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Jugoslavia ovvero: la coscienza sporca del centrosinistra
- Subject: Jugoslavia ovvero: la coscienza sporca del centrosinistra
- From: andrea <andreamartocchia at libero.it>
- Date: Tue, 19 Aug 2003 15:22:28 +0200
Penso che questa documentazione possa essere un buon vademecum per chi si trova oggi nella necessita' di scegliersi interlocutori nel centrosinistra, nella prospettiva della cacciata di Berlusconi.
Andrea------------------------------------------------------------------------ -------
Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" <jugocoord at tiscali.it> Data: Gio 3 Lug 2003 17:00:21 Europe/RomeA: crj-mailinglist at yahoogroups.com, jugoinfo at domeus.it, aa-info at yahoogroups.com Oggetto: [JUGOINFO] Jugoslavia ovvero: la coscienza sporca del centrosinistra
Jugoslavia ovvero: la coscienza sporca del centrosinistra (Riflessioni e materiali sparsi, quattro anni dopo la interruzione della aggressione della NATO e la occupazione militare della provincia del Kosmet) 0. Preambolo: LA MEMORIA CORTA DI MASSIMO D'ALEMA 1. LA COMPOSIZIONE DEL PRIMO GOVERNO D'ALEMA (21 ottobre 1998) 2. SERBIA: ORDIGNI NATO INESPLOSI IN 40 SITI, ANCHE IN FABBRICA (ANSA del 14 febbraio 2003) 3. LE ANALISI La "grande scacchiera" e la guerra della Nato (Fausto Sorini su Liberazione del 5 giugno 1999) La guerra del Kosovo, o dei Balcani... (Angelo d'Orsi su "Liberazione) E il dollaro va alla guerra contro l'euro (Rita Madotto su Liberazione del 29 aprile 1999) 4. GLI UMORI DELLA BASE Comunicato del Gruppo Zastava Trieste in occasione del quarto anniversario dell'inizio della aggressione. La macchia mai rimossa (Edgardo Bonalumi sul Manifesto del 26 marzo 2003). Un commento di Roberto dalla lista no-ogm-ra at yahoogroups.com. Uno scambio di vedute tra un iscritto del PRC ed uno del PdCI. 5. GUERRA CONTRO L'INFORMAZIONE Chi ricorda la tv serba bombardata? L'informazione negata. Ieri come oggi (da L'Unita' del 25/3/2003) Giornalismo target. Dalla tv di Belgrado all'Hotel Palestine. Quel «vicino» 23 aprile (Domenico Gallo sul Manifesto del 23 aprile 2003) 6. DIRITTO Sull'immodificabilita' dell'articolo 11 della Costituzione Italiana e sulla necessita' di perseguire penalmente ai sensi di legge i golpisti e gli stragisti (Peppe Sini sul bollettino La nonviolenza e' in cammino, dicembre 2002) PROCESSIAMOLI! Noi sottoscritti firmatari di questo appello accusiamo le massime autorità della Repubblica in carica nel marzo 1999 - in particolare il presidente del Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema e i membri del Governo... (Sezione Italiana del "Tribunale Clark", 1999) SI VEDANO ANCHE: * JUGOINFO 12 marzo 2001: La vigilia della guerra: Come gli Usa hanno operato, attraverso la Cia, per trascinare l'Italia nell'aggressione contro la Jugoslavia (di Domenico Gallo) http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/823 oppure http://www.lernesto.it/5-00/Gallo-5.htm * JUGOINFO 7 giugno 2001: Il governo D'Alema nacque per rispettare gli impegni Nato (ex ministro della difesa Carlo Scognamiglio Pasini) http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1035 * JUGOINFO 10 giugno 2001: Attacco contro Milosevic: fu il mio governo a dire sì (ex pres. del consiglio Romano Prodi) Prodi diede solo le basi, noi inviammo gli aerei (ex ministro della difesa Carlo Scognamiglio Pasini) http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1042 * JUGOINFO 16 giugno 2001: Onorevole Prodi, non tolga a D'Alema il "merito" della guerra! (comunicato Peacelink - allegati atti governo Prodi) http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1060 * JUGOINFO Prodi non aveva i voti per rispettare gli impegni Nato (ex- presidente e sen. a vita Francesco Cossiga) http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1067 === 0. PREAMBOLO === LA MEMORIA CORTA DI MASSIMO D'ALEMA <<Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea.>> (On. Massimo D'Alema) <<E' difficile definire le regole di appartenenza al giro nobile dei grandi, non esiste uno statuto. Di fatto ti rendi conto di essere entrato in una certa agenda di telefonate del presidente degli Stati Uniti>> (tratto da: M. D'Alema "Gli italiani e la guerra", Mondadori) --- 172 missioni in Kosovo dell'Aeronautica militare italiana Dal "Giornale di Brescia", Sabato 10 Luglio 1999 A guerra conclusa, svelati dal colonnello Francesco Latorre i numeri dell'operazione "Alled Force" Sesto Stormo, 172 missioni per il Kossovo Da Ghedi sono stati schierati in Puglia 85 uomini e 12 velivoli, per 418 ore di volo. Missioni di ricognizione e di attacco a terra. (...) L'altra sera il colonnello Latorre ha svelato tutti i numeri della cosiddetta operazione Aled Force conclusasi il 10 Giugno con la resa di Milosevic (sic). Lo ha fatto davanti ai militari del VI Stormo e alle loro famiglie (cui e' andato il sincero ringraziamento del comandante...) ma anche davanti al Generale Gargini, al prefetto, al vicequestore e al comandante provinciale dei Carabinieri. Il colonnello ha cominciato spiegando che, a causa della posizione centrale in una zona perennemente in crisi (....), "l'Italia e' considerata una sorta di portaerei nel Mediterraneo. Non a caso, nel corso dell'Allied Force, l'85% delle missioni ha decollato dalle nostre basi". (...) Naturalmente, gli uomini e i mezzi del VI stormo hanno fatto la loro parte. Anzi hanno fatto molto. "L'impegno operativo del VI Stormo - ha detto Latorre - s'e' concretizzato in missioni di ricognizione (2 sortite per due giorni la settimana) e in missioni d'attacco effettuate in un primo periodo da Ghedi, poi da una cellula schierata a Gioia del Colle (6/8 sortite giornaliere per 6 giorni la settimana)". (...) da Ghedi in Puglia sono arrivati 85 uomini, 12 velivoli e 12 laser pod. ll rischieramento ha consentito di effettuare 418 ore di volo, che si traducono in 172 sortite: 6 di ricognizione e 166 di attacchi veri e propri, sferrati contro obiettivi selezionati di tipo prettamente militare: depositi di munizioni, caseme, aeroporti. V'e' inoltre da specificare che, per gli attacchi, sono state utilizzate bombe a puntamento laser e a caduta libera. Il colonnello Latorre ha anche spiegato come tecnicamente avvenivano le missioni. Dopo la preparazione alla base, "i nostri aerei decollavano da Gioia del colle, quindi, fatto rifornimento in volo sull'Adriatico, si mettevano in "zona d'attesa" su cieli non ostili, tipo la Macedonia e l'Albania: l'attesa dipendeva dal fatto che si viaggiava in pacchetti di aerei e che ogni pacchetto aveva tempi precisi per entrare in azione. Poi, quand'era il nostro turno, si andava sull'obiettivo, quindi, seguendo rotte prestabilite, si tornava. Anche grazie alla preparazione dei nostri equipaggi, tutto ha funzionato a meraviglia, tant'e' vero che, nel 100% delle operazioni, uomini e mezzi sono rientrati alla base (....) Vedi anche: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1026 Dal Corriere della Sera del 22 maggio 2001 «Così l' Italia vinse la sfida in Kosovo» Il generale Usa Clark: «Volevo usare i vostri elicotteri per prendere Pristina». In un libro di memorie elogi al governo di Roma... --- http://www.panorama.it/italia/indiscrezioni/articolo/ix1-A020001018102 