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Sullo "jugoslavismo"
- Subject: Sullo "jugoslavismo"
- From: andrea <andreamartocchia at libero.it>
- Date: Sat, 10 May 2003 18:08:23 +0200
- Sender: martok at isaac.u-strasbg.fr
-------- Original Message -------- Subject: [JUGOINFO] Neil Clark recensisce "Yugoslavism" di Dejan Djokic Date: Fri, 09 May 2003 18:18:21 -0000 From: "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia <jugocoord at tiscali.it>" <jugocoord at tiscali.it> To: crj-mailinglist at yahoogroups.com, jugoinfo at domeus.it, aa-info at yahoogroups.com [This text in english: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2494 ] Quella che segue e' la traduzione di un articolo a firma Neil Clark apparso sul "New Statesman" del 28 aprile di quest'anno, a proposito del libro: "Yugoslavism: histories of a failed idea (1918-1992)" di Dejan Djokic (editor), Hurst & co., 369 pagine, ISBN 1850656630. Il 4 febbraio 2003, in modo quasi inavvertito, mentre il resto dell'attenzione del mondo era puntata sulla questione delle ispezioni in Iraq, un paese è scomparso dalla carta del mondo. La dissoluzione finale della Jugoslavia e la sua metamorfosi nella repubblica di Serbia e Montenegro è passata quasi senza commenti sulla stampa britannica, e quasi nessuno ne ha notato il profondo significato. E tuttavia si è trattato di un evento che avrebbe meritato il compianto di democratici, socialisti e progressisti di tutto il mondo. "Jugoslavismo. Storie di una idea fallita" è una raccolta di 21 articoli messi assieme da Dejan Djokic, che vuole esplorare la storia dell'idea jugoslava - o "Jugoslavismo" - fra la creazione del primo Stato nel 1918 e lo scioglimento della seconda Federazione jugoslava. Se il libro contiene diversi punti di vista e prospettive, alcuni temi ricorrenti possono comunque essere individuati. Il primo e più importante è la sfida all'idea - che si è perpetuata lungo la storia della nazione ed è diventata tanto di moda in certi ambienti occidentali degli anni 90 - che la Jugoslavia sia stata in qualche modo uno stato artificiale. Come Dennison Rusinow afferma nell'articolo di apertura, il nucleo dell'idea jugoslava, formulato dapprima attorno al 1830 specialmente dal movimento Illirico croato, era che gli slavi del sud, avendo la stessa origine etnica e parlando varietà della stessa lingua, erano nei fatti potenzialmente una nazione unica e pertanto dotata del diritto naturale all'indipendenza ed alla libertà in uno Stato proprio. In sintesi, il paese degli slavi del sud era assai meno artificiale degli Stati che ne hanno preso il posto dopo il 1990, così entusiasticamente salutati da antijugoslavi come Margaret Thatcher. Al tempo della creazione della Jugoslavia quale regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni nel 1918, si erano già manifestati due punti di vista fondamentali per la costruzione della nazione. Lo "jugoslavismo integrale" favorito dal re Alessandro, messo in pratica dopo che egli stesso assunse poteri dittatoriali nel 1929, cercava di costruire una singola nazione ed un singolo senso di appartenenza nazionale, un paese dove non ci sarebbero più stati Serbi Croati Sloveni ma solo Jugoslavi. La pallottola di un assassino macedone pagato da fascisti croati mise fine nel 1934 a questo "integrazionalismo", e alla vita di re Alessandro. Il secondo punto di vista fu lo "jugoslavismo", che, secondo le parole di Rusinow, "riconosceva e approvava la persistenza di separate entità nazionali e cercava gli espedienti costituzionali per uno Stato multinazionale di popoli che condividevano interessi ed aspirazioni". Questa fu la definizione anticentralista dello jugoslavismo che finì alla lunga per prevalere nell'ultimo mezzo secolo. Comunque, continuarono gli sforzi per costruire una comune consapevolezza nazionale. Nel suo capitolo sulla cultura jugoslava tra le due guerre, Andrew Wachtel descrive come lo scrittore Ivo Andric e lo scultore Ivan Mestrovic evitarono sia lo jugoslavismo sovranazionale sia il nazionalismo separatista a favore di una cultura "sintetica" jugoslava in grado di "riunire le esistenti culture tribali in una nuova e dinamica cultura