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Notizie Est #284 - Kosovo
- Subject: Notizie Est #284 - Kosovo
- From: "Est" <est at ecn.org>
- Date: Sat, 27 Nov 1999 19:33:20 +0100
- Posted-date: Sat, 27 Nov 1999 19:44:48 +0100
- Priority: normal
"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani ============================= NOTIZIE EST #284 - KOSOVO 27 novembre 1999 ============================= DOSSIER: LE SPECULAZIONI SULLE VITTIME IN KOSOVO / 3 a cura di Andrea Ferrario IL CONTESTO DELLA CAMPAGNA DI DISINFORMAZIONE SULLE VITTIME IN KOSOVO E' sempre difficile interpretare in tempo reale le "grandi manovre" politiche che si svolgono intorno alla situazione assolutamente caotica del dopoguerra in Kosovo. Cercheremo qui di riassumere gli eventi salienti che si sono prodotti in coincidenza con i principali momenti della campagna di disinformazione e di abbozzarne qualche interpretazione. L'articolo di "El Pais" riportante le dichiarazioni di Pujol e Palafox e' stato pubblicato il 23 settembre, negli stessi giorni in cui si chiudeva il processo di disarmo e scioglimento dell'UCK e del suo parziale confluire in una forza di protezione civile controllata dalla NATO e pressoche' disarmata, ma allo stesso tempo inglobante la catenda di comando della forza albanese. Si e' trattato della conclusione, senza particolari intralci per l'alleanza occidentale, di uno dei momenti politici piu' delicati del dopoguerra. La chiusura di tale capitolo ha consentito di concentrarsi maggiormente su un altro aspetto cruciale, rimasto pericolosamente aperto e indefinito gia' da tempo. In quei medesimi giorni sono infatti emerse con chiarezza, in seno ai paesi NATO, divergenze riguardo ai futuri destini del Kosovo, evidenziatesi in particolare con le dichiarazioni di anonimi funzionari USA, riportate dal "Washington Post" il 24 settembre (il giorno dopo l'uscita dell'articolo di "El Pais"), secondo i quali l'indipendenza del Kosovo sarebbe indesiderata, ma inevitabile a medio termine (si veda "Notizie Est" #264, 25 settembre 1999). A tali dichiarazioni ha fatto seguito immediatamente una grande quantita' di altre dichiarazioni da parte di esponenti USA ed europei che si sono pronunciati chiaramente contro una tale ipotesi (si veda "Notizie Est" #269, 18 ottobre 1999). E' chiaro che i circoli che vedono un Kosovo indipendente come inevitabile rimangono ancora minoritari, anche in seno alla sola amministrazione USA, ma in realta' le loro argomentazioni sono particolarmente "pericolose" perche' le voci contrarie a tale ipotesi, seppure in maggioranza, non sembrano sapere offrire alternative concrete e infatti tutti coloro, americani o europei, che hanno reagito opponendosi ogni ipotesi di indipendenza del Kosovo, si sono ben guardati dallo specificare in concreto come arrivare ad altre soluzioni. Tra fine settembre e i primi di ottobre ci sono stati due altri sviluppi di grande importanza. Il primo e' stato il drastico calo di partecipazione media alle manifestazioni organizzate dall'opposizione serba a Belgrado e in altre citta' (piu' nutrite la' dove invece non erano egemonizzate dai principali partiti di opposizione), rendendo cosi' sempre piu' evidente l'impossibilita', a breve termine, di un cambio di regime in Serbia su pressioni di una piazza "controllata" da forze politiche fidate. L'altro e' stato il passaggio da un impegno generico a tenere in Kosovo elezioni in primavera, a quello di tenere elezioni unicamente locali al fine esplicito di evitare ogni dibattito riguardo al futuro status del Kosovo. Successivamente, nel corso di ottobre si e' passati dal termine previsto della primavera a un vago "non prima dell'estate", diventato poi a meta' novembre un "nell'autunno 2000" ("Danas", 2 novembre 1999). Contro la fissazione immediata di qualsiasi termine per le elezioni si sono pronunciati in ottobre i vertici dell'OSCE, che e' poi l'organizzazione alla quale l'ONU ha conferito in Kosovo le competenze per la "democrazia" e per l'organizzazione delle