La memoria (corta) di D'Alema "Panorama" del 17/3/2003 Mentre si avvicina il giorno cruciale nel quale il Parlamento deve votare sulla concessione agli Usa delle basi italiane (e il centro-sinistra prepara le barricate), a Montecitorio qualcuno ha tirato fuori una interessante fotocopia. «Chiedo al Parlamento di non sacrificare in un momento così cruciale il valore della coesione politica nazionale possibile, di non sacrificare la consapevolezza trasversale ai diversi schieramenti di una comune responsabilità verso gli interessi del Paese. Credo sia essenziale, in momenti come questi, la ricerca della più larga unità intorno all'azione e al ruolo internazionale dell'Italia». Parole del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di fronte al Parlamento chiamato a decidere se appoggiare o no la linea del governo sulla crisi irachena? Sbagliato: sono le parole risuonate alla Camera il 26 marzo del 1999 (di fronte ad un intervento, quello in Kosovo, ugualmente privo della copertura Onu) e pronunciate da Massimo D'Alema, allora capo del governo ma adesso in prima fila nel contrastare l'appello di Palazzo Chigi per una linea bipartisan. Dopo il duro alterco sulla crisi irachena avvenuto tra D'Alema e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, a Montecitorio hanno cominciato a circolare tra i deputati del centro-destra le fotocopie del vecchio discorso dalemiano. E tutti hanno notato come molte delle affermazioni contenute in quel discorso sono improntate esattamente allo stesso spirito di quelle che in queste ore si sentono da parte degli esponenti del governo in carica. Esempio: «E' certamente legittimo» disse il 26 marzo 99 l'attuale presidente della Quercia «sostenere che, sul piano strettamente giuridico, l'intervento della Nato avviene senza mandato specifico delle Nazioni Unite. Al contempo è impossibile negare purtroppo che ciò dipende da una sostanziale paralisi del Consiglio di sicurezza, bloccato nelle sue deliberazioni dai reciproci veti dei suoi membri». Commento di molti deputati di lungo corso: «Peccato che in politica non si utilizzino più spesso gli archivi...». === 1 === La composizione del governo D'Alema I (21 ottobre 1998) Governo D'Alema I Presidente del Consiglio: Massimo D'Alema (Ds) Vice Presidente: Sergio Mattarella (Ppi) Sottosegretario alla presidenza: Franco Bassanini (Ds) Bilancio e Tesoro: Carlo Azeglio Ciampi Finanze: Vincenzo Visco (Ds) Industria: Pier Luigi Bersani (Ds) Esteri: Lamberto Dini (Ri) Giustizia: Oliviero Diliberto (Pdci) Interno: Rosa Russo Jervolino (Ppi) Commercio estero: Piero Fassino (Ds) Riforme costituzionali: Giuliano Amato Beni Culturali Spettacoli e Sport: Giovanna Melandri (Ds) Sanità: Rosy Bindi (Ppi) Ambiente: Edo Ronchi (Verdi) Funzione Pubblica: Angelo Piazza (Sdi) Comunicazioni: Salvatore Cardinale (Udr) Pubblica Istruzione: Luigi Berlinguer (Ds) Ricerca Scientifica e Università: Ortensio Zecchino (Ppi) Trasporti: Tiziano Treu (Ri) Difesa: Carlo Scognamiglio (Udr) Lavori Pubblici: Enrico Micheli (Ppi) Lavoro e Mezzogiorno: Antonio Bassolino (Ds) Pari opportunità: Laura Balbo Solidarietà sociale: Livia Turco (Ds) Politiche agricole: Paolo De Castro (Ulivo) Rapporti parlamento: Guido Folloni (Udr) Politiche comunitarie: Enrico Letta (Ppi) Affari regionali: Katia Belillo (Pdci) (21 ottobre 1998) === 2 === SERBIA: ORDIGNI NATO INESPLOSI IN 40 SITI, ANCHE IN FABBRICA (ANSA) - BELGRADO, 14 FEB - Ordigni inesplosi dei raid della Nato della primavera 1999 sono stati individuati in 40 siti serbi, di cui uno e' il cortile di una grande fabbrica di Pancevo (10 chilometri a est di Belgrado) tuttora in attivita'. Lo ha detto il direttore del centro di sminamento serbo Petar Mihajlovic, precisando che ''la maggior parte delle bombe inesplose sono nei sotterranei dell'ambasciata cinese a Belgrado, nel quartiere belgradese di Zvezdara, sul monte Avala e nel sobborgo di Batajnica, dove c'e' l'aeroporto militare''. Recentemente, i tecnici incaricati dei progetti di bonifica del Danubio avevano indicato nove siti in prossimita' di altrettante cittadine e villaggi lungo il fiume. Per l'ambasciata cinese, esperti americani avevano recentemente offerto aiuto nel disinnescare gli ordigni, ma Pechino ha rifiutato. Secondo la stampa serba, la sede diplomatica - bombardata nel maggio del 1999 con un bilancio di quattro morti e dieci feriti - avrebbe nascosto un centro di comando delle forze armate di Slobodan Milosevic o forse delle gallerie di comunicazione con i centri del vecchio potere. (ANSA). OT14/02/2003 17:32 http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/serbiamontenegro.shtml === 3 : LE ANALISI === La "grande scacchiera" e la guerra della Nato Fausto Sorini Liberazione 5 giugno 1999 "La grande scacchiera" è il titolo di un recensissimo libro di Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter, una delle teste pensanti della politica estera degli Stati Uniti. Esso espone, con esemplare chiarezza e senza infingimenti "umanitari", il quadro strategico globale entro cui collocare e comprendere le ragioni essenziali dell'aggressione della Nato alla Repubblica Federale Jugoslava, fortissimamente voluta dagli Stati Uniti. "Il crollo dell'Unione Sovietica - scrive l'autore - ha fatto sì che gli Stati Uniti diventassero la prima e unica potenza veramente globale, con una egemonia mondiale senza precedenti e oggi incontrastata. Ma continuerà ad esserlo anche in futuro? Per gli Stati Uniti, il premio geopolitico più importante è rappresentato dall'Eurasia, il continente più grande del globo", che "occupa, geopoliticamente parlando, una posizione assiale, dove vive circa il 75% della popolazione mondiale ed è concentrata gran parte della ricchezza del mondo, sia industriale che nel sottosuolo. Questo continente incide per circa il 60% sul PIL mondiale e per 3/4 sulle risorse energetiche conosciute ... L'Eurasia - sintetizza Brzezinski - è quindi la scacchiera su cui si continua a giocare la partita per la supremazia globale". "Ma se la Russia - prosegue l'autore - dovesse respingere l'Occidente, diventare una singola entità aggressiva e stringere un'alleanza con il principale attore orientale (la Cina) ", e con l'India, "allora il primato americano in Eurasia si ridurrebbe sensibilmente". E così pure se i partner euro-occidentali, soprattutto Francia e Germania, "dovessero spodestare gli Stati Uniti dal loro osservatorio nella periferia occidentale" (così viene definita l'area dell'Unione Europea), "la partecipazione americana alla partita nello scacchiere eurasiatico si concluderebbe automaticamente". Quindi, conclude Brzezinski, "la capacità degli Stati Uniti di esercitare un'effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo con cui sapranno affrontare i complessi equilibri di forza nell'Eurasia: e la priorità deve essere quella di tenere sotto controllo l'ascesa di altre potenze regionali (predominanti e antagoniste) in modo che non minaccino la supremazia mondiale degli Stati Uniti". "Per usare una terminologia che riecheggia l'epoca più brutale degli antichi imperi, tre sono i grandi imperativi della geo-strategia imperiale: impedire collusioni e mantenere tra i vassalli