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Notizie Est #266 - Kosovo
- Subject: Notizie Est #266 - Kosovo
- From: "Est" <est at ecn.org>
- Date: Sat, 2 Oct 1999 14:52:51 +0100
- Organization: Est
- Posted-date: Sat, 2 Oct 1999 15:06:27 +0200
- Priority: normal
"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani ============================= NOTIZIE EST #266 - KOSOVO 2 ottobre 1999 ============================= L'ESODO DEI SERBI E DEI ROM DAL KOSOVO di Andrea Ferrario [FONTI: Per documentarsi sull'esodo di serbi e rom dal Kosovo, iniziato questa estate, e sugli atti di violenza compiuti contro queste due minoranze, sono disponibili in linea numerosi materiali. Innanzitutto, il lungo e dettagliatissimo rapporto OSCE-UNHCR, pubblicato il 6 settembre (http://www.osce.org/e/docs/presrel/pr66- 99.htm). Ci sono poi i dispacci della Reuters, in gran parte ancora archiviati nel sito "GO network" (http://www.go.com/Center/News?provider=REUTERS), e ricuperabili cercando con la parola-chiave "kosovo". Tra i quotidiani in inglese e francese, mantengono degli archivi completi degli articoli pubblicati sul Kosovo negli ultimi mesi "Le Monde" (http://www.lemonde.fr/actu/international/exyougo /kosovo/index.html), "Liberation" (http://www.liberation.fr/kosovo/index.html), "Guardian & Observer" (http://www.newsunlimited.co.uk/Kosovo/) e, con un po' di pazienza nella ricerca, "The Times" (http://www.the- times.co.uk/news/pages/Times/frontpage.html?999), "Washington Post". Molte informazioni anche sul sito di Wolfgang Plarre (http://www.dillingen.baynet.de/~wplarre/)] La sospensione estiva della pubblicazione di "Notizie Est" e' coincisa con il periodo in cui i media di tutto il mondo hanno portato in primo piano il massiccio esodo serbo e rom dal Kosovo, nonche' le uccisioni quotidiane e i soprusi contro queste due minoranze. Non ci e' possibile ripercorrere qui per esteso la cronaca degli ultimi due mesi (riportata tuttavia in dettaglio da numerosissime fonti di informazione: rimandiamo all'elenco "minimo" di fonti Internet citate sopra), riportiamo pero' almeno la nostra interpretazione di questo capitolo fondamentale degli sviluppi successivi alla guerra del Kosovo. Anche se il balletto delle cifre e' stato notevolmente contraddittorio, non vi e' alcun dubbio sulla sostanza delle dimensioni dell'esodo delle due minoranze principali del Kosovo, nonche' sulle violenze e i ricatti esercitati nei loro confronti. Quasi 150 uccisioni in due mesi, 200 persone scomparse e probabilmente uccise, decine di migliaia di profughi che, indipendentemente dalle cifre esatte, rappresentano circa meta' della comunita' serba e due terzi di quella rom, senza contare che moltissimi sono i cosiddetti "sfollati interni", anch'essi profughi a tutti gli effetti. Oltre alle violenze piu' evidenti, una serie continua di minacce e soprusi quotidiani e la creazione di una situazione sociale ed economica senza prospettive, che insieme hanno alimentato e alimentano ancora direttamente l'esodo. Se la meta' circa di questi profughi e' fuggita di propria volonta' insieme alle forze serbe in ritirata, questo non vale per la seconda ondata e comunque relativamente alla prima resta il fatto che i famigliari di chi e' fuggito per timore di dovere rispondere dei propri crimini non possono essere considerati "colpevoli" e hanno il diritto di potere tornare come cittadini del Kosovo a tutti gli effetti. L'esodo provocato da violenze e soprusi e' un fatto inaccettabile e da condannarsi totalmente, perche' costituisce un'odiosa forma di "punizione collettiva", e questo indipendentemente dalle condizioni e dai precedenti che hanno portato all'esodo. La giustificazione di quanto e' avvenuto con il fatto delle enormi violenze e distruzioni subite da piu' di un anno in maniera indiscriminata dalla comunita' albanese, e questo a opera di larghissimi settori, anche civili, della comunita' serba, puo' spiegare, ma non puo' legittimare in nessun modo questo esodo in larga parte