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ora invece va di moda la "Piccola Serbia"
- Subject: ora invece va di moda la "Piccola Serbia"
- From: "Davide Bertok" <davide.bertok at adriacom.it>
- Date: Tue, 30 Apr 2002 20:41:18 +0200
- Priority: normal
L'articolo è del Piccolo di Trieste,con un ovvio condizionamento di parte. La notizia rimane comunque clamorosa. Davide Un referendum per sancire l’indipendenza dal Montenegro Cambia il «sogno» di Belgrado: tutti vogliono la Piccola Serbia TRIESTE È l’estremo paradosso balcanico: dopo aver insanguinato la regione per nove lunghissimi anni per difendere quella che Belgrado definiva «l’integrità istituzionale» della Jugoslavia contro le spinte centrifughe delle repubbliche secessioniste, ora è la Serbia che vuole diventare indipendente. Vuole cioè spezzare quell’unico sottile «trattino» costituzionale che ancora la lega al Montenegro dopo che il 14 marzo scorso proprio Belgrado e Podgorica avevano raggiunto l’accordo di suonare le campane a morto per la storica dizione «Jugoslavia» e sostituirla con un soggetto istituzionale cui è stato dato molto più semplicemente il nome di «Serbia-Montenegro». Soggetto istituzionale che, a fronte di un iter politico estremamente difficile (i venti di fronda soffiano ancora impetuosi), ha ottenuto il placet dai due Parlamenti repubblicani ma vede ora l’avvio della raccolta delle firme per indire un referendum che sancisca proprio l’indipendenza della Serbia. Raccolta che è scattata ieri in 140 città serbe, Belgrado compresa, e che vede il suo artefice nel ministro della Giustizia serbo, Vladan Batic, il quale ha battezzato l’iniziativa con lo slogan: «Si deve chiedere alla gente». Batic è il leader del Partito democratico cristiano, formazione che fa parte della coalizione Dos al potere con il premier Zoran Djindjic. Eppure la sua idea è in chiara controtendenza con quelli che sono gli indirizzi di programma dell’esecutivo. Dieci anni dopo, dunque, cambiano gli slogan. Sepolto quello roboante ma insanguinato dalle guerre contro Croazia e Bosnia e sintetizzato nell’idea della «Grande Serbia», ecco nascere dalle ceneri del fallimento del regime di Milosevic la proposta di una «Piccola Serbia», limitata ai suoi vecchi confini e senza legami con il Montenegro, in grado di sfruttare al meglio, così predica il ministro Batic, il suo potenziale economico e la sua posizione politicamente e geograficamente centrale nei Balcani. «I serbi sono stanchi di essere i soli a pagare per due governi (repubblicano e federale ndr.) - spiega Batic - e la cosa peggiore è che paghiamo noi l’opposizione montenegrina». Ragionamento dannatamente simile a quello che nel 1991 si faceva in Slovenia, la prima ad andarsene dal fallimento di quel che restava della Jugoslavia di Tito, quasi che la storia avesse deciso di prendersi gioco di Belgrado. Anche perché tra la gente comune sta avendo il sopravvento il luogo comune che vuole i montenegrini pigri e inefficienti e poco importa se con l’indipendenza si perderà lo sbocco al mare. «L’importante è che i soldi della Serbia restino ai serbi». Proprio come dieci anni fa a Lubiana si gridava nelle piazze che i soldi della Slovenia dovevano restare agli sloveni. L’iniziativa del referendum ha già raccolto il consenso di altri tre gruppi partitici del Dos. Si tratta di Nuova Serbia, Lega socialdemocratica della Vojvodina e Coalizione di Sumadija, nonché di parte del cosiddetto G-17, il gruppo di esperti apartitici che affianca il Dos. Finora il mantenimento di un unico Stato serbo-montenegrino era osteggiato solo dal governo di Podgorica, che per lunghi anni aveva fatto dell’indipendentismo la sua bandiera, e che ora sta attraversando una pesante crisi d’identità per aver accettato, su pressione come detto dell’Ue, l’accordo del 14 marzo con Belgrado. Il presidente Milo Djukanovic è partito proprio ieri per Washington per discutere della sua difficile situazione con i vertici della Casa Bianca. La posizione degli Usa è in linea con quella di Bruxelles, ma, secondo gli osservatori politici montenegrini, mantiene comunque margini di ambiguità tutti ancora da esplorare. Stando ai sondaggi però la febbre di indipendenza sta scemando in Montenegro, mentre in Serbia accade l’esatto contrario e il 56 per cento della popolazione è d’accordo sul referendum secessionista. E nel primo giorno di raccolta delle firme i banchi sono stati abbastanza affollati. Batic è ottimista e si dice convinto di ottenere più di 300 mila firme, il triplo di quelle previste per avviare l’iter referendario. A questo punto Kostunica, l’uomo che ha spodestato Milosevic, rischia, se la federazione dovesse andare in frantumi, di finire anzitempo disoccupato. Per «Slobo», invece, un buon tema su cui meditare. Nelle sue lunghe ore di galeotto tra i fantasmi di una piccola grande Serbia. Mauro Manzin
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