elezioni. Secondo l'OSCE, l'amministrazione ONU deve prima procedere a un censimento della popolazione (compito necessariamente molto lungo da eseguire, nella situazione attuale) e solo dopo di cio' fissare un termine per le elezioni. Abbiamo visto, nelle parti precedenti, che a fine settembre le dichiarazioni rese da Pujol e Palafox a "El Pais" sono state riprese cosi' come erano da numerose fonti, senza tuttavia dare luogo a ulteriori sviluppi. Una vera e propria campagna e' cominciata invece solo a partire dal 17 ottobre, con l'articolo della "Stratfor", molto piu' lungo di quello di "El Pais", ma che non aggiungeva nulla, a livello di fatti, rispetto al primo. Alla luce di cio' e' difficile spiegarsi perche' proprio nella seconda meta' di ottobre, e non subito dopo il pezzo di "El Pais", questa campagna abbia trovato tra le grandi testate di tutto il mondo una tale eco (che tra l'altro dura ancora oggi). Se si ripercorrono gli eventi di quei giorni, tuttavia, se ne possono intuire in qualche modo i motivi. Lo stesso giorno in cui veniva pubblicato il pezzo della "Stratfor" (17 ottobre), il "Washington Post" pubblicava un lungo articolo di Peter Finn sulla perdita di consensi da parte di Thaci in Kosovo, sostenendo un ritorno "alla grande" di Rugova. L'articolo si basa in massima parte su fonti anonime e su dichiarazioni di esponenti del partito di Rugova e contiene affermazioni che francamente e' difficile non definire grottesche ("Un'indagine di opinione scientifica commissionata da un'organizzazione occidentale e non pubblicata ha trovato un sostegno di 4-1 per Rugova rispetto a Thaci. Una recente indagine non scientifica condotta su 2.500 elettori da un'organizzazione informativa indipendente [a giudicare dai dati, si dovrebbe trattare dell'"indagine" condotta dal KIC, controllato dal partito di Rugova, appena prima dell'operazione di fuga di Rugova in Italia - a.f.] in una competizione a due tra Thaci e Rugova il secondo vincerebbe con il 92% dei voti" [sic!]. E' il solito modello: dati anonimi, privi di riscontro e quindi non smentibili da nessuno. Attraverso il "Washington Post" passano tuttavia spesso le posizioni o gli esorcismi dei vertici USA. In questo caso e' chiaro che il timore non e' certo un difficilmente ipotizzabile massiccio ritorno di popolarita' per Rugova (come invece sostiene Joseph Halevi nel "Manifesto" del 18 novembre scorso), che provocherebbe gli entusiasmi di tutti gli occidentali, vista la sua provata affidabilita', quanto piuttosto il fatto che ANCHE Thaci e i suoi stiano perdendo credibilita', una cosa piu' che probabile viste le sciagurate politiche che stanno conducendo. L'articolo e' cioe' un sintomo dei timori delle cancellerie occidentali per la perdita di controllo sugli sviluppi in Kosovo, timori strettamente legati ai futuri destini del Kosovo e alle richieste univoche di indipendenza degli albanesi del Kosovo, "radicali" o "moderati" che siano. A meta' ottobre si sapeva gia' che era imminente la comunicazione da parte del Tribunale dell'Aja di dati riguardanti le vittime ritrovate, visto che gia' dall'estate era stato affermato che con la fine di ottobre sarebbe finita la prima fase delle ricerche, prima della loro prevista interruzione invernale. Quando e' uscito il pezzo della "Stratfor", ci si trovava inoltre alla vigilia di molti appuntamenti cruciali per il futuro assetto dei Balcani, appuntamenti che erano tutti gia' in programma almeno fin da settembre e che rientrano anch'essi nel quadro generale dei timori per i futuri assetti balcanici, che dovranno necessariamente avere al loro centro Kosovo e Serbia. Per i giorni successivi al via della campagna (piu' esattamente, per il 25 ottobre) era previsto l'avvio dei cruciali incontri tra partiti montenegrini e partiti serbi, i cui esiti sono di importanza cruciale per tali assetti. Gli incontri si sono svolti in un'atmosfera molto "diplomatica", senza scontri o scambi di accuse, terminando con l'impegno a proseguire il dialogo. Negli stessi