la dipendenza in termini di sicurezza, garantire la protezione e l'arrendevolezza dei tributari e impedire ai barbari di stringere alleanze". Gli Stati Uniti vogliono in primo luogo evitare che in Russia si affermi un potere politico influenzato dai comunisti, avverso al liberismo selvaggio che ha precipitato il Paese nella crisi più nera e volto a ristabilire una collocazione internazionale della Russia non subalterna all'Occidente. Per questo il deposto premier Primakov era ed è considerato un avversario temibile: è sostenuto da una Duma dominata dai comunisti, sorretto da un consenso popolare dell'80%, favorito alle elezioni presidenziali dell'anno prossimo, mentre il consenso degli uomini di fiducia degli Stati Uniti, come Eltsin e Cernomyrdin è precipitato al 5-10%. Anche per questo Eltsin lo ha destituito (rendendo ormai drammatico il fossato tra paese reale e paese "legale", ai limiti di uno scontro interno che potrebbe precipitare in forme drammatiche), dopo avergli sottratto il dossier "guerra in Jugoslavia" per affidarlo a Cernomyrdin. In modo che l'eventuale successo di una mediazione diplomatica russa avvenga su una linea più docile alle volontà della Nato, e che sia il nucleo eltsiniano (e non Primakov e la sua squadra) a trarne i maggiori benefici di immagine, in vista delle prossime scadenze elettorali in Russia. Gli Usa vogliono inoltre favorire una evoluzione della Cina per cui le forze espressione di una nuova borghesia interna legata al mercato internazionale (che auspica un legame preferenziale e docile con gli Stati Uniti) prendano gradualmente il sopravvento sulle forze sociali e politiche che restano legate a un progetto originale e inedito di lunga transizione al socialismo, con una economia mista in cui il pubblico resti comunque prevalente sul privato. Il bombardamento pianificato dell'ambasciata cinese a Belgrado, era certo un test per vedere fino a che punto la Cina era in grado di assumere sulla guerra in Jugoslavia un profilo forte e autonomo dagli Usa e la reazione degli studenti cinesi (da molti considerati ormai succubi del modello americano) è stato un segnale più che incoraggiante di tenuta di un orientamento antimperialista, di dignità nazionale, di autonomia di valori, che parla alle nuove generazioni del mondo intero. Ma quelle bombe si proponevano, da parte dei fautori della guerra totale contro la Jugoslavia, anche l'obbiettivo di inasprire le relazioni internazionali e rendere impossibile in sede Onu una risoluzione ragionevole e negoziata (non imposta dalla Nato) tra tutte le parti in causa del conflitto balcanico. Anche sull'India, potenza nucleare, gli Usa premono per sottrarla alla sua storica collocazione di non allineamento, che conserva forti radici nel Paese, per imporle una linea di privatizzazioni selvagge e di smantellamento del ruolo dello Stato in economia (tuttora consistente) e omologarla al modello neo-liberale. In Europa si cerca di impedire che si affermi un modello sociale diverso da quello neo- liberale ed un sistema di sicurezza alternativo alla Nato e alla tutela americana sull'Europa. Tanto più se ciò dovesse prefigurare un quadro di cooperazione economica, politica e militare di tutta l'Europa, dall'Atlantico agli Urali, passando per i Balcani. Il che configurerebbe una entità economica geopolitica e di sicurezza di prima grandezza nel panorama mondiale e scalzerebbe l'influenza predominante degli Usa sul vecchio continente. Proprio Primakov è stato e rimane uno dei più convinti assertori di questo asse Russia-Unione Europea ad Ovest, e di un altro asse Russia-Cina-India ad oriente, che marcherebbero una evoluzione multipolare degli assetti planetari e degli stessi rapporti in seno alle Nazioni Unite, minando il progetto americano di egemonia globale unipolare, che comporta invece l'affossamento dell'Onu e la trasformazione della nuova Nato a guida americana in regolatore supremo di ogni controversia internazionale. Sul solo terreno della competizione economica l'imperialismo americano non è in grado oggi di dominare il mondo e di subordinare i suoi stessi alleati/concorrenti come Unione Europea e Giappone. Gli Usa incidevano nel dopoguerra per il 50% del PIL mondiale: oggi la percentuale si è dimezzata, ed è di poco inferiore a quella dell'Unione Europea. Spostare la competizione sul terreno militare, dove la potenza Usa è ancora di gran lunga preponderante, significa usare la guerra come strumento di egemonia economica e politica. Anche contro l'Europa: costringendola a subire l'iniziativa e l'interventismo anglo-americano o ad entrare nel gioco della grande spartizione delle zone di influenza, ma in posizione subalterna. Come appunto è avvenuto con questa guerra. Siamo partiti, in apparenza, da lontano, ma la conclusione è sintetica e ci tocca da vicino. Il controllo dei Balcani è strategico nella competizione per il controllo dell'Eurasia. I Balcani sono storicamente la porta per l'Oriente; da lì passano oggi oleodotti e gasdotti che trasportano le vitali risorse energetiche tra Europa e Asia. Nella contigua regione del Mar Caspio, del Mar Nero, del Caucaso gli scienziati stimano esservi giacimenti di petrolio e di gas naturale tra i maggiori del mondo. L'allargamento della Nato ad Est si propone di inglobare gradualmente tutti i paesi dell'Europa centro-orientale e dei Balcani, incluse le repubbliche europee dell'ex Unione Sovietica, per farne un grande protettorato atlantico: per controllarne le risorse e circondare una Russia non ancora "normalizzata" e dal futuro incerto. Mentre all'altro capo del continente eurasiatico, proprio in queste settimane, è andata strutturandosi una "Nato asiatica", che comprende, in un sistema militare e di "sicurezza" integrato, gli Stati Uniti, il Giappone, la Corea del Sud e strizza l'occhio a Taiwan, cui si assicura "protezione". Che cosa accadrebbe domani se gli Stati Uniti decidessero di dare vita ad una nuova UCK in Cecenia, in Daghestan; in Tibet o magari a Taiwan? La Jugoslavia rappresentava, agli inizi degli anni '90, un ostacolo alla normalizzazione dei Balcani. Facendo leva su processi disgregativi interni e ataviche tensioni etniche e nazionali, alimentate dalla crisi dell'esperienza socialista jugoslava (che richiederebbe un discorso a parte), la Germania prima e gli Usa poi hanno spinto per la disintegrazione del paese (attizzare il fuoco, disgregare, per poi intervenire, assumere il controllo, colonizzare). Da qui la secessione della Slovenia, della Croazia, della Macedonia, della Bosnia, e la trasformazione dell'Albania in una grande base Nato nel Mediterraneo. Restava ancora da spappolare la Repubblica Federale Jugoslava, e soprattutto l'indocile Serbia. Così fu aperto il dossier Kossovo, dove certo non mancavano i presupposti per gettare benzina sul fuoco. E dove la parte più estrema del nazionalismo serbo, con forti appoggi nel governo di Belgrado, aveva colpevolmente contribuito ad esasperare i rapporti con la popolazione kossovara di origine albanese: a sua volta sospinta dall'UCK, armata dagli americani, a precipitare la regione nella guerra civile, per poi invocare l'intervento "liberatore" della Nato.. Ma questa è storia dei giorni nostri; anzi, cronaca.
