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TESI sulla guerra nei Balcani
- Subject: TESI sulla guerra nei Balcani
- From: Alessandro Marescotti <kfqma at tin.it>
- Date: Fri, 15 Oct 1999 21:51:27 +0200
From: "Lina Bianconi" <forumdonneprc at hotmail.com> TESI sulla guerra nei Balcani PER UNA COSTITUENTE DELLA PACE Una proposta del Forum delle donne del Prc 1) Una catastrofe storica La guerra della NATO nei Balcani ha prodotto per il mondo, e per l'Europa in particolare, una radicale rottura storico-politica su tutti i piani. Ha annientato infatti in poche settimane i frutti di quella faticosa sottrazione al paradigma bellico che l'Europa aveva operato dopo le catastrofi di Auschwitz e di Hiroshi-ma e ha permesso che politica e guerra tornino a essere collegate, la seconda come possibile articola-zione della prima, anzi come strumento primario dei nuovi processi di gerarchizzazione nel mondo, tra le classi, i sessi, i popoli, il centro e le periferie del pianeta. Così, dopo il bombardamenti della NATO sulla Federazione Jugoslava, nulla sarà come prima. Nella metafora rappresentata dall'uccisione dei padri a opera dei figli, degli odierni governi di sinistra eu-ropei che distruggono ciò che le sinistre in Europa avevano edificato all'indomani della seconda guerra mondiale, si conclude l'era che abbiamo ormai alle spalle, fortemente segnata dal rifiuto morale e giuri-dico della guerra. Una fase durata cinquant'anni, che è stata un tutt'uno, in Europa, con la storia della si-nistra e con i percorsi di emancipazione e libertà delle donne e che a quella storia, a quei percorsi ha offerto il contesto più favorevole al loro dispiegarsi. Il ripudio della guerra significava essenzialmente che veniva registrato sul piano costituzionale ciò che la coscienza aveva interiorizzato a livello di massa: l'illegittimità giuridica e morale della guerra. Oggi pro-prio questo è venuto meno col tacito avallo della cultura politica dominante in Europa e, in molti casi, con l'arrogante propaganda mediatica di chi ha giustificato questa guerra. Proprio questa è la perdita più ter-ribile che la guerra ha causato. Occultata nelle sue ragioni autentiche dalle grandi campagne mediatiche, che l'hanno presentata come un'ingerenza "per i diritti umani", la guerra è stata condotta al di fuori e contro il diritto internazionale. Sono state stracciate la Carta dell'ONU, la Costituzione italiana negli art. 11 e 78, le norme sul diritto bellico umanitario alla luce della Convenzione di Ginevra e degli altri accordi internazionali che regolano l'uso delle armi a tutela delle popolazioni civili e dell'ambiente. Persino le norme del trattato NATO, che parlano di difesa del territorio dei paesi atlantici ed escludono una guerra di aggressione, sono state clamorosamente violate. Di fatto i diritti umani sono stati svuotati di ragioni giuridiche nel momento in cui sono stati agitati solo come fini etici, per giustificare lo stravolgimento di ogni regola e dunque l'arbitrio, l'abuso da parte della legge del più forte. "La forza a sostegno dei deboli " diventa puro potere e onni-potenza militare che uccide altri deboli senza limiti né regole, proprio perché pretende di autolegittimarsi al di fuori di ogni diritto e di ogni patto tra i popoli. Abbiamo così assistito a una specie di esecuzione di massa in grande stile, ultimo portato tecnologico e mediatico della cultura della pena di morte. Assieme ai danni materiali, alle vite perdute, alle numerose stragi di civili, alla immensa distruzione di ri-sorse ambientali, di infrastrutture industriali, opere civili, beni culturali e mezzi di sussistenza, assistiamo oggi, come effetto di questa guerra, ad un danno antropologico inestimabile: la corruzione delle coscien-ze e l'arretramento dell'opinione pubblica democratica a livelli precedenti a quelli raggiunti 50 anni fa, quando lo sviluppo di un forte spirito costituente democratico diede impulso a una crescita senza prece-denti della coscienza sociale. Oggi siamo invece al collasso della coscienza civile e dell'orizzonte demo-cratico poiché il militarismo si è sostituito alla politica, la necessità dell'uso delle armi ha travolto i Parla-menti e il loro ruolo e gli spazi di partecipazione democratica sono stati azzerati dalla propaganda di guerra e dalle sue menzogne mediatiche. 