(Fwd) N.E. Balcani #672 - USA/Serbia-Montenegro



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N.E. BALCANI #672 - USA/SERBIA-MONTENEGRO
22 maggio 2003


L'AMICIZIA, IL PIU' ANTICO MESTIERE DEL MONDO
di Dejan Anastasijevic - ("Vreme" [Belgrado], 22 maggio 2003)

La Serbia diventa il beniamino degli USA nei Balcani, grazie alla 
collaboratività di cui ha dato prova fornendo documenti segreti 
sull'Iraq

[Per maggiori dettagli sullo scandalo Jugoimport/Iraq rimandiamo 
all'articolo Zivkovic, la Jugoimport e i traffici d'armi con l'Iraq , 
in "N.E. Balcani" n. 645 del 22 marzo 2003]

Quando una grande azienda nazionale apre un proprio ufficio nella 
capitale di un paese strategicamente importante e annuncia inoltre 
accordi del valore di centinaia di milioni di dollari, viene naturale 
dire che è il caso di festeggiare. Alcuni affari, tuttavia, si fanno 
meglio nel silenzio, soprattutto quando si tratta di armamenti e 
della consegna di dati riservati a un paese fino a poco tempo fa 
nemico. L'azienda nazionale è la Jugoimport SDPR, la capitale estera 
è Baghdad e gli ex nemici sono, naturalmente, gli Stati Uniti 
d'America, con i quali non siamo mai stati in rapporti così buoni 
come ora.

Come "Vreme" è venuto a sapere da fonti diplomatiche serbe e 
occidentali, la Serbia-Montenegro nell'imminenza della guerra in Iraq 
ha consegnato agli americani moltissimi dati su strutture irachene di 
importanza strategica, come basi militari e marittime, aeroporti, 
bunker sotterranei. Come ricompensa, alle aziende serbe verrà 
accordato un trattamento privilegiato nella gara per partecipare alla 
modernizzazione e alla costruzione di opere infrastrutturali in Iraq, 
sotto il beneplacito della azienda americana Bechtel. L'ufficio della 
Jugoimport, che si occuperà di coordinare e rappresentare le aziende 
del nostro paese, è stato aperto all'inizio di questo mese, dopo che 
da più di sei mesi era rimasto chiuso in seguito allo scandalo per la 
vendita illegale di armi all'Iraq.

UNO SCANDALO PUBBLICO

Ricordiamo: nel novembre dell'anno scorso è scoppiato uno scandalo 
quando si è scoperto che alcune aziende della Serbia e della Bosnia 
avevano venduto a Saddam Hussein armamenti, esplosivi e propellenti 
per missili. Nell'affare erano coinvolte svariate società private 
sotto la protezione di personaggi potenti dell'apparato statale e 
tutto si è svolto attraverso la Jugoimport, l'ex Direzione federale 
per il commercio di prodotti per impieghi speciali, ovvero la 
maggiore agenzia statale per l'import-export di apparecchiature 
militari e armi. In tale occasione è emerso che le forniture 
rientravano nell'ambito di un protocollo segreto che Slobodan 
Milosevic e Saddam Hussein avevano firmato nel 1999. Lo scandalo è 
stato doppiamente spiacevole: tali affari non solo costituivano una 
violazione di numerose risoluzione del Consiglio di Sicurezza 
dell'ONU, ma rischiavano di rovinare le già abbastanza tese relazioni 
con gli USA.