La guerra del Kosovo, o dei Balcani... Angelo d'Orsi (da "Liberazione) La guerra del Kosovo, o dei Balcani, che ha chiuso cronologicamente il Novecento, ha riproposto gli stessi meccanismi del Golfo, prova generale per la realizzazione del "nuovo ordine mondiale", con una peculiarità: si è trattato di un conflitto fomentato dall'Occidente, una guerra politicamente e giuridicamente evitabile, ma perseguita con lucidità dagli Stati Uniti e accetta più o meno volentieri dall'Europa. Peraltro, con la guerra a Milosevic, l'Europa per la prima volta da espressione geografica e koiné culturale si presentava come entità politica: si è trattato della prima guerra dell'Unione Europea, che ha così avuto un suo canonico "battesimo del fuoco", rimanendo perfettamente in linea con la tradizionale idea che senza sangue non si crea una nazione. Che poi la nazione europea abbia davvero potuto essere generata dal conflitto appare davvero dubbio, trattandosi anche di una guerra infraeuropea, di un'aggressione all'Europa da parte dell'Europa, per un verso, e di un attacco all'Europa proveniente d'Oltre Atlantico. In quella neoguerra, il ricorso all'uso politico della storia - forma estrema dell'uso pubblico della storia -, al suo inesauribile supermercato, è stato particolarmente forte e martellante. Filosofi, scienziati, politici e cultori professionali o dilettanti di storia sono stati mobilitati in massa per fornire alla classe politica e ai suoi propagandisti gli strumenti e gli argomenti di varia natura alla preparazione ideologica e alla successiva giustificazione dell'evento, che, nella buona sostanza, era semplicemente un'aggressione armata, condotta con mezzi aerei da cinquemila metri di altezza, da parte di una coalizione di diciannove Stati - quasi tutti i più potenti della Terra - contro una nazione di nove milioni scarsi di abitanti, più piccola della metà dell'Italia settentrionale. Di nuovo, come nel Golfo, ma con intensità assai maggiore e un'insistenza resa più facile da false analogie storico-geografiche, il ricorso al paradigma antifascista, alla più "giusta" delle guerre - quella condotta contro il nazifascismo da parte delle "democrazie" - serve a fare accettare all'opinione pubblica internazionale, europea soprattutto, un'azione militare inaccettabile sotto tutti i principi. Ancora una volta si riaffacciava il fantasma di Adolf Hitler, i cui panni erano fatti indossare al serbo Milosevic, con la connessa, falsa e moralmente ripugnante equiparazione della cosiddetta pulizia etnica (rimasta peraltro largamente indimostrata) al genocidio ebraico; e via di questo passo, in un incredibile repertorio fondato su false analogie, anacronismi, mezze verità e palesi menzogne: il tutto fornito da uomini di studio, di scienza, di cultura. E anche recenti, rigorosamente documentati lavori di studiosi autentici hanno finito per avallare, passando dal piano conoscitivo a quello valutativo, un giudizio di "colpevolezza" serba, pur con numerosi distinguo e con apprezzabili sforzi di corresponsabilizzazione degli altri attori, interni, ed esterni, in campo. Mentre, d'altro canto, statisti e commentatori professionali (pur con qualche lodevole eccezione, frutto talora di pentimento rispetto a posizioni pregresse), non si sono ritratti, nella "guerra al Terrore", dal riproporre una volta ancora l'equazione tra i "buoni" del momento, ossia gli americani e i loro alleati (succubi), e quelli del 1939-45 (ancora gli americani e i loro alleati), e, sul fronte opposto, i "cattivi", equiparati a Hitler e i suoi alleati (succubi). Insomma, anche quando non hanno agito in prima persona per costruzione di menzogne a fini di legittimare quel che era impossibile legittimare su ogni piano, gli intellettuali si sono assunti una responsabilità negativa, nel senso che non hanno fatto ciò che ad essi primariamente compete, o lo hanno fatto troppo poco, episodicamente: un'opera di demistificazione critica, di denuncia proprio delle manipolazioni, delle corruzioni e degli inquinamenti della verità, che, al comodo riparo di una storia bric-à-brac, sono alle nostre spalle, e, purtroppo, pur all'interno di un lento processo di presa di distanza dalle (dichiarate) ragioni del conflitto. Né sufficiente è apparsa la mobilitazione intellettuale davanti all'ultimo obbrobrio: la "guerra preventiva", estremo vulnus al diritto, alla logica, alla storia. Troppi chierici hanno taciuto, approvato, giustificato, colpevolmente. Pessimismo eccessivo? Catastrofismo (appunto)? Se si vuole una piccola nota di moderato ottimismo teorico si può ricordare che la teoria delle catastrofi applicata all'ambito politico - come per esempio fa Georges Sorel nelle sue Réflexions sur la violence (1908), riprendendo e sviluppando Marx a proprio modo - vede appunto una "catastrofe" a segnare il passaggio da un'epoca ad un'altra, superiore, per livello di civiltà. Tale sarà il passaggio dal capitalismo al socialismo; ma, egli aggiunge, non è poi certo e nemmeno necessario che ciò accada; basterà che l'evento catastrofico sia atteso come un mito vivificante per produrre conseguenze. Non abbiamo la fede di Sorel, ma piuttosto la passione per la ricerca e l'acribia: è piuttosto a Marc Bloch che si può guardare con reverente attenzione. Ponendoci sulla scia di un tale gigante della storia (dunque della ricerca appassionata della verità), ci chiediamo se un lavoro, insieme modesto e difficile, di scrupolosa raccolta di dati e di loro interpretazione (ci auguriamo corretta), non possa costituire un pur minimo contributo utile per evitare la "catastrofe". Con il che dall'accezione corrente del termine catastrofe ritorniamo alla sua origine: evento (perlopiù doloroso) o insieme di eventi che portano allo scioglimento della tragedia, fornendo un ammaestramento agli uomini (e alle donne). Non sta a chi scrive dire se qualche, pur piccolo e modesto "ammaestramento" possa uscirne per il lettore. Ma sia lecito almeno esprimere l'auspicio che in quel lettore sorga, da questo libro, il desiderio di capire e sapere di più.
http://digilander.libero.it/economiadiguerra/euro_kosovo_usa.htm E il dollaro va alla guerra contro l'euro Tina Menotti (Rita Madotto) Liberazione 29 aprile 1999 Della guerra della Nato in Kosovo ne sa piú Alan Greenspan - presidente della Federal Reserve - che Bill Clinton. La natura di questa guerra, infatti, è preminentemente economica e finanziaria. E il disorientamento dei commentatori che accettano passivamente la tesi della "guerra umanitaria" la dice lunga sul processo di omologazione all'ideologia della superpotenza Usa avvenuta negli ultimi due decenni e che non ha risparmiato la cultura della "sinistra riformista". Il ruolo predominante degli Stati Uniti nel decidere tempi e modalità della guerra è sotto gli occhi di tutti, ed evidenzia che gli Usa non hanno alcuna fretta di chiudere il conflitto, anzi hanno bisogno di allargarlo. La rendita degli Usa I Balcani e la pulizia etnica in Kosovo non sono la vera materia del contendere, ma lo strumento attraverso cui gli Stati Uniti hanno deciso di destabilizzare l'Europa: un'area economica che, dopo l'unificazione monetaria, può minacciare la rendita di posizione degli Usa sui mercati internazionali. Un'egemonia incontrastata e rafforzata dal ruolo politico e militare degli Usa nel mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Erodere la supremazia del dollaro significa, infatti, rompere quel meccanismo attraverso cui gli Usa esportano sistematicamente le loro crisi economiche, godendo cosí di un'economia in buona salute nonostante l'alto indebitamento delle famiglie e il pazzesco indebitamento con l'estero. Lo scenario economico che si è determinato negli ultimi due anni mostra con chiarezza che tale rendita di posizione è seriamente minacciata. Il terremoto finanziario partito dal Sud-est asiatico e il Giappone e che ha investito la Russia e il Brasile è partito essenzialmente da due fattori concomitanti. La liberalizzazione selvaggia del movimento dei capitali, voluta dagli Usa per trovare collocazione alle ingenti risorse finanziarie liberate dalle politiche di riduzione del debito statale, che hanno determinato minori rendite sui titoli pubblici, e soprattutto dalla privatizzazione del sistema previdenziale. Ciò ha consentito ai paesi emergenti forti indebitamenti a breve, mentre la veloce rivalutazione del dollaro nell'estate del '97 (il secondo fattore scatenante) ha fatto esplodere il debito estero di questi paesi innescando la crisi a livello globale. I capitali sono ritornati sulle piazze europee e su quella statunitense