forzato. La mancanza di una giustizia democratica di fronte ai crimini compiuti contro gli albanesi e' a nostro parere, come spiegheremo sotto, uno dei fattori piu' importanti che hanno creato le condizioni ideali per le violenze contro serbi e rom e il loro relativo esodo, ma la giustizia deve valere per tutti: non solo in questo caso soffrono decine di migliaia di persone che non hanno commesso crimini, ma anche chi ha commesso crimini ha comunque diritto a essere giudicato democraticamente nel proprio paese. Senza una giustizia per tutti non e' pensabile un futuro democratico per il Kosovo, ne' tale futuro e' pensabile lasciando aperta la questione di piu' di centomila profughi serbi e rom. Purtroppo, ne' nella comunita' albanese (a livello di rappresentanti politici e di popolazione, con isolate eccezioni), ne' tantomeno nell'amministrazione ONU/NATO e nel regime serbo, che della catastrofe del Kosovo e' all'origine, sembra esservi in questo momento la volonta' di un'inversione immediata di tale esodo. Altrettanto grave dell'avallare questo esodo, o del legittimarlo, e' pero' tracciare un segno di uguale, magari anche solo qualitativo e non quantitativo, tra la "pulizia etnica" subita dagli albanesi e la "pulizia etnica" subita da serbi e rom. Si tratta di un'equazione che e' stata ampiamente fatta dai media e nell'ambito della sinistra, che e' quello che piu' qui ci interessa. Non solo questa posizione cancella con un sol colpo una realta' dei fatti ben precisa e facilmente ricostruibile, ma impedisce anche qualsiasi analisi concreta e di conseguenza l'individuazione di vie d'uscita valide. Aderendovi, la sinistra si chiude volontariamente gli occhi di fronte alla realta' attuale e alla storia che la ha preceduta, cacciandosi sempre piu' in un vicolo cieco verso il quale si era gia' indirizzata con la scelta, qui in Italia, di mobilitarsi tardivamente, solo contro la NATO e non contemporaneamente a sostegno del popolo del Kosovo, a parte rarissime eccezioni. In primo luogo, se abbiamo detto che la situazione e le violenze passate non legittimano le violenze contro i serbi e i rom, questo non vuol dire che si possa prescindere da tale situazione e violenze, o minimizzarle. E qui i fatti sono pesantissimi: la popolazione albanese del Kosovo e' oggetto da decenni, in quanto albanese, di una repressione brutale e sistematica messa in atto in maniera organizzata e scrupolosa dal governo di Belgrado. Quest'ultimo ha cancellato ogni forma di autonomia politica, ha licenziato in massa decine di migliaia di lavoratori perche' albanesi, ha incarcerato centinaia di albanesi per motivi politici, ne ha costretti decine di migliaia di altri a emigrare; a partire dal febbraio dell'anno scorso ha scatenato una guerra aperta contro gli albanesi, culminata con le distruzioni e le espulsioni di portata enorme di questa primavera. Per quanto si possano criticare aspramente le scelte e i metodi di lotta della leadership albanese, non si e' mai trattato di uno scontro tra "opposti nazionalismi" in lotta semplicemente per conquistare un'egenomia, ma della ribellione a un'oppressione statale organizzata e brutale. Il movimento di liberazione albanese, in nessuna delle sue forme, non ha mai progettato, predicato o messo in atto negli ultimi decenni forme di oppressione o di violenza nazionale: anche nel caos totale delle sanguinose e distruttrici offensive serbe dell'anno scorso vi sono stati solo episodi isolati, che si contano su meno delle dita di una mano, e questo al culmine della violenza esercitata contro gli albanesi. Se quanto citato sopra non legittima in alcun modo le attuali violenze contro serbi e rom, le spiega e le mette in un contesto reale sulla cui base e' possibile formulare una presa di posizione politica che ne consenta il superamento e l'individuazione di effettive alternative democratiche. Va detto per completezza che non solo non e' possibile tracciare una sommaria equazione qualitativa tra le due "pulizie etniche" del Kosovo, ma