giorni, il vice-primo ministro serbo Nikolic dichiarava che Belgrado non si opporra' a un eventuale secessione del Montenegro, con un linguaggio moderato ben diverso dai toni roventi dei mesi precedenti. Alcuni giorni dopo il termine dei colloqui serbo- montenegrini, il capo dell'esercito jugoslavo, Ojdanic (fedele di Milosevic e tra l'altro ricercato dal Tribunale dell'Aja, di fronte al quale il Montenegro si era impegnato a consegnare ogni accusato di crimini di guerra), si e' recato in visita in Montenegro e ha avuto un colloquio "su aspetti politici e della sicurezza" con il primo ministro Vujanovic, uomo di Djukanovic. Alcuni giorni prima avevano cominciato a circolare voci sulle imminenti dimissioni da primo ministro federale del montenegrino Bulatovic, uomo di Milosevic e acerrimo nemico di Djukanovic, e sull'offerta del suo posto a Djukanovic. Bulatovic ha dichiarato di essere disponibile a mettere a disposizione la sua carica "se gli interessi del paese lo richiedono" (si vedano in merito i numerosi articoli comparsi su "Monitor", "Vreme" e "Danas" tra fine ottobre e inizio novembre). Immediatamente dopo gli incontri tra partiti serbi e montenegrini, vi e' stata l'introduzione ufficiale del marco tedesco come valuta parallela in Montenegro. La mossa e' stata preceduta da svariati incontri bilaterali, in cui USA, Gran Bretagna e Germania hanno categoricamente ammonito Djukanovic che la "comunita' internazionale" non e' favorevole a un'indipendenza del Kosovo, ma allo stesso tempo hanno mostrato un aperto entusiasmo per l'adozione ufficiale del marco tedesco come valuta parallela, condannata invece dal governo federale. Dalle modalita' e dal contesto dell'introduzione del marco come valuta parallela in Montenegro si puo' intuire (ma e' solo una nostra ipotesi), che tale mossa venga considerata dagli occidentali come un test per le future politiche economiche previste dal Patto di Stabilita' per i Balcani (consigli valutari e "euroizzazione" delle monete locali), condotto a partire dal cuore del problema, la Federazione Jugoslava. Non a caso, la mossa del governo di Podgorica e' stata accolta con particolare fervore dall'opposizione serba e, in particolare, Draskovic ha chiesto l'adozione ufficiale del marco come valuta parallela anche in Serbia (di fatto, il marco e' gia' da anni in Serbia una valuta parallela, ma non ufficiale). I vertici del potere montenegrino, tuttavia, non sono uniti nelle loro politiche - tra i piu' moderati l'introduzione del marco non viene vista come un passo verso l'indipendenza, mentre i piu' radicali la considerano apertamente un passo in tale direzione. In un altro paese vicino al Kosovo, la Macedonia, si sono svolte elezioni presidenziali che hanno una grande importanza per la regione e per i futuri del Kosovo in particolare e sono state attese con ansia dalle grandi potenze. Dopo una "preoccupante" vittoria al primo turno di Tito Petkovski, che aveva basato la sua campagna sui sentimenti patriottici macedoni e antialbanesi, al secondo turno ha vinto il candidato del fidato premier Georgievski, ma, soprattutto, il partito albanese guidato da Arben Xhaferri (DPA), che fa parte della coalizione di governo, ha dimostrato grande disciplina nel mobilitare gli elettori di nazionalita' albanese a dare il loro voto al candidato di un partito macedone fino a ieri radicalmente antialbanese (e, come sembra ormai certo, nell'arrotondare in maniera decisiva il voto a suo favore organizzando ampi brogli). La situazione in Macedonia rimane instabilissima, ma la totale obbedienza e disciplina di cui ha dato prova il maggiore partito della minoranza albanese ha dato un sospiro di sollievo agli strateghi della NATO. Per Xhaferri, si tratta di un'ulteriore conferma della propria "affidabilita'", dopo che durante i bombardamenti aveva evitato di criticare nel governo le politiche inumane verso i profughi dal Kosovo e, soprattutto, aveva operato di concerto con il governo macedone e la NATO per soffocare ogni tentativo di creare