con l'effetto di alimentare ancora di piú la bolla speculativa che da anni ormai incombe come una bomba a orologeria. Greenspan metteva in guardia il sistema quando il Dow Jones - l'indice azionario - era a quota 6.500 (settembre). La successiva riduzione del tasso di sconto per dar fiato al sistema del credito, dopo il crack del fondo speculativo Long Term Credit Management che ha rischiato di innescare una serie di fallimenti a catena, ha portato l'indice a oltre diecimila punti. La sopravvalutazione dei corsi azionari oscilla cosí tra il 25 e il 40% e ciò mette in crisi tutto il sistema. Crisi di questa natura non sono una novità per il mercato ma la differenza con il passato l'ha fatta il varo dell'euro: un progetto che, nell'intenzione dei promotori, aveva la finalità di creare un mercato unico di merci e capitali capace di competere con gli altri due blocchi economici, il Giappone e le tigri asiatiche, e il Nafta (mercato unico del centro e nord America). La concorrenza dell'Ue Una solida moneta europea, capace di reggere, per dimensione delle riserve, alle ondate speculative indurrebbe molte banche centrali e istituti finanziari a rivedere la composizione delle proprie riserve valutarie. L'euro farebbe concorrenza al dollaro e, visto il livello dell'indebitamento estero degli Usa (le stime dicono che nel 1999 il debito commerciale potrebbe superare i 200 miliardi di dollari), ne segnerebbe il declino. Un lusso che gli Stati Uniti non possono concedersi. Come contrastare questo processo? L'unica possibilità per gli Stati Uniti è quella di destabilizzare l'Europa. L'occasione della guerra nel cuore dell'Europa deve essere apparsa troppo ghiotta alla leadership statunitense per non essere colta al balzo: certo è che questo non verrà mai scritto in nessuna "dichiarazione di guerra". Una guerra che destabilizza è una guerra lunga che soddisfa gli appetiti del complesso militar-industriale degli Usa. Un terzo delle spese di bilancio degli Stati Uniti sono spese per la "difesa" e il peso dell'economia di guerra sul Pil è sempre stato il piú alto tra tutti i paesi a capitalismo avanzato. L'aumento della spesa attraverso gli investimenti nel settore militare, in un contesto di deflazione strisciante, è la strada maestra per rilanciare l'economia in un paese che ha demolito qualsiasi meccanismo di redistribuzione del reddito. E l'Europa? E i governanti europei, in maggioranza socialdemocratici? È possibile che si siano fatti parte attiva del loro stesso depotenziamento? Intanto l'Europa politica non esiste ed è questa la prima grande sottolineatura di questa guerra. Su questo punto hanno investito in primis gli strateghi statunitensi. A livello dei singoli governi è prevalsa, poi, la politica di piccolo cabotaggio e/o gli interessi delle lobby dell'industria degli armamenti. Gran Bretagna in testa, dove agli interessi di potenza nel settore armi si aggiunge la storica allergia al progetto di unificazione monetaria che toglie a Londra lo scettro di piú grande piazza finanziaria europea. Altro elemento di debolezza dell'Europa sono i governi della sinistra moderata, la cui unica preoccupazione sembra quella di legittimarsi e a cui sfugge l'inganno della paradossale "guerra umanitaria". Hanno "dimenticato" le finalità prime del varo dell'euro, avendo essi stessi piegato la moneta unica a strumento eccellente delle politiche restrittive di bilancio di questi ultimi cinque anni. Il risultato è che l'Europa non ha alcun ruolo autonomo, il conflitto in corso l'ha ridotta a una mera espressione geografica, e nessuno può pensare, in queste condizioni, che la sua moneta di riferimento possa essere considerata un "equivalente generale" affidabile. === 4 : GLI UMORI DELLA BASE === --- In aa-info at yahoogroups.com, "Gruppo Zastava - TS" ha scritto: 24 MARZO 1999 - 2003 "Chi e perché ha voluto distruggere la Jugoslavia" Il 24 Marzo 1999 la NATO, l'Europa, gli USA, il governo D'Alema-Ulivo, con l'appoggio delle destre e per conto delle potenze economiche mondiali dominanti, nell'ambito di un disegno globale di ricolonizzazione, scatenarono una micidiale pioggia di bombe sui popoli della Federazione Jugoslava, violando Costituzione italiana, leggi e trattati nazionale e internazionali. Migliaia di vittime sotto le bombe, missili con uranio impoverito e grafite, il più grande disastro ambientale mai avvenuto in Europa: 20.000 morti di tumore in 4 anni di cui il 30% bambini. La Jugoslavia cancellata politicamente da un governo fantoccio al servizio della NATO e dell'Unione Europea, che con un consenso dell'8% applica oggi fedelmente le ricette liberiste con licenziamenti e privatizzazioni. L'aggressione italiana alla Jugoslavia, pur nella sua orrenda specificità, non è stato un inizio né una fine: governi di centro- sinistra e di centro-destra, in egual modo, hanno coinvolto il Paese in altre aggressioni armate. L'esercito italiano è ad oggi impegnato in Albania (2600 effettivi), Bosnia (1200), Serbia (Kosovo, 4900), Macedonia (120), Afghanistan (1400), Eritrea (50), mentre l'Italia è occupata militarmente da più di 140 basi USA e NATO. Ma la "guerra umanitaria" alla Jugoslavia del 1999, preceduta da molti altri "interventi di polizia internazionale" (Libano '82, Iraq '91, Somalia '93, Albania '95) atti a tastare il polso alle potenze "alleate" europee, è stata soprattutto il banco di prova generale USA di una nuova politica egemonica, mirata a far saltare gli ultimi residui del "diritto internazionale" ed a varare la politica USA delle alleanze a "geometria variabile" definitivamente collaudato in Afghanistan nel 2001, ed oggi tocca all'Iraq. E ancora una volta l'Italia, sulla spinta dei suoi potentati economico-finanziari bi-polari, vi vuole partecipare. L'orizzonte, dopo e attraverso la distruzione della Jugoslavia, è cambiato: dalle guerre "limitate" e "concordate" si è passati alla guerra mondiale permanente. La feroce competizione fra gli stati "alleati" membri del G8 sta sfociando inevitabilmente in nuove guerre, costringendo gli Stati Uniti ad "alzare il tiro", pena la perdita dell'egemonia mondiale. Siamo di fronte ad uno scenario di guerra globale non solo militare e non solo contro i popoli che rifiutano di farsi colonizzare. E' una guerra sociale ed economica contro i lavoratori di tutto il mondo. Contro i lavoratori italiani costretti a subire in questi ultimi 10 anni le politiche dei due poli che si sono alternate al governo: tagli, privatizzazioni, bassi salari, cancellazione dei diritti. C'è chi ha interesse che la data del 24 Marzo venga cancellata dalla nostra memoria. Noi, invece, vogliamo farla vivere e contestualizzarla dentro la giusta protesta, popolare e di massa, che in questo periodo si esprime, finalmente in termini radicali, contro la guerra. Invitiamo pertanto a partecipare alla giornata di mobilitazione di domenica 23 Marzo, a ridosso del quarto anniversario dei bombardamenti sulla Jugoslavia, contro la guerra, per la chiusura della base USA-NATO di Aviano. Base da cui sono partiti, e partiranno, gli aerei con il loro carico di morte. GRUPPO ZASTAVA TRIESTE (elaborato da un testo dei compagni romagnoli che ringraziamo per lo spunto e per non aver dimenticato questa tragica data - yure) --- «Colpito e terrorizzato» La macchia mai rimossa In questi giorni, come non bastasse l'incubo della guerra all'Irak, ci tocca rivivere la vergogna della guerra del Kossovo, prevedibilmente e non infondatamente rievocata dal centro-destra. Succede così divedere, nelle tante maratone televisive, Melandri e Letta sostenere goffamente che allora non fu violata la Costituzione, perché si agiva nell'ambito Nato (cosa detta nello stesso giorno in cui Andreotti, al Senato, dimostrava come persino il trattato della Nato fosse stato violato nella guerra alla Jugoslavia). O di assistere al balbettio di Pecoraro Scanio, il quale non trova di meglio che inventarsi che "allora era d'accordo anche il Papa". Ed ecco, da Costanzo, l'esibizione di Massimo D'Alema, che difende la sua guerra in un modo talmente supponente e pretestuoso, da spingere il pubblico del Teatro Parioli, sempre così benevolo verso l'Ulivo, ad indirizzare applausi liberatorii alle facili confutazioni di un pensatore come Belpietro. E oggi riecco il Nostro sulla Stampa, saldo come una roccia: "D'Alema non cambia idea". E' noto che una memoria lunga è spesso d'ostacolo all'azione politica, nella quale è utile a volte saper dimenticare: ma la ferita del Kossovo è troppo recente e troppo profonda per essere archiviata o peggio, rimossa. Anzi, è proprio in queste giornate