e' anche assolutamente scorretto fare un'equazione, per fare solo un esempio citato di frequente, tra quanto sta avvenendo in Kosovo ora e la pulizia etnica messa in atto nel 1995 dalla Croazia di Tudjman contro la popolazione serba della Krajina. In quell'occasione, a differenza di oggi, si e' trattato di un'operazione prepianificata nei dettagli, messa in atto da un regime che sull'oppressione nazionale dei serbi trovava una delle sue basi e che, in quanto regime, non era mai stato vittima di alcuna oppressione. Non e' possibile trascendere nemmeno dalla situazione attuale e ignorare che le recenti violenze, e il relativo esodo, messe in atto soprattutto nel mese di luglio e della prima meta' di agosto, sono avvenute immediatamente dopo una violenza immane compiuta contro l'intera popolazione albanese, purtroppo con una larghissima partecipazione della comunita' civile serba locale (questo fatto non va ignorato). Il risultato e' che oggi vi sono centinaia di migliaia di senza tetto (secondo l'UNHCR il 75% delle abitazioni non e' utilizzabile) che, in quanto albanesi, si sono visti radere al suolo la casa, in moltissimi casi con la collaborazione di concittadini serbi. Alcune delle maggiori citta' del Kosovo, come Pec e Djakovica, sono in massima parte rase al suolo o inabitabili. Lo stesso vale per la parte albanese di Kosovska Mitrovica e per decine e centinaia di altri centri minori. La distruzione dell'economia, e quindi della possibilita' di potere condurre la propria vita in autonomia con il proprio lavoro, e' anch'essa totale, dopo 17 mesi di guerra, e questo accade dopo un decennio in cui il regime serbo ha requisito l'intera economia del paese a favore della minoranza serba, in termini di posti di lavoro, di abitazioni, di strutture sociali e di risorse finanziarie. Inoltre, pressoche' ogni giorno cittadini albanesi del Kosovo si trovano a dovere affrontare il ritrovamento di corpi di propri famigliari in fosse comuni. Migliaia di altri albanesi del Kosovo hanno famigliari che sono ancora ingiustamente incarcerati e detenuti in condizioni inumane dopo essere stati deportati in Serbia, altre migliaia non sanno nulla dei destini dei loro parenti e amici e si tratta di persone a cui nessuno sta dando anche solo una prospettiva di risposta. Sono poi ancora vivissime nella memoria le immagini delle forze serbe e dei loro collaboratori che hanno abbandonato il Kosovo compiendo ulteriori stragi e distruzioni (a Pec, sotto gli occhi delle forze italiane, che hanno appositamente atteso un giorno prima di entrare nella citta'). A Kosovska Mitrovica le forze francesi, in collaborazione con la popolazione serba e soprattutto con i suoi piu' dubbi esponenti, hanno messo in atto una divisione "etnica" della citta', che lascia agli albanesi la parte semidistrutta e consegna ai serbi locali quella intatta e dotata di tutte le strutture sociali, appositamente fatte costruite in quella zona dal regime serbo. Questi, lo ripetiamo, sono gli esiti logici di un'oppressione nazionale organizzata e sistematica, non di uno "scontro tra opposti nazionalismi". Non si puo' prescindere nemmeno dagli attuali sviluppi politici e militari in Kosovo e attorno al Kosovo. La soluzione del protettorato e' uno dei fattori principali tra quelli che creano il clima di quanto sta accadendo. La sorte del Kosovo e' in mano a soggetti estranei la cui ultima preoccupazione sono gli interessi dei kosovari. Il problema piu' scottante e' quello della giustizia: a tre mesi dall'inizio dell'occupazione non e' stato avviato alcun processo che lasci intravvedere l'individuazione dei colpevoli delle stragi e delle distruzioni, una cosa giustamente chiesta con insistenza dalla popolazione albanese (sono state invece arrestate centinaia di persone, per la quasi totalita' di nazionalita' albanese, per reati commessi dopo l'inizio dell'occupazione ONU/NATO). Nelle ultime settimane sono state arrestate alcune persone per crimini di guerra, ma il loro nome viene tenuto segreto, cosi' come