cellule dell'UCK nei campi profughi in Macedonia (si vedano le dichiarazioni rilasciate a riguardo dal ministro degli interni macedone Trajanov, in AIM Skopje, 4 novembre 1999). Accanto a questi sviluppi, ve ne sono stati altri successivi di minore rilievo, ma che completano in maniera eloquente un quadro di generale rimescolamento delle carte che trova le sue radici proprio tra settembre e ottobre. Per esempio, del tutto a sorpresa, la settimana scorsa sono stati aperti in Serbia processi contro alcuni riservisti per crimini commessi in Kosovo (sei accusati in tutto, uno in un processo isolato e altri cinque in un processo collettivo in cui comunque il principale capo di accusa e' quello di avere lavorato come spie della NATO). Sono stati liberati senza preavviso anche alcuni prigionieri politici albanesi deportati nelle prigioni serbe. Si tratta di due fatti davvero piccoli, ma che vanno nella direzione di un "rifarsi il trucco". C'e' stato poi il vertice OSCE dei giorni scorsi, per il quale era previsto da settimane un tentativo della Albright di portare all'"unificazione politica" dei principali leader jugoslavi che si oppongono a Milosevic, cioe' Djukanovic, Draskovic, Djindjic e Avramovic, tentativo poi riuscito solo in parte. Prima del vertice, a fine ottobre, si erano fatte sempre piu' insistenti, all'interno dell'UE, le pressioni per una parziale cancellazione delle sanzioni contro la Serbia, per ora rimandata. Ma e' rilevante che tali pressioni abbiano trovato per la prima volta un'apertura da parte del "falco" USA Albright che, ricevendo i leader dell'opposizione serba il 3 novembre, ha dissociato la cancellazione delle sanzioni dalla rimozione di Milosevic, legandola a una piu' vaga "tenuta in Serbia di elezioni libere e democratiche" (esponendosi al sarcasmo dei giornalisti quando, alla domanda scontata su cosa avrebbe fatto se Milosevic avesse vinto le elezioni, ha risposto: "se mia nonna avesse le ruote sarebbe una bicicletta" - Associated Press, 3 novembre 1999). Tutto questo in un momento in cui politici ed economisti continuano a osservare che non e' possibile alcuna stabilita' dei Balcani tenendo fuori la Serbia. Altri due fatti poco chiari si sono verificati sempre tra ottobre e novembre: il misterioso incidente subito il 3 ottobre dall'autovettura di Draskovic, nel quale sono rimasti uccisi quattro suoi collaboratori, mentre il leader del SPO e' rimasto miracolosamente illeso, e l'attentato dalle dinamiche poco chiare compiuto il 31 ottobre contro il leader del Movimento di Resistenza Serba del Kosovo, Momcilo Trajkovic (si veda AIM Pristina, 11 novembre 1999). Riguardo a quest'ultimo attentato, va segnalato che i giornali del regime di Belgrado ("Politika" e "Borba") hanno esplicitamente attaccato il loro ex alleato Trajkovic, accusandolo di essersi inflitto la ferita da solo - un'accusa davvero poco credibile, ma che e' indice delle tensioni esistenti riguardo alla funzione politica di quello che rimane della comunita' serba in Kosovo. La storia degli ultimi anni insegna che spesso i momenti di "svolta interna" negli assetti dellapolitica serba sono stati contrassegnati da aggressioni e atti di violenza. Ai casi poco chiari di Draskovic e Trajkovic va aggiunto l'attentato compiuto il 22 ottobre contro il giornalista serbo-bosniaco Zeljko Kopanja, vicino a Milorad Dodik, scampato per miracolo a una bomba (ha avuto le gambe amputate) dopo essersi "esposto" di recente con la pubblicazione di una serie di materiali sui legami tra Belgrado e i criminali serbi responsabili di stragi in Bosnia. Anche in campo albanese vi sono stati episodi poco chiari, come l'uccisione di uno stretto collaboratore di Rugova e lo strano incidente all'ex comandante dell'UCK Remi, che ai tempi si era opposto alla firma di Rambouillet ed era rimasto su posizioni contrarie a Thaci, in particolare per quanto riguarda la smilitarizzazione dell'UCK (AFP, 26 novembre 1999). L'ultimo evento da segnalare e' quello dell'incidente all'aereo Atr-42 in volo