drammatiche, dentro la grande onda pacifista che ha sollevato il Paese, è proprio ora che occorre ricordare, discutere, contestare quelle scelte, come garanzia che non abbiano a ripetersi.E allora ripetiamolo fino alla noia: l'Italia fu portata in una guerra di aggressione a uno Stato sovrano, in violazione della Carta dell'Onu, del Trattato del Nord Atlantico, della Costituzione repubblicana. Al Parlamento fu consentito votare solo ad attacco già iniziato. Nei settantotto giorni di bombardamenti devastanti i governi alleati si macchiarono di numerosi crimini di guerra (uno per tutti: la strage proditoria di giornalisti, tecnici, civili, compiuta con la scelta di bombardare la Torre sede della televisione jugoslava a Belgrado). Bohumil Hrabal usava citare un cartello esposto in una tintoria di Praga. C'era scritto: "Si avvisa la Spettabile Clientela che alcune macchie non possono essere cancellate senza intaccare le fibre del tessuto". La guerra del Kossovo è una di queste macchie. E il tessuto va intaccato, con una riflessione autocritica di fondo, o almeno con un rinnovamento della futura leadership ristretta del centro sinistra che metta da parte i principali responsabili di quel misfatto. Per ora il solo Cofferati, che pure porta una responsabilità infinitamente minore, ha avviato un ripensamento serio. Altri segnali non se ne vedono. Se su questo terreno nulla dovesse cambiare di qui alle politiche, penso che non saremmo in pochi ad incontrare qualche difficoltà a votare Ulivo, indipendentemente dalle scelte che Rc deciderà di operare. Non tanto per una condanna morale inappellabile riferita al passato, quanto per una preoccupazione politica che riguarda il futuro: perché i D'Alema, i Rutelli, i Fassino, ci stanno dicendo che, si ripresentassero circostanze analoghe a quelle di allora, sarebbero pronti ad una nuova guerra. Edgardo Bonalumi Il Manifesto - 26 marzo 2003 http://www.informationguerrilla.org/kossovo_e_la_sinistra.htm ------- Forwarded message follows ------- To: "no-ogm-ra" <no-ogm-ra at yahoogroups.com> From: "amato.r" Date sent: Tue, 15 Apr 2003 08:58:25 +0200 Subject: [no-ogm-ra] Re: Kosovo, gli ipocriti Send reply to: no-ogm-ra at yahoogroups.com ----- Original Message ----- From: "glr" Sent: Saturday, April 12, 2003 3:49 AM Subject: Kosovo, gli ipocriti: La Melandri non c'era e se c'era dormiva (Fwd) [JUGOINFO] Gli ipocriti (2) La Melandri non c'era e se c'era dormiva ___________ La contraddizione nelle dichiarazioni di D'Alema e altri esponenti DS è quotidianamente sotto gli occhi e le orecchie di tutti, a me basta ascoltare il giornale radio per sentirmi a disagio, e non credo di essere il solo. La mancanza di coerenza è il principale pericolo per la credibilità e il futuro della Sinistra e deve superata. Una netta sconfessione delle posizioni di allora e l'allontanamento dei responsabili è indispensabile, per questo preciso motivo. Errori così gravi non possono restare impuniti. L'accusa di opportunismo e ipocrisia (ora o allora?) da parte dell'opposizione e dell'elettorato, deve essere radicalmente eliminata, eliminandone i fondamenti. E' indispensabile e non più dilazionabile un chiarimento approfondito e inequivocabile delle posizioni attuali dell'Ulivo rispetto alla politica estera italiana e dei rapporti con l'"alleato" statunitense. Roberto --- Date: Mon, 20 Jan 2003 12:33:52 +0100 From: andrea To: pci-epr Subject: [Pci-epr] NO Scusa Francesco, mi scusino gli iscritti a questa lista, ma la ipocrisia del PdCI sulla questione della guerra e' veramente offensiva ed inaccettabile. Non avete fatto nessuna autocritica sul vostro comportamento nel 1999, sulla spaccatura del PRC e sulla partecipazione ad un governo deciso a tavolino da Cossiga e Scognamiglio al solo scopo di consentire la partecipazione italiana alla aggressione contro la Jugoslavia (devo girare la documentazione al riguardo?), ed adesso volete guidare voi il movimento contro la guerra??? (...) Date: Mon, 20 Jan 2003 14:23:02 +0100 (NFT) From: francesco To: andrea, pci-epr Subject: Re: [Pci-epr] NO Caro Andrea, rispondo pubblicamente (e non in privato, come sarebbe forse piu' opportuno per la nostra vecchia amicizia) solo per evitare che le compagne ed i compagni iscritti a questa lista possno avere l'impressione che il PdCI, che io qui rappresento ufficialmente, non sappia come affrontare queste critiche. Nel merito quindi: 1) la partecipazione italiana alla guerra contro la Jugoslavia non dipesa da alcun comportamento del governo D'Alema, perche' le responsabilita' sono precedenti e collettive: essa infatti fu resa inevitabile dalla improvvida decisione di cedere il comando delle truppe italiane alla NATO nel caso "si fosse resa necessaria" una operazione di "intervento umanitario" nella zona (le virgolette specificano i termini usati nella votazione parlamentare). Purtroppo, questa decisione fu presa ALL'UNANIMITA' dalle Camere nell'ottobre del 1998 e fu votata ANCHE DAL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA: i Parlamentari che successivamente hanno aderito al PdCI hanno riconosciuto, pochi mesi dopo, che si tratto' di un tragico errore, dettato dalla mancanza di approfondimento sulla situazione. I Parlamentari rimasti nel PRC hanno solamente rimosso questo episodio e non ne hanno mai piu' parlato. Tuttavia, da quel momento in poi, le operazioni NON SONO PIU' PASSATE PER UN CONTROLLO PARLAMENTARE e neppure governativo in Italia: questo e' stato, all'epoca e successivamente denunciato con forza dal PdCI, che non ha mai riconosciuto, dalla sua nascita, ne' una validita' alla cosiddetta "guerra umanitaria" del 1999 ne' alla demonizzazione della Jugoslavia ne' a tutta la propaganda bellicista dell'epoca e successiva. 2) Quando la NATO (cioe' in pratica gli USA) diedero inizio alle ostilita', senza che nessuno potesse piu' impedirlo (come e' noto, i governi venivano informati, non coinvolti e neppure consultati) il PdCI ha fatto tutto il possibile per far terminare il conflitto al piu' presto e con il minore numero di vittime. So che sull'efficacia di questi interventi abbiamo punti di vista diversi, perche' io continuo a pensare che l'aver impedito il cosiddetto "intervento di terra" sia stato utile, mentre, dalle diverse discussioni che abbiamo avuto sull'argomento, so che tu pensi che se la NATO lo avesse tentato, si sarebbe cacciata in un "cul-de-sac" esiziale. Tuttavia nessuno puo' negare che questi interventi ci furono e che ebbero un risultato: se si vuole, si tratta di analizzare in dettaglio queso risultato ma non credo che si possa fare per mail. 3) quanto alla nascita del PdCI, no, qui non discuto neppure: fu un errore gravissimo, del quale scontiamo tutti ora le conseguenze, la posizione di Bertinotti sul Governo Prodi, che non comprendeva alcun punto sulla guerra (sai benissimo che l'ala trozkista di Rifondazione, che faceva e fa parte integrante ed insostiuibile della maggioranza di quel partito non ha mai avuto dubbi sulla realta' della "pulizia etnica dei serbi", su quanto fosse cattivo Milosevic, ecc., tutte cose che invece vanno adeguatamente ridiscusse) ma che riguardava solo il punto assolutamente surrettizio della "svolta o rottura" sulla politica sociale ed in particolare sulla legge relativa alle 35 h lavorative a settimana. Fu l'unica cosa da fare partecipare al governo che si formo' e sulla nascita del quale chi vuol dare credito a Cossiga lo faccia pure (...) === 5 : GUERRA CONTRO L'INFORMAZIONE === CHI RICORDA LA TV SERBA BOMBARDATA? mauri ti segnala questo articolo pubblicato sul sito http://www.unita.it e aggiunge il seguente commento: <<Quando si dice di essere patetici,non sono sicuro di chi governava nel 1999.Forse l'unita stava contro la NATO. Forse le Bombe intelligenti non apprezzano la Televisione. Forse La rai o la cnn o le reti mediaset sono la massima espressione della libertà d'informazione...