2) Sessi in guerra La guerra, mai come oggi, chiama in causa direttamente le donne perché ne rimette in discussione i percorsi di emancipazione e le acquisizioni di libertà. Le interroga e interroga la loro storia, perché è nei modi come si sono sviluppati i rapporti sociali e simbolici tra i sessi che la guerra affonda le sue radici, costruisce le sue ragioni, riesce a imprigionare l'immaginario sociale. La guerra infine pone il problema della responsabilità pubblica delle donne, perché senza di loro come soggetto della politica non sarà possibile un'autentica politica della pace. La coppia amico/nemico, la figura dell'Altro (Altro dall'Occidente, Altro dall'Europa) come esclusione della diversità, la dicotomica contrapposizione tra i buoni e i cattivi, fino all'odierna maledizione biblica del ministro inglese Robertson contro i Serbi ("i cattivi non avranno dove nascondersi"): sono questi gli stereotipi e le simbologie che hanno fondato ancora una volta l'immaginario sociale della guerra e che ne hanno reso possibile l'accettazione presso le popolazioni europee. Al risorgere dei nazionalismi, all'etnicizzazione dei conflitti, fino alle forme più brutali delle pulizie etniche e degli stupri etnici trasver-salmente praticati dagli opposti nazionalismi nelle regioni della ex Jugoslavia, l'Occidente, dopo aver alimentato la disgregazione del territorio, l'inimicizia tra le popolazioni, il riarmo delle fazioni, ha contrap-posto e usato con modalità e finalità imperiali - gli Usa cuore, i Paesi europei satelliti dell'impero - la presunzione fondamentalistica della propria superiorità etica e del proprio ruolo civilizzatore nei confronti dell'Altro da sé. Un Altro da sé annidato nel cuore stesso dell'Occidente, quel Milosevic e quel popolo serbo, segnati dallo stigma slavo della diversità, fusi in un'unica entità e concettualizzati come corpo materiale e metaforico del nemico da battere. Alla violenza etnica, la Nato ha risposto con la violenza etica, con un atto simbolico di esclusione totale del popolo serbo dal consesso umano, veri e propri re-ietti del mondo. Un atto primitivo e primordiale, la faccia barbarica delle modalità iper tecnologiche della guerra, fondato antropologicamente, quell'atto, su una vocazione, una pratica, una legge patriarcale che afferma il dominio maschile sul sesso femminile e radicalmente esclude le donne dalla sfera pubblica, deprivandole simbolicamente e praticamente dell'accesso all'umano, riducendole a pura natura, a fun-zione di riproduzione, a contenitore di genealogie maschili. Nella guerra si evidenzia in maniera emblematica la distanza che corre tra le donne e gli uomini. Una di-stanza di potere, di ruoli, di rappresentazione simbolica. Dietro questa distanza c'è la complessa storia sociale dei due sessi, così diversa ma anche così inestricabilmente intrecciata. Le donne sono innanzi-tutto le vittime della guerra, nel senso che per lo più la subiscono. Questo non significa che le donne siano innocenti rispetto alla guerra. Complicità e connivenza femminile, oltre che subalternità, sono alla base del sistema di potere maschile che dà luogo alla guerra. La politica che prende la via della guerra taglia fuori le donne dalla politica, le riconduce e le riduce a una funzione riproduttiva biologicamente in-tesa. Subentra con la guerra la più classica divisione dei ruoli. Agli uomini il potere di decidere, alle don-ne la cura dei corpi. Vivandiere di guerra sono state le ministre italiane durante la guerra nei Balcani. C'è ovviamente differenza tra fare la guerra e curarne le conseguenze. Ma la differenza si riduce a niente politicamente se il prendersi cura delle condizioni della vita, della sopravvivenza, della convivenza non si trasforma da funzione naturalisticamente intesa a pensiero politico e soggettività alternativa e trasforma-tiva dell'ordine di cose che della guerra sta a fondamento. Che questo avvenga è una condizione di fon-do, senza la quale la guerra non potrà essere cancellata dalla storia. 