo dei Balcani sia cambiata. Il 23 marzo Kostunica ha illustrato a Bruxelles, e presto lo farà anche nelle altre capitali europee, il piano del governo serbo per risolvere la questione del Kosovo. “Il governo si impegnerà per una soluzione politica simile a quella applicata in Bosnia-Erzegovina, cioè per la cantonizzazione. Là coloro che se ne sono andati durante la guerra sono tornati e il 90% delle proprietà è stato restituito, quindi bisogna trovare una soluzione simile anche per il Kosovo e Metohija”, ha precisato il vicepremier Miroljub Labus. Dopo l’incontro a Bruxelles, l’UE ha affermato di essere fermamente contraria al modello di cantonizzazione e di essere favorevole a un Kosovo multietnico. Il premier serbo, tuttavia, è rimasto decisamente soddisfatto. “Penso che siano stati incontri coronati da successo”, ha detto Kostunica. Significa quindi che, dietro le porte chiuse, si sta pensando a una soluzione definitiva per il Kosovo? (traduzione di Andrea Ferrario) ------- End of forwarded message -------
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