>> Chi ricorda la tv serba bombardata? L'informazione negata. Ieri come oggi di an.ca. Diritto internazionale e informazione. Durante la guerra, il primo viene spazzato via definitivamente dai rapporti di forza, la seconda scivola sempre più nella propaganda. Mentre si susseguono notizie e smentite dall’ Iraq, la presentazione di “Sedicipersone”, un documentario di Corrado Veneziano realizzato con la consulenza giuridica del giudice Domenico Gallo, dà questo contributo alla riflessione sulle implicazioni di un conflitto armato. In 32 minuti, attraverso le testimonianze di giornalisti e operatori, italiani e serbi, si ricorda il bombardamento del palazzo della Radio Televizija Srbije, la tv nazionale di Belgrado. Alle 2 e 16 del 23 aprile di quattro anni fa, 16 persone che erano all’interno dell’edificio rimangono uccise. Su quell’episodio , sostiene Domenico Gallo, il Tribunale internazionale per la ex-Iugoslavia e la Corte Europea «dissero ai giudici di tacere». Secondo il primo protocollo della Convenzione di Ginevra del 49 il bombardamento di un obiettivo non militare è vietato. La Corte di Cassazione italiana nel febbraio 2002 affermò che il bombardamento su un edificio all’estero non rientra nella giurisdizione italiana. Se la vicenda giudiziaria è conclusa, ha proseguito Gallo, la vicenda storica rimane ancora aperta. I Cruise della Nato che colpiscono il palazzo dell’informazione di Belgrado sono un simbolo, ha ricordato Paolo Serventi Longhi, segretario della federazione nazionale della stampa, che induce ancora una volta a riflettere su come si possa costruire una democrazia con le bombe e cosa significhi fare informazione. Nei giorni successivi, quel bombardamento fu presentato come un errore, - ha ricordato Tana de Zelueta, parlamentare Ds- e solo grazie ad una indiscrezione trapelò che quella operazione fu voluta. Davanti alla telecamera, un parente delle vittime spiega l’effetto, l’unico, di una guerra: svuotare le cose e le parole. Anche i giornali, ha aggiunto Lucio Caracciolo direttore di Limes, nel suo intervento. Infine la denuncia di Ennio Remondino, per anni inviato della Rai dai Balcani. Ormai le guerre si fanno per convincere, non per vincere, ed il grande sconfitto per Remondino sembra essere l’informazione. Per Remondino, o sei trombettiere o ti bombardano. se vuoi leggerlo online: http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=24422 (assicurati che l'indirizzo qui sopra sia riportato per intero nel browser) Vieni a trovarci su http://www.unita.it --- il manifesto - 23 Aprile 2003 GIORNALISMO TARGET Dalla tv di Belgrado all'Hotel Palestine. Quel «vicino» 23 aprile DOMENICO GALLO Ksenija Bankovic aveva 28 anni il 23 aprile del 1999 ed era molto contenta del suo lavoro di assistente al montaggio, anche Jelika Munitlak aveva 28 anni ed era contenta del suo lavoro di truccatrice.Oggi, dopo quattro anni, Ksenija e Jelika hanno ancora 28 anni. Infatti sono state spogliate della vita alle ore 2,06 del 23 aprile 1999, assieme ad altre quattordici persone, come loro addette al lavoro presso gli studi della Rts (Radio Televisione Serba) di Belgrado. Un missile «intelligente» della NATO aveva deciso di impadronirsi della loro vita e c'è riuscito, centrando, con precisione millimetrica, l'ala centrale dell'edificio della televisione, dove ferveva il lavoro dell'equipe tecnica. I vertici dell'Alleanza sono così riuscite a spegnere per sempre il sorriso di Ksenija e di Jelika che, chissà per quale oscura ragione, dava loro tanto fastidio. Quattro anni fa l'opinione pubblica non era ancora abituata a considerare le equipe televisive ed i giornalisti addetti al loro lavoro come obiettivi militari, come bocche e come occhi da chiudere per sempre, con l'argomento irresistibile del tritolo. Per questo, all'epoca si levò un fremito di indignazione che raggiunse, addirittura, i vertici politici coinvolti in quella sciagurata impresa. Il ministro italiano degli Esteri dell'epoca, l'on. Dini, da Washington, dove si era riunito il Summit dell'Alleanza per celebrare i 50 anni della Nato, dichiarò ai giornalisti italiani «è terribile, disapprovo, non credo che fosse neppure nei piani». Ma fu immediatamente sconfessato dal suo Presidente del Consiglio, l'on. Massimo D'Alema, che dichiarò: «Non si può commentare ogni giorno dov'è caduta una bomba», precisando che la sua reazione alla notizia risultava «attenuata dal fatto che in Jugoslavia non esiste una stampa libera» (Corriere della Sera, 24 aprile 1999). Così il 23 aprile del 1999, nel processo della modernizzazione che incombe sul nostro tempo, è entrato una preziosa acquisizione giuridica: il diritto alla vita dei giornalisti (e di tutti coloro che lavorano nel mondo dei media) è un diritto affievolito, dipende dal grado di libertà di stampa esistente in un determinato contesto. Quando la televisione costituisce uno strumento di propaganda di un regime politico autoritario, allora può essere silenziata con la giusta dose di tritolo. D'altronde è proprio quello che sostenevano i portavoce della Nato, nel briefing quotidiano con la stampa. Il colonnello Konrad Freytag, sempre nella fatidica giornata del 23 aprile, dichiarava che la Nato aveva continuato gli attacchi volti a indebolire gli apparati di propaganda della Jugoslavia e per questo aveva colpito gli studi radiotelevisivi della Tv di Belgrado: «la più grande istituzione dei mass media in Yugoslavia, che orchestra la maggior parte dei programmi di propaganda del regime». Anche in Iraq, come tutti sanno, non esisteva una stampa libera, per questo le forze dell'Alleanza del bene, il giorno prima della capitolazione di Baghdad hanno distrutto il terrazzo da cui trasmetteva la Tv Al Jazeera, uccidendone l'inviato, ed hanno bombardato l'Hotel Palestine, uccidendo altri due giornalisti, che non avevano capito bene che il regime di Saddam non garantisce la libertà di stampa. L'esempio della Rts ha fatto scuola. Sono passati solo quattro anni da quell'evento, ma sembra che sia trascorso un secolo. In Jugoslavia del regime di Milosevic non è rimasta più traccia alcuna: i dignitari del regime o sono morti per faide interne o sono finiti in prigione all'Aja. La stessa Jugoslavia non esiste più, ha cambiato nome: adesso si chiama Serbia e Montenegro. Apparentemente ci sono tutte le ragioni per aprire una casella negli scaffali della storia dove archiviare definitivamente la guerra Nato di Jugoslavia e passare ad altro. Ma i conti non tornano, questa stagione non riesce a concludersi, perché sino ad oggi nessuno ci ha dato conto della atroce morte di Ksenija e dei suoi compagni. Nessuno ha pronunziato una parola di giustizia che consentisse ai morti di riposare in pace. Di fronte a questo evento sta il silenzio assordante delle Corti e dei sistemi giudiziari di cui l'Occidente mena gran vanto. In primo luogo il silenzio di quell'organo che l'Onu aveva creato per proteggere gli abitanti della ex Jugoslavia dalla barbarie della guerra. Il Tribunale penale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia non ha detto una parola. Non ha potuto, in quanto il suo Procuratore, Carla Del Ponte, ha deciso di non chiedere ai suoi giudici di giudicare ed ha dichiarato, il 5 giugno del 2000 al Consiglio di Sicurezza dell'ONU di essere «molto soddisfatta» per aver archiviato le denunzie relative ai crimini commessi dai vincitori - accuse depositate da Amnesty International e Human Right Watch. In secondo luogo il silenzio di quella Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che ha deciso, il 12 dicembre 2001, pronunziandosi sul ricorso presentato dal papà di Ksenija Bankovic, di non giudicare, decretando che i diritti dell'uomo non sono poi tanto universali. In terzo luogo il silenzio della Cassazione, le cui Sezioni unite civili hanno imposto, nel giugno del 2002, ai giudici italiani di tacere, di non raccogliere il grido di dolore delle vittime, per non disturbare la libertà di bombardamento del sovrano. Com'è noto, al di sopra delle Sezioni Unite, c'è solo il Tribunale di Dio. Quindi i sommi giudici credevano di mettere la parola fine a questa vicenda, ma hanno commesso uno sbaglio. I morti non sono d'accordo. Lo spettro delle sedici vittime innocenti (che tornano in questi giorni d'attualità) continua ad aggirarsi nelle Cancellerie e nelle Corti di Giustizia. I leaders politici, responsabili della morte fisica, ed i magistrati, responsabili della morte giudiziaria, non se ne potranno liberare e trasaliranno, vedendoseli comparire dinanzi, come Macbeth quando vedeva riaffiorare lo spettro di Banquo. === 6 : DIRITTO === -------- Original Message -------- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 454 Date: Mon, 23 Dec 2002 02:15:02 +0100 From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it> To: "centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it> LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it (...) RIFLESSIONE. PEPPE SINI: ANCORA SULL'IMMODIFICABILITA' DELL'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA E SULLA NECESSITA' DI PERSEGUIRE PENALMENTE AI SENSI DI LEGGE I GOLPISTI E STRAGISTI Poiche' si persiste in un equivoco e una resa sciocchi e pusillanimi sara' utile ripetere una volta di piu' quanto segue. 