(Fwd) N.E. Balcani #647 - Serbia-Montenegro



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N.E. BALCANI #647 - SERBIA-MONTENEGRO
27 marzo 2003


PERCHE' CI HANNO PORTATO VIA LA LIBERTA'?
di Slobodan Antonic - ("Nova Srpska Politicka Misao" [Belgrado], 
http://www.nspm.org.yu)

Lo stato di emergenza avrà serie conseguenze per la democrazia in 
Serbia e rafforzerà l'idea secondo cui nel paese nulla può essere 
risolto se non con il pugno di ferro e la violenza

[Pubblichiamo oggi il primo di due testi tratti dal sito della 
rivista "Nova Srpska Politicka Misao", entrambi fortemente critici 
contro l'introduzione dello stato di emergenza, facendolo seguire da 
una breve nota]

Le autorità hanno reagito all'uccisione del premier Djindjic 
proclamando lo stato di emergenza. La polizia ha ottenuto il diritto 
di arrestare e di internare la gente per un mese senza una normale 
sentenza di tribunale, privando gli arrestati del diritto di avere un 
avvocato. La polizia ha la facoltà di entrare in un appartamento, di 
intercettare le telefonate, di seguire, tenere sotto osservazione, 
perquisire, il tutto senza mandato... Il ministro degli interni da 
oggi può internare chiunque gli sembri sospetto. Sono stati vietati 
gli scioperi, gli assembramenti politici, viene limitata la libertà 
di movimento... E' stata introdotta la censura ed è vietato discutere 
pubblicamente dei motivi della proclamazione dello stato di 
emergenza, o della sua cancellazione.

Un altro fatto grave collegato a tale stato di emergenza è che non 
viene limitato da nulla. Nella decisione presa da Natasa Micic 
[presidente del parlamento, facente funzione di presidente della 
repubblica - N.d.T.] si scrive che lo stato di emergenza durerà fino 
a quando saranno stati trovati tutti i colpevoli non solo 
dell'omicidio di Djindjic, ma anche di altri crimini. Si tratta di un 
periodo di tempo che non ha assolutamente limitazioni precise. Nei 
fatti, non è un periodo di tempo limitato. E' difficile prevedere 
quando verranno catturati i colpevoli di un crimine, o quando tutti i 
colpevoli verranno catturati, ed è ancora più difficile sapere quali 
altri crimini le autorità pensano debbano essere risolti prima del 
"crearsi delle condizioni" per cessare lo stato di emergenza. In 
breve, alla società è stata sottratta la libertà, senza impegni 
chiari su quando le verrà restituita. E se mai le verrà restituita.

Non vi sono dubbi sul fatto che l'assassinio del premier Djindjic sia 
un crimine rivoltante. Non vi sono nemmeno dubbi sul fatto che 
l'assassinio del premier sia un vero e proprio terremoto per lo 
stato. Ma davvero tutto questo giustifica l'ampia e completa 
sottrazione delle libertà a un'intera società? Penso che la risposta 
a questa domanda debba essere chiaramente negativa. Una sospensione 
così ampia e temporalmente non limitata di fondamentali diritti umani 
e civili non può essere giustificata con un attentato, per quanto 
possa essere importante la persona che è stata uccisa. Non si può, 
per il solo fatto che la polizia è corrotta e inefficace e che non è 
capace di trovare gli assassini, mettere tutta la società in prigione 
- e la proclamazione dello stato di emergenza è mettere tutta la 
società in prigione.

Non ci si può appellare al principio del "meglio cento innocenti in 
prigione che un colpevole in libertà", solo perché si ha difficoltà a 
scoprire e a catturare alcuni assassini. Proviamo a immaginarci cosa 
sarebbe accaduto se il governo americano avesse reagito in modo 
analogo dopo l'assassinio di Kennedy. Poiché tale omicidio - così 
come altri omicidi - viene ritenuto a ragione dall'opinione pubblica 
come irrisolto, l'America in pratica dovrebbe essere ancora oggi 
ostaggio del proprio governo. Si tratta di qualcosa che difficilmente 
sarebbe accettabile. In breve, nemmeno un unico giorno di 
incarcerazione inutile e ingiusta può e deve essere accettabile.