da Roma a Pristina, avvenuto il 12 novembre. Non vi e' alcun elemento concreto che consenta di mettere in dubbio la versione dell'incidente. Le lentezze nel comunicarne l'avvenimento, o le spiegazioni contraddittorie, possono essere semplicemente il frutto del caos totale della doppia amministrazione NATO/ONU o degli eccessi di prudenza di fronte a un caso cosi' delicato in una situazione di protettorato e di immediato dopoguerra. Quello che invece e' sorprendente e' che il 17 novembre, a ben cinque giorni di distanza dall'incidente, l'inviato jugoslavo all'ONU, Jovanovic, si sia sentito in dovere di esprimere, senza esserne sollecitato, le proprie condoglianze per l'incidente, aggiungendo la sibillina frase: "putroppo ["regrettably"], i voli diretti in Kosovo vengono operati in violazione della sovranita' e dell'integrita' della Repubblica Federale di Jugoslavia", aggiungendo che "i voli verso il Kosovo violano 'le norme e le norme e i regolamenti di traffico, la cui implementazione' e' di responsabilita' della Jugoslavia" e "chiedendo che i suoi diritti sovrani vengano rispettati nel suo intero spazio aereo" (Reuters, 17 novembre 1999). Tre giorni dopo l'aeroporto di Pristina e' stato chiuso ai voli civili per motivi tecnici (ai quali viene attribuita per ora l'origine del disastro), con conseguenze disastrose per la consegna degli aiuti in questo cruciale inizio d'inverno. Il governo jugoslavo non ha esitato a utilizzare la tragedia dell'Atr- 42 per mandare uno dei tipici avvertimenti trasversali che emergono nei momenti di riassetto della scena balcanica, pure al prezzo di esporsi a pesanti sospetti. Per completare il quadro generale, vanno segnalate le dichiarazioni fatte di recente da Clinton a Firenze in occasione del suo incontro con D'Alema. Il presidente USA, secondo quanto riferisce "La Stampa" del 21 novembre, ha concordato con D'Alema che e' necessario "affrontare la sfida della stabilita' nei Balcani mettendo alle strette Milosevic, ma evitando l'indipendenza del Kosovo", sottolineando la necessita' di "rafforzare il Patto di Stabilita' ed i progetti di ricostruzione". Clinton ha poi affermato: "sono a favore di un'immediata revisione delle sanzioni se ci saranno libere elezioni in Serbia. [...] Non bisogna lasciare alcuna carta in mano a Milosevic", dicendosi poi "profondamente preoccupato" per il rischio della proliferazione di Stati indipendenti nei Balcani, "a cominciare dal Kosovo". Anche a Sofia, in Bulgaria, il presidente USA ha precisato il 22 novembre che "il Kosovo non puo' configurarsi come stato indipendente" ("Corriere della Sera", 24 novembre 1999). Non esistono elementi per stabilire nessi diretti tra la pubblicazione dei pezzi di "El Pais" e "Stratfor" e tutti questi fatti che trovano origine nelle spinte interne ai Balcani e negli obiettivi che si pongono in merito le grandi potenze. L'enorme fortuna che hanno avuto i due pezzi (e forse la loro stessa origine) e' tuttavia attribuibile a questo clima generale di incertezza, di timori e di conseguenti lotte interne alle leadership occidentali, un clima confermato anche dalle numerose reinterpretazioni divergenti delle strategie militari applicate durante la guerra e dai saltuari scambi di accuse in merito. Cosi' come nel maggio scorso avevamo notato che, al di la' delle dichiarazioni di facciata, l'incriminazione di Milosevic alla vigilia degli accordi era probabilmente frutto delle pressioni di solo alcune lobby occidentali ed era risultata sgradita ad altre importanti lobby (con ogni probabilita', alla Casa Bianca, per fare solo un esempio - si vedano "Washington Post", 28 maggio 1999 e "New York Times", 28 maggio 1999, nonche' "Notizie Est" #235, 28 maggio 1999), in questo momento sembrano essere passate all'attacco altre lobby che si preoccupano soprattutto di restituire un ruolo alla Serbia nei Balcani e di evitare mosse come l'indipendenza del Kosovo che potrebbero avere ripercussioni disastrose sulla "stabilita'" (quella che interessa alla NATO) nell'intera