1. L'articolo 11 della Costituzione fa parte di quei "principi fondamentali" (articoli 1-12) che costituiscono i "valori supremi" in cui si sostanzia e su cui si fonda la Costituzione della Repubblica Italiana. L'ultimo articolo della Costituzione, il 139, stabilisce che tutta la Costituzione puo' essere modificata secondo le procedure da essa stessa previste, tranne la sua forma repubblicana. La Corte Costituzionale in un memorabile pronunciamento di qualche decennio fa ha fornito l'interpretazione autentica - e quindi inequivocabile e cogente - di quanto disposto dall'articolo 139 Cost. sopra richiamato. Ovvero che della forma repubblicana sono elementi fondanti ed imprescindibili i valori supremi definiti nei principi fondamentali. Cosicche' l'articolo 11 della Costituzione non e' modificabile se non con un colpo di stato. Ma chi fa un colpo di stato e' un fuorilegge e va perseguito penalmente ai sensi di legge. 2. Il fatto che ripetutamente dal 1991 ad oggi l'articolo 11 della Costituzione sia stato violato da governi, parlamenti e capi dello stato golpisti e stragisti non significa che esso non vale piu', cosi' come il fatto che vengano commessi degli omicidi in Italia non significa che l'articolo del codice penale che punisce l'omicidio sia da considerarsi per questo abolito. 3. Coloro che si arrendono ai golpisti e agli stragisti sono dei vigliacchi e dei complici. Coloro che predicano la rassegnazione all'illegalita' dei potenti sono dei provocatori che, per torpore morale o perche' assoldati dai golpisti stragisti, vogliono renderci tutti favoreggiatori del colpo di stato dei gangster al potere. 4. E' invece dovere morale e civile del movimento per la pace, ma anche di ogni persona di volonta' buona e di ogni cittadino onesto, difendere la vigenza della Costituzione della Repubblica Italiana, difendere lo stato di diritto, la democrazia, la legalita', e denunciare coloro che l'articolo 11 della Costituzione hanno gia' violato e coloro che hanno gia' annunciato di apprestarsi a farlo di nuovo. Dobbiamo denunciare alle competenti magistrature i golpisti stragisti e chiedere che le forze dell'ordine intervengano per metterli in condizione di non nuocere ed assicurarli all'amministrazione della giustizia. 5. Ovviamente questo non basta; ma il fatto che non basti non ci esime dal farlo: dobbiamo contrastare la guerra e i suoi apparati e i suoi folli e criminali promotori anche con l'azione diretta nonviolenta, anche con la disobbedienza civile di massa, anche con lo sciopero generale, certamente; ma dobbiamo contrastarli anche in nome della legge, con la forza del diritto stabilito nel nostro ordinamento giuridico, denunciando i golpisti e gli stragisti alla magistratura per i delitti di attentato alla Costituzione e crimini di guerra e contro l'umanita'. (Numero 454 del 23 dicembre 2002)
P R O C E S S I A M O L I !! Il 31 luglio 1999 hanno avuto inizio a New York le attivita' del "TRIBUNALE INTERNAZIONALE INDIPENDENTE CONTRO I CRIMINI DELLA NATO IN JUGOSLAVIA", promosso da Ramsey Clark, con la stesura di 19 punti di accusa contro la NATO ed i governi occidentali. Le attivita' del "Tribunale" hanno trovato seguito in molti altri paesi del mondo. In Italia il primo novembre 1999 alla presenza di Ramsey Clark ha preso il via la sezione italiana del Tribunale. Nel corso di questi mesi, confortati dal crescente interesse suscitato e dalle numerose iniziative di presentazione del "Tribunale Italiano" in molte citta', abbiamo potuto verificare con dati oggettivi la veridicita' delle nostre accuse. A completamento del lavoro svolto in questi mesi, noi sottoscritti firmatari di questo appello accusiamo le massime autorità della Repubblica in carica nel marzo 1999 - in particolare il presidente del Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema e i membri del Governo per la partecipazione alla guerra illegale e il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per non aver difeso la Costituzione - nonchè i loro successori per quanto attiene ai crimini in continuità con l'aggressione armata, ciascuno secondo la personale responsabilità scaturente dalle diverse competenze, azioni e omissioni: - per avere collaborato attivamente all'aggressione contro la Repubblica Federale Jugoslava, paese sovrano da cui non era venuta nessuna minaccia nè all'Italia nè ai suoi alleati; - per aver liquidato e vanificato con l'aggressione militare le iniziative internazionali tendenti a favorire la soluzione con mezzi pacifici dei problemi esistenti nel Kosovo; - per avere violato tutti i principi del diritto internazionale e in particolare la Carta delle Nazioni Unite, i principi del Tribunale di Norimberga, le Convenzioni di Ginevra e i protocolli aggiuntivi sulla tutela delle popolazioni civili, nonchè lo stesso trattato istitutivo della NATO; - per aver consentito che dal proprio territorio partissero attacchi contro istallazioni e popolazioni civili, condotti su obiettivi e con armi appositamente studiate per infliggere il massimo danno, anche protratto nel tempo, alle persone e alle loro condizioni di vita (attacchi deliberati contro strutture civili, bombe a grappolo); - per aver consentito l'utilizzo massiccio di proiettili e missili all'uranio impoverito, causando danni incalcolabili e per un tempo indeterminato alle popolazioni della Federazione Jugoslava, con enormi rischi attuali anche per i volontari civili e per i militari italiani impegnati nel Kosovo. - per aver partecipato al bombardamento di impianti chimici e farmaceutici, causando deliberatamente danni ambientali di enorme rilevanza, tali da configurare una vera e propria guerra batteriologica, chimica e nucleare; - per aver danneggiato l'economia della Costa Adriatica con la chiusura degli aeroporti civili e per aver consentito e cercato di occultare lo smaltimento di ordigni bellici nelle acque territoriali italiane e in quelle immediatamente adiacenti, causando danni alle persone, all'ambiente, all'economia; - per aver violato la Costituzione italiana e ignorato le procedure che essa impone in caso di stato di guerra, guerra che non può mai essere intrapresa dall'Italia ma solo combattuta per difendere dall'aggressione altrui il nostro paese e i paesi di cui l'Italia sia impegnata a condividere la difesa; - per avere attivamente collaborato ad affamare e sacrificare la popolazione della Jugoslavia, sia nel corso della guerra sia con l'imposizione di misure di embargo internazionalmente illegittime; - per avere attivamente collaborato a esercitare pressioni e ingerenze contro un paese sovrano e le sue legittime istituzioni; - per avere inviato truppe e personale civile a governare territori ridotti di fatto a nuovi protettorati e colonie, senza peraltro impedire nel Kosovo la persecuzione sistematica e l'espulsione della popolazione di etnia serba e di altre etnie non albanesi, nonchè degli stessi abitanti di etnia albanese considerati non affidabili o dissidenti dal nuovo potere di fatto ivi insediato in violazione della risoluzione 1244 dell'ONU; - per aver usato la Missione Arcobaleno come operazione di promozione e legittimazione della guerra, e per avere allo stesso fine attivato o favorito una disinformazione e propaganda di guerra; - per avere rinunciato all'esercizio della sovranità del nostro paese e al diritto-dovere di controllo delle attività che vi svolgono comandi, strutture e mezzi militari stranieri; - per avere acconsentito a modificare, senza nessuna decisione del Parlamento, lo "status" politico e giuridico della NATO. ...
-------------------------------------------------------- Il documentario di M. Collon e V.Stojiljkovic finalmente in versione italiana. Per vedere quello che i media non possono mostrare. Per capire la "democrazia" della NATO. *** I DANNATI DEL KOSOVO *** Le copie del video si possono richiedere al 338-1755563 o scrivendo a: posta at resistenze.org (SOS Yugoslavia Torino) -------------------------------------------------------- FOR FAIR USE ONLY --> La lista JUGOINFO e' curata da componenti del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ). I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le posizioni ufficiali o condivise da tutto il CNJ, ma vengono fatti circolare per il loro contenuto informativo al solo scopo di segnalazione e commento. --> Bilten JUGOINFO uredjuju clanovi Italijanske Koordinacije za Jugoslaviju (CNJ). Prilozi koje vam saljemo ne odrazavaju uvek nas zvanicni stav, niti nase jedinstveno misljenje, vec svojim sadrzajem predstavljaju korisnu informaciju i potstrek na razmisljanje. ---> Archivio/Arhiv:
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