3) Guerra costituente La guerra ha consolidato i fondamenti di ciò che si chiama "il nuovo ordine mondiale" o nuovo impero del mondo da parte dello Stato più potente e dei suoi satelliti europei. La messa fuori gioco dell'ONU e l'asservimento politico dell'Europa e dei suoi governi alla strategia degli Stati Uniti hanno prodotto un "ordine costituente" che ha visto la sua tappa più importante nella dichiarazione di intenti di Washington, del 24 aprile scorso, circa il ruolo che la Nato è oggi chiamata a svolgere. A suon di bombe e di oltranzi-smo militare i vertici Nato hanno ottenuto l'acquiescenza dei governanti europei ad una radicale modifica degli scopi e delle regole della Nato. D'ora in poi, la missione della Nato sarà quella di "prevenire i con-flitti o, laddove si verifichi una crisi, contribuire ad una sua efficace gestione, anche sfruttando la possibi-lità di condurre operazioni non previste dall'articolo 5" (che ammetteva la guerra solo come risorsa estrema di difesa da attacchi esterni). La guerra oggi viene considerata un utile mezzo necessario per rispondere "all'incertezza e all'instabilità nella regione euroatlantica e nella zona limitrofa", in risposta a "crisi regionali alla periferia dell'Alleanza", a eventi suscettibili di minacciare la stabilità euroatlantica quali "rivalità etniche e religiose, controversie territoriali, inadeguatezza o fallimento degli sforzi di riforma, violazione dei diritti umani e dissoluzione di Stati". Questa modifica del trattato Nato non è stata discussa dai Parlamenti europei, non è a conoscenza dell'opinione pubblica, non è stata denunciata neanche dalla sinistra alternativa come la minaccia più grande che incombe sul prossimo secolo. Eppure la guerra dei Balcani ha prodotto il sovvertimento del precedente patto tra le nazioni che prevedeva l'autorità sovranazionale dell'ONU per regolare i conflitti, al fine di prevenire e impedire la guerra. Lo Stato più forte del mondo, cioè gli Stati Uniti, attraverso la Nato e il nuovo patto tra i governi europei, ha diritto di muovere guerra ad un altro Stato per ragioni eti-co-umanitarie, stabilendo da sé quali siano queste ragioni con l'avallo degli altri paesi alleati. La regola che discende da ciò è che la Nato ha diritto di stabilire quando sussistono e quando non sussistono ra-gioni umanitarie, intervenendo militarmente, nelle forme e modi che ritiene più congrue. Questi princìpi sono in grado di travolgere ogni altra regola di natura giuridica e morale e se verranno legittimati dai Parlamenti e dall'opinione pubblica di massa dei maggiori paesi daranno corso a una nuova epoca che, dietro la pretesa di difendere la civiltà occidentale, ne segnerà invece la totale dissoluzione nei suoi aspetti più positivi sul versante della democrazia e del diritto. Gli effetti costituenti di questa guerra si collegano al quadro generale della globalizzazione, al trionfo del neo-liberismo e ai processi di svuotamento della democrazia rappresentativa. La guerra della Nato ha rivelato in questo i veri interessi da cui è stata mossa: non certo i fini dichiarati della difesa dei diritti umani ma la nuova strategia di controllo militare e geo-politico del mondo da parte degli USA. 4) Il conflitto in Kosovo e la guerra della Nato. L'ingerenza "per i diritti umani" ha accelerato e aggravato l'espulsione dei profughi e le atrocità su di loro, senza per altro che i presunti salvatori neanche approntassero un'adeguata accoglienza per le popola-zioni in fuga. Mentre "i salvatori" producevano in Serbia le stragi di civili vergognosamente chiamate "effetti collaterali", in Kosovo, come reazione, si scatenava da parte delle milizie di Milosevic, una guerra contro il popolo dei Kosovari albanesi. Le numerose fosse comuni, le migliaia di cadaveri, i segni di mu-tilazioni e inaudite violenze, le camere di tortura, gli eccidi nei villaggi e gli incendi, i saccheggi e gli stupri etnici: si tratta di atrocità che portano alla luce la natura iniqua e violenta del regime di Milosevic. L'orrore ha colpito l'immaginario collettivo producendo una giustificazione della guerra "celeste", considerata co-me unico mezzo efficace per fermare la pulizia etnica e le bande di Milosevic. Occorre allora ragionare sugli effetti della guerra, far