adatta al nuovo Stato". Negli anni '60 questi tentativi di formare una comune identità jugoslava parevano aver avuto successo. I matrimoni misti indicavano che un numero sempre maggiore di cittadini si facevano registrare nei censimenti come jugoslavi. La guida di Josip Broz Tito aveva dato al paese un alto profilo internazionale. Le squadre jugoslave di calcio e pallacanestro conseguivano notevoli successi internazionali ed erano festeggiate da Spalato a Sarajevo. E tuttavia, come afferma Dejan Jovic parlando del comunismo jugoslavo, proprio quando la questione nazionale sembrava essere stata del tutto superata presso il grande pubblico, la classe dirigente comunista decise di riaprire la questione. Jovic correttamente considera la vittoria dell'anti-statista Kardelj e l'abbandono del concetto di Tito di "fratellanza e unità", alla fine degli anni '60, quale inizio del processo di disintegrazione della Jugoslavia. Molti credono che l'inizio della fine sia stata la morte di Tito nel 1980, ma in realtà la de-titizzazione era cominciata nel 1974, quando la Costituzione di Kardelj aveva sottratto alla competenza federale tute le questioni meno gli esteri, la sicurezza e la difesa, ed aveva deciso che il potere della Federazione derivava dalle Repubbliche, definite "Stati", e non viceversa. Da allora, qualsiasi espressione pubblica di jugoslavismo divenne un attentato a questa nuova concezione, e quindi quasi un'attività anti-socialista. Allorquando il debole pro-jugoslavo Slobodan Milosevic venne in primo piano alla fine degli anni'80 a richiedere la modifica delle riforme di Kardelj, il danno era già stato fatto. La Costituzione del '74 assicurò che Kucan, Tudjman e Izetbegovic fossero capaci, ad un fischio dell'Occidente, di dichiarare l'indipendenza dalla Federazione e gettare l'intera regione in una sanguinosa guerra civile. Nel capitolo conclusivo, un'"orazione funebre" personale per la Jugoslavia, Aleksa Djilas afferma che se l'Occidente potesse tornare indietro all'inizio degli anni Novanta, le cose andrebbero diversamente. Io non ne sono certo. La distruzione di una nazione militarmente forte e non allineata, sostituita da una serie di protettorati deboli della NATO e del FMI, conviene perfettamente a chi governa il nuovo mondo. La verità, come lo stesso Djilas riconosce, e' che fin quando e' esistita l'Unione Sovietica, la Jugoslavia aveva una funzione rispetto all'Occidente, ma una volta abbattuto il muro di Berlino, essa era solo d'impaccio. Quello che è chiaro è che è il popolo jugoslavo, che in gran parte non desiderava il crollo del proprio Paese, che ha perso alla grande. Mentre aumentano i problemi economici, la novità dell'indipendenza statale appare meno interessante alla Slovenia, alla Croazia, alla Macedonia, mentre Serbia e Montenegro sono in condizioni di emergenza. Il Kosovo è il primo Stato europeo a gestione mafiosa, mentre i poveri Bosniaci subiscono l'estrema umiliazione di essere governati da Lord Ashdown. Attorno al 1830, la nozione di uno Stato unitario degli Slavi del Sud, proposto dagli Illirici, era una buona idea. Circa duecento anni dopo, lo è ancora. La Jugoslavia, secondo Djilas, "rimane la più pratica e sensibile, la più anti-distruttiva risposta alla questione nazionale degli Slavi del Sud". Essa è, come affermato da Slobodan Jovanovic all'epoca dell'attacco delle potenze dell'Asse nel '41, il modo migliore in cui il popolo balcanico può garantirsi l'indipendenza e proteggersi dal dominio straniero. [trad. di T. Bellone, che ringraziamo. Da una segnalazione di K. Kilibarda] -------------------------------------------------------- Il documentario di M. Collon e V.Stojiljkovic finalmente in versione italiana. Per vedere quello che i media non possono mostrare. Per capire la "democrazia" della NATO. *** I DANNATI DEL KOSOVO *** Le copie del video si possono richiedere al 338-1755563 o scrivendo a: posta at resistenze.org (SOS Yugoslavia Torino) -------------------------------------------------------- FOR FAIR USE ONLY --> La lista JUGOINFO e' curata da componenti del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ). 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