Notizie Est #272 - Kosovo



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NOTIZIE EST #272 - KOSOVO
27 ottobre 1999
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UN DOPOGUERRA SIA DI BOOM CHE DI DEGRADO PER GLI 
ALBANESI DEL KOSOVO
di Scott Martelle - ("Los Angeles Times", 22 
ottobre 1999)

PRISTINA, Jugoslavia - Nei mesi prima che nel 
suo nativo Kosovo scoppiasse la guerra, Orhan 
Abdullahu guadagnava fino a $110 al mese come 
ingegnere civile, qui nella capitale della 
provincia. Alla fine della guerra avrebbe potuto 
tornare al suo posto di lavoro. Ma Abdullahu, di 
38 anni, ha scelto invece di quadruplicare il 
proprio stipendio lavorando come portiere presso 
la sede dell'USAID (Ente degli Stati Uniti per 
lo Sviluppo Internazionale) di Dragodan, un 
quartiere in collina che sovrasta il centro di 
Pristina. "Nessuno e' contento di farlo", ha 
detto Abdullahu dopo avere verificato la carta 
di identificazione di visitatore all'entrata. 
"Spero che le cose migliorino in futuro e che 
gli ingegneri possano tornare a essere 
ingegneri". Gli albanesi del Kosovo salutano 
ancora con favore l'intervento internazionale 
che ha fermato una persecuzione durata anni 
sotto il governo jugoslavo dominato dai serbi. 
Ma vi e' una crescente ondata di preoccupazione, 
soprattutto nella capitale, su come questa 
economia del dopoguerra, basata sui servizi, 
incidera' sul futuro degli albanesi del Kosovo.

Musa Limani, direttore dell'Istituto Economico 
di Pristina, ha detto di temere che la liberta' 
possa fare quello che i serbi non hanno potuto 
fare: creare un esodo permanente dal Kosovo di 
albanesi istruiti. Prima della guerra, racconta 
Limani, rimanere in Kosovo era un atto di sfida 
contro l'oppressione serba. Ora, afferma, 
andarsene costituisce per le famiglie albanesi 
un atto di avanzamento professionale e 
l'opportunita' per una vita migliore. "In questo 
momento tutti sono interessati a stare qui e a 
lavorare qui", dice Limani, membro di un 
consiglio di consulenza locale che lavora per 
gli amministratori ONU. "Molte persone sono 
tornate al loro posto di lavoro nelle varie 
istituzioni, come quelle educative e quelle 
sanitarie, dopo un periodo di 10 anni. Ma se non 
saranno in grado di mantenere le loro famiglie, 
se ne andranno".

Per un decennio, l'economia del Kosovo ha 
risentito di forze inusuali. Nel 1990, Slobodan 
Milosevic, oggi presidente della Jugoslavia, ha 
dato il via a una campagna per marginalizzare 
gli albanesi del Kosovo espellendoli dai posti 
di lavoro pubblici -- una causa chiave della 
disoccupazione in un pase che manteneva una 
strategia di grandi aziende di proprieta' 
statali ereditata dal passato regime comunista. 
Allo stesso tempo, le dubbie politiche monetarie 
della Serbia e il vero e proprio saccheggio 
delle banche jugoslave per finanziare le guerre 
in Croazia e in Bosnia-Erzegovina hanno portato 
a un crollo generale della fiducia nel sistema 
bancario della Jugoslavia. Gli effetti sul 
Kosovo e sulla sua maggioranza etnica albanese 
sono stati piu' duri che altrove in Jugoslavia, 
spiega Limani. Il prodotto interno lordo del 
paese [la federazione jugoslava] e' diminuito 
del 60% tra il 1985 e il 1994. In Kosovo, il 
calo e' stato ancora piu' forte, da $3,3 
miliardi nel 1985 a $1,1 miliardi nel 1994, pari 
al 67%. Anche il reddito nazionale e' crollato 
in maniera analoga, passando da $38,5 miliardi 
nel 1985 a $16,9 miliardi nel 1994. Ma la 
diminuzione del reddito in Kosovo e' stata in 
proporzione peggiore, con un passaggio da $2,2 
miliardi a $800 milioni, secondo le statistiche 
annuali pubblicate dal governo jugoslavo.

Eppure gli albanesi non se ne sono andati. Hanno 
invece creato un sistema economico parallelo 
alimentato in larga parte dai contanti inviati 
nella provincia da migliaia di albanesi che 
erano emigrati in altri paesi europei. Si 
trattava di un'economia di resistenza. Gli 
insegnanti lavoravano per una remunerazione che 
spesso non veniva nemmeno corrisposta. I 
professori universitari, espulsi 
dall'universita' di Pristina, tenevano i corsi 
nelle loro case. I medici spesso venivano 
arrestati, oppure veniva loro impedito di curare 
i pazienti. Mustaf Gara, portavoce dell'Unione 
dei Sindacati Indipendenti del Kosovo stima che 
sui 153.000 membri che i sindacati contavano nei 
mesi prima dello scoppio della guerra nel marzo 
scorso, solo 31.000 lavoravano effettivamente 
per degli stipendi.

Ora il Kosovo, che e' ancora formalmente parte 
della Jugoslavia, si ritrova convertito in 
un'economia di servizi, mentre i lavoratori 
delle industrie attendono la ricostruzione degli 
stabilimenti pesantemente vandalizzati dalle 
forze serbe in ritirata. Le sole Nazioni Unite 
danno lavoro a circa 1.800 abitanti locali - 
quasi tutti di etnia albanese - che vengono 
pagati da $3 a $6 all'ora, in conformita' a una 
regola secondo cui le tariffe di pagamento 
devono essere uguali al piu' alto stipendio 
prevalente. Questi stipendi piu' alti venivano 
in passato pagati quasi esclusivamente a serbi e 
cosi' i nuovi posti di lavoro sono una manna per 
gli albanesi precedentemente sottopagati o privi 
di lavoro. Ma sono stipendi stanno alimentanto 
il disagio, anche se i lavoratori si buttano sul 
contante ogni volta che possono. "Un autista che 
lavora per l'UNMIK [l'amministrazione civile 
ONU] viene pagato $1.080 al mese, mentre gli 
insegnanti si vedono promettere solo $110 al 
mese e i medici $130 al mese", dice Gara. "Se 
gli insegnati scegliessero tutti di diventare 
autisti, cosa accadrebbe ai nostri studenti?".



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