comprendere invece che la guerra "celeste" non ha fermato la violenza e che anzi l'ha moltiplicata e che la colpa occidentale è stata soprattutto l'omissione di soccorso, la rinuncia a un'efficace azione per la pace. Rinunciando alle truppe di interposizione (quando per tempo potevano avere un ruolo), ritirando gli osservatori Osce, impedendo le missioni di soccorso e le azioni di vigilanza e di pacificazione in Kosovo, si è consentito che si sviluppasse indisturbato lo sterminio e si accendesse-ro sempre di più gli odi e le vendette. Ma nessuna ragione delle popolazioni profughe può giustificare la catastrofe della guerra. Sul piano etico la pulizia etnica di Milosevic va ripudiata con la stessa intensità con cui deve essere ripu-diata la guerra della Nato. Sul piano politico tuttavia va sottolineata l'abissale differenza tra una guerra imperiale che pretende di mettere sotto controllo tutto il mondo, di disporre delle risorse del pianeta e di tenere in soggezione i popoli, ed una guerra regionale condotta da un dittatore locale, in un contesto di atroci nazionalismi incrociati, alimentati da quelle stesse potenze occidentali che pretendono poi di re-golarne e concluderne gli esiti. Le numerose violazioni dei diritti umani perpetrate in tutto il mondo non possono mai essere usate per giustificare la guerra, tanto meno per mistificare e occultare le ragioni autentiche delle guerre di interesse dell'impero. Nessuna politica di pace, nessun intervento di pacificazione potranno essere possibili se non si blocca alle radici la mistificazione culturale e di senso della guerra giusta e dell'ingerenza umanitaria. Se si la-scia che l'eufemismo compia il suo corso producendo quella banalità del male che altre volte in Europa è stata causa di tragedia. 5) Le sinistre europee e il sonno della ragione La bancarotta politica e morale delle socialdemocrazie europee è un dato imprescindibile per la com-prensione di ciò che sta accadendo. Questa non è stata una guerra "americana". Ai bombardamenti ha concorso potentemente un'Europa i cui governi sono in massima parte socialdemocratici. In Germania, in Francia, in Inghilterra, in Italia il partito della guerra ha nelle sinistre di governo la propria maggioran-za. L'Europa rosso-verde ha fatto sua la menzogna dell'ingerenza umanitaria e anche in ciò stanno le ragioni dell'intorpidimento delle coscienze e le ragioni innegabili della difficoltà di dare sviluppo al movi-mento di opposizione alla guerra, dei limiti e delle ambiguità che lo hanno attraversato. La guerra è stata appoggiata dalle socialdemocrazie europee per due ragioni: una ideologica, l'altra di potere. La maggioranza dei leaders di sinistra dei governi europei ha giustificato la guerra e ha invocato l'intervento armato come unica soluzione possibile per effettuare l'ingerenza umanitaria nei Balcani. Il di-simpegno nella ricerca di pratiche sociali, politiche, diplomatiche, alternative alla guerra hanno determi-nato la generale resa alla inevitabilità dell'intervento armato e su questo si è retto l'imbroglio dei soggetti legittimati a compierlo e delle forme e dei modi per realizzarlo. La mistificazione sulle azioni di polizia internazionale, confuse con la guerra "celeste", è l'espressione di una grave cecità che ha prodotto irre-sponsabilità e comportamenti schizofrenici (si soccorreva da una parte e si distruggeva dall'altra). Ma questa caduta delle sinistre socialdemocratiche nella trappola ideologica del fondamentalismo etico degli Usa è spiegabile anche col vuoto ideologico seguito al crollo del comunismo e dei regimi sovietici e con la deriva della ragione che ha investito la sinistra, compresa quella di origine sessantottina, dalla quale non a caso provengono molti degli attuali esponenti della sinistra al governo in Europa. In preda ad una vera crisi della ragione, questi personaggi si sono trasformati in fautori di una farneticante cro-ciata che dalla giusta stigmatizzazione del diritto ad uccidere da parte di Milosevic, fanno discendere la legittimazione del potere di uccidere da parte dell'Alleanza. L'altro motivo è quello dell'interesse nella cogestione del potere imperiale. Per sedersi al tavolo dei po-tenti della