le relative accuse. Queste persone (pochissime) verranno inoltre processate all'estero, da un tribunale che risponde agli interessi delle cancellerie occidentali. Tutti fatti che non servono certo a placare il giustificato desiderio di giustizia. Non esiste inoltre alcun criterio preciso in merito alle norme di legge che vanno applicate in Kosovo: si ricorre (in maniera selettiva e arbitraria) addirittura alle leggi dei paesi che occupano militarmente le varie zone del Kosovo! In questo contesto, scelte come quelle di Kouchner di nominare in questo vuoto legale e con tale ritardo, una dozzina di giudici su "base etnica" potrebbero suonare comiche, se non fossero tragiche: la "base etnica" non esiste, visto che nessun serbo nelle attuali condizioni potrebbe accettare un tale incarico, per non parlare dei rom da sempre emarginati socialmente, ma anche i giudici albanesi non sono in alcun modo rappresentanti della popolazione albanese, che non ha avuto alcuna voce nella loro nomina. E questo e' solo un esempio tra mille possibili. Della "ricostruzione" non si e' parlato nemmeno lontanamente in termini concreti e per gli abitanti del Kosovo non vi e' alcuna prospettiva a breve termine di tornare ad attivita' lavorative anche solo minimamente normali. Si menzionano solo di tanto in tanto cifre faraoniche, che lasciano temere altrettanto faraoniche "cattedrali nel deserto", di cui il Kosovo ha gia' ampie esperienze, mentre l'unica realta' e' quella di una progressiva colonizzazione del paese da parte delle piu' svariate ONG miliardarie e organizzazioni piu' o meno umanitarie o parastatali, che stanno gia' creando due categorie di cittadini kosovari, una limitatissima, ben pagata e con accesso a tutte le risorse disponibili, un'altra nella miseria piu' totale, e qui e' forse l'unico caso in cui ci si trova in una situazione quasi "multietnica", nel senso che la cosa vale per tutti i gruppi nazionali, ancora una volta, tuttavia, rom esclusi. L'altro fattore decisivo per la situazione attuale, anch'esso di diretta responsabilita' degli occupanti dell'ONU e della NATO, e' quello dell'assoluta incertezza del futuro del Kosovo. E' un dato di fatto che il Kosovo in questo momento e' al di fuori della sovranita' jugoslava, ma non e' per nulla chiaro quale ne sara' la condizione futura, visto che gli accordi di "pace" stabiliscono a chiare lettere una permanenza del Kosovo nella Jugoslavia. E' chiaro che tutto dipendera' dai rapporti contingenti tra i paesi occupanti in ogni dato momento, dai loro folli progetti di "architetture geopolitiche" e dal loro riuscire a trovare forze interne o esterne che forniscano garanzie sufficienti alla incolumita' dei loro soldati e a una stabilita' che non provochi ulteriori frizioni nei gia' difficili rapporti tra gli "alleati" occidentali. La disponibilita' delle leadership albanesi, moderate o "radicali" che siano, a fare da garanti per tali progetti e' un fatto gravissimo, cosi' come lo e' il continuo flirtare (a suon di bigliettoni) delle cancellerie occidentali con un'opposizione serba che rispetto al Kosovo non nutre certo progetti molto migliori di quelli di Milosevic (il generale Perisic, esponente dell'opposizione e vezzeggiatissimo dall'occidente, gia' noto per avere distrutto Mostar a cannonate, ha rimproverato a Milosevic di non avergli consentito di dichiarare lo stato di emergenza in Kosovo gia' nel 1997, in modo da consentire all'esercito di "controllare la situazione e il territorio" ["Glas Javnosti", 11 settembre 1999], secondo alcuni suoi colleghi, in privato Perisic avrebbe dichiarato che lo stato di emergenza sarebbe servito a "ripulire chimicamente il Kosovo dagli schipetari"... ["Vreme", 4 settembre 1999]). Mentre si sono spese energie enormi per le trattative sul disarmo dell'UCK e la sua trasformazione nei fantomatici "Kosovo Protection Corps", per piazzare carri armati a difesa di qualche quartiere di serbi e rom, nulla viene fatto per giungere a una soluzione chiara e per soddisfare