Era stata promessa un'indagine decisa, ma nessuno è stato chiamato a 
rispondere dello scandolo. Esponenti chiave del governo, ivi compreso 
l'attuale premier serbo Zivkovic, facevano parte del Consiglio di 
Amministrazione della Jugoimport, ma hanno giurato di non essere 
stati assolutamente a conoscenza di quanto accadeva. L'indagine della 
speciale commissione statale e del Ministero degli Interni della 
Serbia non hanno portato ad alcuna incriminazione, né a nessuno sono 
stati sequestrati i soldi frutti di tali esportazioni illegali. Ci si 
è limitati a chiudere l'ufficio della Jugoimport a Baghdad e il 
direttore dell'azienda, Jovan Cekovic è stato mandato in una a lungo 
attesa pensione. Era scontato che avrebbe accettato, tanto più che 
l'amministrazione americana ha tenuto una posizione molto moderata 
lungo l'intero scandalo. Dopo avere inizialmente condannato 
l'esportazione illegale e avere richiesto che venissero identificati 
i responsabili, il Dipartimento di Stato all'improvviso ha taciuto e 
si è limitato a rilasciare dichiarazioni secondo cui il governo di 
Belgrado "ha intrapreso passi in una direzione positiva al fine di 
garantire che tali fatti non si ripetano".

AFFARI SEGRETI

Dietro le quinte invece accadevano molte cose. Il Ministero degli 
Esteri ha avuto l'occasione di risolvere un problema che si 
trascinava da lungo tempo. Il ministero già da tempo cercava senza 
successo di convincere la Jugoimport e altre imprese che in 
precedenza avevano lavorato con l'Iraq a consegnargli documenti che 
potevano essere importanti per gli americani e il team dell'ONU nella 
ricerca di armi proibite. Ma riceveva sempre la risposta che tali 
documenti e dati erano stati distrutti oppure erano coperti da 
segreto militare o d'ufficio. Lo scandalo scoppiato l'autunno scorso 
e il ricambio al vertice della Jugoimport hanno spezzato tale 
resistenza. Quando le aziende serbe hanno capito che avrebbero potuto 
trarre profitto dalla consegna della documentazione, hanno cominciato 
subito a collaborare. "All'improvviso è venuto fuori che nulla era 
stato distrutto", racconta a "Vreme" un alto funzionario del 
Ministero degli Esteri. La stessa fonte racconta che il primo 
"pacchetto regalo" era composto da un libro di 120 pagine contenente 
dettagli sugli affari di Saddam dal 1999 al 2002. "Non era poi nulla 
di così sconvolgente", afferma tale diplomatico, spiegando che 
Milosevic e Saddam avevano concordato una collaborazione militare per 
un valore di più di 100 milioni di dollari, ma che solo una piccola 
quota di tale accordo era stata realizzata. La parte americana era 
rimasta impressionata dalla precisione e dalla ricchezza di dettagli 
del rapporto. "Lo abbiamo interpretato come una prova della sincerità 
di Belgrado", spiega un diplomatico occidentale che ha potuto vedere 
il libro. "La Serbia degli anni novanta era uno dei negozi preferiti 
di Saddam. Inoltre, dalla lista dei desiderata contenuta in questo 
documento si potevano trarre moltissime conclusione sul suo 
potenziale di difesa".

Ma c'era un'altra posta in gioco, molto più preziosa. Nel corso degli 
anni '80 le aziende edili e quelle militari della Jugoslavia si erano 
gettate sull'Iraq, sotto l'ala protettrice della Jugoimport, e il 
volume complessivo degli affari realizzati aveva raggiunto a un dato 
momento ben 1,7 miliardi di dollari. Un ex ambasciatore jugoslavo 
nella regione ha detto a "Vreme" che quei tempi sono stati l'epoca 
d'oro della collaborazione tra Baghdad e Belgrado. "Saddam acquistava 
a piene mani, intere basi militari, rifugi, aeroporti, impianti di 
desalinizzazione, centrali elettriche e dighe", spiega 
l'ambasciatore. "Tra le altre cose, le nostre aziende hanno costruito 
il porto di Um Qasr e la sede del partito Baath a Baghdad".