Già fin da ora si può dire che proclamando uno stato di emergenza 
così ampio e temporalmente illimitato le autorità hanno fatto un 
grosso errore politico. La democrazia fino a oggi non era certo 
fiorita molto in Serbia, ma difficilmente riuscirà a sopravvivere a 
questo colpo senza subirne serie conseguenze. Quando questa storia 
sarà finita, la causa della democrazia in Serbia sarà in perdita. Se 
non verranno trovati gli assassini, rimarrà lo stato di emergenza e 
la prigione generale. E se invece verranno trovati, il pregiudizio 
secondo cui in Serbia nulla può essere risolto in modo normale e 
democratico, bensì solo con un pugno di ferro e con la violenza, ne 
uscirà rafforzato.

L'unico lato positivo di quello che ci sta accadendo sarà che 
probabilmente si potrà vedere più chiaramente l'effettiva portata 
democratica di alcuni importanti attori. Non mi riferisco solo ai 
politici che si prenderanno carico dello stato di emergenza. Penso 
anche ai rappresentanti delle grandi potenze occidentali, che ora 
potranno mostrare in che misura abbiano avuto a cuore la democrazia e 
i diritti umani in Serbia. Senza che loro ne siano a conoscenza e 
senza la loro (tacita) approvazione, difficilmente nella politica 
della Serbia può accadere qualcosa. Quindi ogni prolungamento della 
situazione di ostaggio in cui viene tenuta la nostra società sarà 
subito vincolata al loro assenso. E questo assenso sarà allo stesso 
tempo una testimonianza di come i serbi vengano trattati come un 
popolo non maturo per i diritti umani e il normale ordine democratico.

E non solo: sarà interessante vedere come si comporterà il cosiddetto 
terzo settore (l'élite delle ONG) nelle circostanze di generale 
sospensione dei diritti umani. Fino a oggi hanno saputo protestare 
con grande vigore per il minimo incidente con il quale siano stati 
minacciati i diritti di qualche cittadino, di qualche appartenente a 
minoranze etniche. Sarà interessante vedere quale posizione 
prenderanno ora, quando le libertà e i diritti civili vengono 
limitati non solo a una persona, a una comunità, bensì a tutta la 
società.

Questo stato di emergenza porterà alla luce molto di tutto questo. Ma 
la cosa più importante che vedremo sarà il carattere effettivo delle 
persone al potere. Se nel giro di un paio di giorni lo stato di 
emergenza verrà tolto, vorrà dire che abbiamo a che fare con persone 
responsabili, con politici decorosi che, dopo le prime mosse fatte in 
stato di shock, hanno compreso quanto è pericoloso prolungare la 
sospensione dei diritti elementari. Se invece tra alcuni giorni lo 
stato di emergenza non sarà stato ancora revocato, sarà difficile 
evitare di concludere che si tratta di una mera cricca di interesse 
che, in un regolamento di conti con un'altra cricca d'interesse, 
concorrente, ha deciso di utilizzare la sua stessa arma: il terrore e 
la violenza.

[NOTA: Il sociologo Antonic è stato in passato uno dei più radicali 
critici del modo in cui Djindjic aveva concentrato nelle sue mani la 
maggior parte del potere in Serbia. Nell'avanzare le sue giustificate 
critiche, Antonic ha però spesso appoggiato la politica di Kostunica 
e del DSS, una posizione che non condividiamo assolutamente. Inoltre, 
le critiche da egli espresse in più articoli nei confronti 
"dell'élite serba delle ONG", che in termini generali sono motivate, 
e lo sono ancora più oggi con l'appoggio dato da tali élite allo 
stato di emergenza, sono state il più delle volte ambigue nella 
misura in cui hanno sempre sottinteso un minimizzare i crimini 
commessi dalla Serbia negli ultimi quindici anni. Tuttavia l'articolo 
che pubblichiamo ci sembra interessante perché, da una parte, è una 
delle rarissime posizioni contrarie allo stato di emergenza prese da 
chi in passato si è opposto al regime di Milosevic e, dall'altra, 
coglie nel segno laddove denuncia la pericolosità dello stato di 
emergenza per il futuro della Serbia, individuando nei suoi ideatori 
una "cricca di interesse" - A. Ferrario]

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