terra D'Alema, Schroeder e Jospin, possono trasformarsi in altrettanti Agamennone, pronti a sacrificare Ifigenia pur di consentire la spedizione a Troia, ciechi di fronte al fatto che la guerra rappre-senta la bancarotta politica dell'Europa, che dalla guerra esce fortemente indebolita anche sul versante monetario, nel rapporto tra dollaro e euro. Siamo a questo punto: il potere del nuovo ordine mondiale e dei suoi interessi complessivi, economici e di controllo strategico, ideologico e geo-politico, richiede il ricorso alle armi. La socialdemocrazia si è cor-rotta e compromessa fino a questo punto, buttando alle ortiche anche le ultime remore di cautela e buon senso diplomatico e l'aspirazione a una democrazia mondiale. La crisi della ragione non ha travolto solo le sinistre al governo ma anche una parte della intellettualità, del mondo della cultura e dell'informazione e del femminismo. Molte donne provenienti dall'esperienza del femminismo hanno giustificato questa guerra come scelta inevitabile, estrema ratio per interrompere le violenze di Milosevic. In ciò si è manifestata una grave subalternità all'ideologia dominante, l'incapacità di leggere il nesso che unisce maschilismo e militarismo, l'amnesia della grande riflessione femminista sull'alternatività dei valori che l'esperienza umana e simbolica delle donne può rappresentare - se responsabilmente assunta come bussola dell'agire politico - sia come cultura che si oppone a quella della morte e della distruzione, sia come modello non-violento di rapporti umani ispirato all'interscambio con l'Altro, alla reciprocità, al rispetto delle differenze. 6) La pace come alternativa di sistema Dobbiamo prendere sul serio il carattere epocale di questa guerra, accettare di misurarla in tutti i suoi inevitabili effetti, tra cui c'è quello del dispiegarsi di un dopoguerra segnato dalla cultura della guerra, su cui è già calato il silenzio mediatico e si esercitano le più diverse operazioni affaristiche. Dimenticare, ri-muovere o anche semplicemente derubricare a capitolo di secondaria importanza la guerra nei Balcani sarebbe un tragico errore politico, perché la guerra è entrata ormai stabilmente tra le varianti possibili della politica occidentale, in Europa e dall'Europa, e già segna le più generali dinamiche. La pace va messa al centro della politica per fondare, costruire, sviluppare una politica della pace. Va assunta come spartiacque tra due mondi, deve diventare elemento costitutivo e costituente del mondo per il quale ci battiamo, grammatica sociale e simbolica fondamentale degli assetti sociali, delle relazioni tra i popoli, punto focale da cui e per cui praticare qui e ora un'alternativa di sistema. Occorre approntare percorsi di apprendimento e riflessione culturale per sottrarre le coscienze a quel fe-nomeno di continuo slittamento semantico basato sull'eufemismo (ingerenza umanitaria, effetti collatera-li) e sulla retorica umanitaria che ha legittimato la guerra presso ampi settori della società. Occorre lavorare a una rivoluzione antropologica-culturale sul nesso guerra pace, sulla coppia ami-co/nemico e sulle ragioni della pace. Non la pace come cessazione della guerra ma come elemento fon-dativo della comunità umana, necessità primaria per la sopravvivenza della comunità umana, dell'equili-brio dell'habitat, della civiltà; la pace come bussola dei comportamenti sociali, dei fondamenti giuridici, delle pratiche politico istituzionali. La guerra invece come attentato alla sopravvivenza e alla convivenza umana, intollerabile scandalo sociale e simbolico su cui scrivere un divieto giuridico integrale. Smilitarizzazione, neutralità, rifiuto del nuovo patto atlantico, chiusura delle basi Nato in Europa: su que-sti obiettivi va avviato un confronto ampio e diffuso tra i soggetti che si sono mobilitati contro la guerra. Ricerca di modalità diplomatiche, di istituzioni internazionali deputate all'intervento per sedare i conflitti, di regole e norme ispirate al principio della pace: a partire da ciò occorre lavorare a una riconversione delle menti e delle culture. La pace inoltre come criterio di orientamento di fronte ai grandi temi dell'economia e della vita sociale, della