penisola. Le opzioni cui mirano queste lobby sono, a quanto si puo' intuire, di diverso segno e coprono una gamma di soluzione che va da una parziale reintegrazione del Kosovo nella Serbia (che evidentemente qualcuno ha in testa, ma che dal punto di vista pratico sembra difficilmente realizzabile e probabilmente e' poco gradita perfino a governo e opposizione a Belgrado), alla creazione di una Repubblica del Kosovo interna a una Federazione Jugoslava piu' elastica (progetto propugnato, seppure non esplicitamente, da Carl Bildt, inviato speciale dell'ONU per il Kosovo - "Blic", 23 ottobre 1999). Una soluzione che eviti possibilmente l'indipendenza del Kosovo e' comunque urgente, per i paesi NATO. Infatti, la situazione generale dei Balcani ha subito una forte accelerazione verso la "destabilizzazione", prodottasi tra ottobre e i primi di novembre, ma chiaramente nell'aria gia' a fine settembre: al quadro perennemente irrisolto in Bosnia si sono aggiunti l'accentuarsi, con la malattia di Tudjman, dell'incertezza sui futuri sviluppi in Croazia, gia' in piena crisi economica e politica; la ripresa delle rivolte operaie in una Romania sempre piu' in un vicolo cieco economico; la caduta del fidato Majko in Albania e le faide interne al Partito Socialista di Nano e al Partito Democratico di Berisha, con la sconfitta dei rispettivi "moderati"; le gia' menzionate elezioni macedoni, che hanno dimostrato l'assenza di una base sufficiente di consenso popolare per l'attuale governo Georgievski, salvato poi all'ultimo dal partito di Xhaferri; la parallela fragilita' del governo in Bulgaria, evidenziatasi alle ultime amministrative, e l'emergere del fatto che anche in questo finora tranquillo paese covano tensioni nazionali. Una campagna mirata a negare, o a "ridimensionare", i crimini compiuti in Kosovo, costituisce un'arma politica rilevante nei conflitti all'interno della NATO per quelle lobby che intendono ottenere, tra le e'lite, maggiori consensi a qualche nuova forma di distensione con la Serbia o a nuove "architetture" balcaniche delle quali la Serbia deve necessariamente essere il centro geografico. Al limite estremo, negando il "genocidio", mirano al ritiro dell'incriminazione degli indagati dal Tribunale dell'Aja, che costituisce un ostacolo non indifferente. Tale ritiro non interessa tanto per quanto riguarda Milosevic (o al massimo interessa solo nella misura in cui permetterebbe a quest'ultimo di andare in un dorato esilio), con il quale ormai i ponti sembrano definitivamente rotti e per la riabilitazione del quale ci vorrebbe un voltafaccia colossale, quanto piuttosto per "sdoganare" tutto il folto sottobosco di personaggi medio-alti che potrebbero minare le basi del regime passando all'opposizione (quelli che lo hanno gia' fatto prima della guerra sono una schiera, ma i veri detentori del potere politico ed economico sono ancora con Milosevic). Ma un ritiro delle incriminazioni non ci sempra probabile visto che, come abbiamo esposto, ne mancano le basi. La campagna, piu' verosimilmente, e' sostenuta da quei soggetti che vogliono in generale creare il clima piu' adatto per le nuove architetture di cui sopra, approfittando tra le altre cose dei prossimi cinque mesi in cui gli operatori del Tribunale Internazionale non lavoreranno alla ricerca delle fosse comuni e quindi non ci sara' l'impaccio di macabre scoperte a turbare il loro agire. Vista la contraddittorieta' dei loro obiettivi e le difficolta' del dovere fare i conti con una realta' estremamente complessa, i loro piani non dovranno necessariamente avere un pieno successo. __________________________________________________________ "Notizie Est" e' una mailing list di notizie sui Balcani e l'Europa Orientale, pubblicata dal sito web "I Balcani" e archiviata su web all'indirizzo: http://www.ecn.org/est/balcani Se desiderate abbonarvi (gratuitamente) o essere rimossi da questa lista e' sufficiente che lo comunichiate a: est at ecn.org
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