IL PREZZO DI VENDITA

I piani descrittivi di queste strutture, contenenti dettagli come lo 
spessore dei muri e la specifica del cemento armato, risultavano 
particolarmente preziosi nella fase finale dei preparativi alla 
guerra. "Ci sono stati utilissimi, sia prima che durante la guerra in 
Iraq", racconta un diplomatico occidentale. Il risultato è che gli 
americani sono diventati debitori della Serbia-Montenegro per tali 
servizi resi. La ricompensa consisterà in lavori per la 
modernizzazione e la ricostruzione di strutture distrutte nell'Iraq 
occupato. Nel complesso, per tale impresa sono stati stanziati circa 
1,8 miliardi di dollari, ma il maggiore singolo appaltatore è 
l'azienda americana Bechtel, con 680 milioni di dollari. Attualmente 
è in corso una gara indetta dalla Bechtel per scegliere i 
subappaltatori. Anche se a livello teorico la gara dovrebbe essere 
decisa sulla base delle migliori offerte, la politica sarà 
evidentemente il fattore decisivo. Alle aziende francesi e tedesche, 
i cui governi hanno ostacolato la macchina da guerra americana, è 
stato fatto capire che non vale nemmeno la pena candidarsi. Infatti, 
come ha detto il segretario di stato americano Colin Powell, è venuto 
il momento che tali stati "subiscano le conseguenze" della politica 
dei propri governi. I principi del libero mercato evidentemente non 
hanno alcuna importanza.

Alle aziende serbe, invece, gli americani hanno consigliato di 
partecipare a ogni costo. A tale fine è già stato firmato un 
consorzio sotto l'egida della Camera Economica e l'occhio vigile di 
Stevan Nikcevic, ex agente dei servizi segreti [di Milosevic] e nuovo 
direttore della Jugoimport. Fino a oggi del consorzio sono entrate a 
fare parte cinque società serbe, ma si prevede che il numero si 
moltiplicherà rapidamente. Nessuno finora può o vuole affermare quale 
fetta della torta offerta dalla Bechtel spetterà a Belgrado, ma si 
parla di decine, forse anche centinaia di milioni di dollari. 
Inoltre, il governo americano ha premiato la cooperatività della 
Serbia anche in forma di aiuti militari diretti, consistenti 
soprattutto in dispositivi di comunicazione e apparecchiature di 
controllo. Proprio in questo senso va il recente decreto del 
presidente George Bush sull'annullamento del divieto di esportare 
tecnologia militare americana in Serbia-Montenegro.

Ma non è finita qui: la compiacenza nei confronti degli americani ha 
portato, insieme ad altri fattori, come per esempio il senso di 
solidarietà dopo l'uccisione del premier Djindjic e il rafforzamento 
della collaborazione con l'Aia - a un disgelo mai visto prima nei 
rapporti tra Belgrado e Washington. "La nostra politica nei confronti 
della Serbia-Montenegro è cambiata", dice un diplomatico americano. 
"Da oggi ci sarà meno bastone e più carota".

MANO NELLA MANO

Così la Serbia-Montenegro si è ritrovata tra i pochi paesi europei 
che hanno aiutato l'invasione americana dell'Iraq, senza avere per 
questo rovinato le proprie relazioni con Francia e Germania. Altri 
nostri vicini sono stati molto più vociferanti nel loro sostegno 
verbale all'America, ma non per questo hanno ottenuto poi molto, a 
parte qualche rimprovero da Parigi e Berlino. Al Ministero degli 
Esteri non nascondono la soddisfazione: "Finalmente abbiamo ottenuto 
una vittoria importante", dicono.

Ed è vero. L'amicizia e i rapporti d'affari tra Belgrado e Saddam 
Hussein sono durati decenni, sopravvivendo a Josip Broz Tito, al 
regime di Slobodan Milosevic e anche ai primi due anni di regime di 
Kostunica e della DOS. Forse non è bello vendere un vecchio amico, ma 
ne abbiamo ottenuto uno nuovo e più utile, e Saddam comunque era 
ormai finito. Se è ancora vivo, il tradimento di Belgrado 
difficilmente rientra tra le sue principali preoccupazioni. Ma anche 
lui non è stato un compagno fedele: quei 1,2 miliardi di dollari di 
cui ci è restato debitore non ha mai avuto l'intenzione di 
rimborsarli e con ogni probabilità tale debito verrà cancellato. Come 
direbbe il cantante Rambo Amadeus: "Amico, amico..."

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