democrazia: uso delle risorse, stato sociale, crescita qualitativa e non quantitativa, democrazia co-me partecipazione e allargamento delle forme e delle istanze della rappresentanza e della cittadinanza. La pace come ricerca di meccanismi di cooperazione condivisa tra i popoli e le popolazioni, contro gli stati etnici, le secessioni. Pace come criterio generale di razionalità sociale. Per riordinare l'educazione, la cultura, l'ideologia, l'immaginario. Le guerre regionali, i nazionalismi, i conflitti etnici, le sistematiche violazioni dei diritti umani in ogni parte del mondo, ci interrogano oggi su un nuovo rapporto tra diritto internazionale e diritti umani. Quali soggetti istituzionali legittimare per intervenire, attraverso quali forme e modalità. 7) Metodologie di pace Oggi siamo in grado di ragionare meglio anche sugli effetti reali della guerra, e non solo sui principi teo-rici del pacifismo. E gli effetti ci fanno comprendere ancora una volta che la guerra ha aggiunto massa-cro a massacro rivelandosi come "un male in sé", peggiore di tutti i mali che pretendeva di rimediare, e dunque oggi possiamo rinnovare a maggior ragione il ripudio della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali e impegnarci a cercarne altri. Un primo equivoco è definitivamente caduto a proposito delle cosiddette azioni di polizia internazionale che non possono esser confuse con la guerra. Infatti questa ha come scopo l'annientamento del nemico, come la Nato ha dimostrato in Serbia, e produce crimini contro l'umanità, distruggendo le vite degli iner-mi. Si può pensare invece a un'azione di polizia in senso proprio, che escluda il coinvolgimento di popo-lazioni civili, l'uso di armi pesanti e tecnologiche, la distruzione di fonti di vita e risorse ambientali, che agisca con l'unico fine di ridurre e circoscrivere la violenza e controllare il territorio per difendere i perse-guitati. E' ciò che prevede per l'azione dei caschi blu internazionali la Carta dell'ONU e che in Jugoslavia non è stato praticato ed anzi sabotato come i negoziati e le altre pratiche sociali in grado di prevenire i conflitti. D'altra parte va affrontato complessivamente il problema del sistema internazionale di regole, meccanismi, istituzioni riconosciute e legittimate in base al quale interventi di tale natura siano possibili. Certamente questo è un terreno di teoria, di elaborazione giuridica e di esperienze sociali tutto da esplo-rare ed arricchire. Vanno studiate e praticate forme di intervento nuove per la difesa dei diritti umani a tutto campo, purché si basino sul ripudio della violenza e la smilitarizzazione generalizzata. Occorre pensare a riforme delle diplomazie e dei loro strumenti, a un radicale rinnovamento delle regole e degli strumenti dell'ONU, della sua Assemblea e del suo Consiglio di Sicurezza. Ma pensiamo anche a tante forme di organizzazione della cooperazione, della diplomazia dal basso, della educazione e dei pro-grammi di socializzazione per una convivenza pacifica tra i popoli, per una cultura critica diffusa che sot-tragga consenso sociale e simbolico alle strategie imperiali del nuovo ordine mondiale che gli Usa e i governi europei vogliono imporre. 8) Proposta per una Costituente della Pace e per un'Internazionale della Pace Occorre lavorare a una ricomposizione dei soggetti che si sono mobilitati per la pace, proponendo loro un impegno di riflessione teorica, di elaborazione politica, di iniziativa costante. Attribuiamo in questo un ruolo fondamentale alla Convenzione permanente di donne contro la guerra che si è costituita a Bologna il 5 giugno. Un lavoro analogo va esteso su scala internazionale, a partire dall'Europa, per la costituzione di un'Internazionale della Pace. --------------------------------------------------------------- Alessandro Marescotti c/o PeaceLink, c.p.2009, 74100 Taranto (Italy) http://www.peacelink.it --------------------------------------------------------------- Ipertesto per una cultura della pace: http://www.peacelink.it/pace2000 PeaceLink Database (file in formato DBIII con le schede di 580 associazioni) http://www.peacelink.it/database/
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