la domanda legittima di un referendum entro tempi ragionevoli, con tutte le debite garanzie del caso, per stabilire un futuro del Kosovo che puo' essere l'unico legittimo e in grado di aprire una strada per la pace, perche' deciso dal suo popolo. Chi sono i responsabili della situazione che si e' venuta a creare? La responsabilita' del tandem ONU/NATO e' enorme ed evidente. A quanto abbiamo illustrato sopra, va aggiunto anche che l'esodo dei serbi, dalla prospettiva degli occupanti, elimina un incomodo fattore di complicazione e, allo stesso tempo, costituisce un buon investimento per il futuro: all'occasione i profughi serbi (quelli rom, secondo i loro cinici criteri, non possono avere un "valore" sufficiente) potranno servire come utile arma di ricatto per ogni progetto politico e successivo voltafaccia. Del regime di Belgrado non si puo' dire altro che di tutto quello che e' avvenuto e' l'origine prima, constatando che, in Kosovo come altrove in passato, sta ora dando prova di incredibile coerenza nell'abbandonare ai propri destini la manovalanza utilizzata per i propri disegni criminali, cosi' come le persone che hanno l'unica colpa di essere famigliari o vicini di questa manovalanza, ritenuti evidentemente utili solo quando si tratta di ampliare il proprio bacino di elettori. Da parte albanese non viene fatto nulla per creare le condizioni minime perche' tale esodo non si verifichi - le dichiarazioni fatte sono in questo caso parole vuote e nulla piu'. Solo una chiara e attiva rivendicazione di condizioni democratiche in Kosovo per gli albanesi e per gli altri abitanti del Kosovo, puo' costituire la base per un futuro chiaro. Se la leadership albanese non e' in grado di promuoverle, non e' solo perche' altri interessi la guidano, ma e' anche una conseguenza del rifiuto di aprire gia' in passato ogni dibattito politico, come avevamo osservato a piu' riprese nel corso della guerra del Kosovo. Questo vale ora soprattutto per l'UCK, ma non bisogna dimenticare che anche i moderati della LDK hanno la gravissima responsabilita' di avere soffocato in passato ogni autentico dibattito politico sotto la cappa oppressiva del sistema politico autoritario messo in atto per anni da Rugova e i suoi, che non a caso avevano come proprio obiettivo la creazione di un protettorato internazionale, ONU o NATO a seconda della situazione contingente. L'UCK e la LDK, insieme, hanno sancito a Rambouillet la consegna dei destini della lotta del loro popolo direttamente nelle mani dei paesi della NATO, con tutte le relative conseguenze. Ora la dirigenza UCK persiste su questa linea: nelle persone in particolare di Thaci e Ceku, e' impegnata in un disarmo che vuol dire rinuncia a ogni difesa autonoma in una situazione del Kosovo di cui non e' ancora possibile vedere gli esiti, nonche' di occupazione militare e amministrativa: una decisione che esprime la rinuncia alla salvaguardia dei diritti del proprio popolo. Ancora una volta, le (timide) dichiarazioni in senso contrario, rimangono parole vuote. Non e' un caso che i principali promotori di questa operazione siano un esponente dell'UCK che e' asceso ai massimi vertici di quest'ultima solo alla vigilia di Rambouillet e grazie alla sua conciliabilita' con l'occidente, e un suo generale che alla lotta di liberazione non ha nemmeno partecipato, entrando sulla scena solo svariate settimane dopo che i bombardamenti NATO erano cominciati, per non parlare poi dei suoi trascorsi di esecutore della pulizia etnica di Tudjman in Croazia, sufficienti a squalificarlo in toto. Per completare il quadro generale, va detto ancora che l'esodo di serbi e rom dal Kosovo non puo' essere definito come un'operazione di "pulizia etnica" sistematica. I fatti ampiamente documentati (rimando ai documenti e ai materiali citati sopra) dipingono chiaramente un quadro composto da diffuse azioni della criminalita' comune, di una larga parte di esodo volontario di persone macchiatesi di crimini (e di loro innocenti famigliari, non fuggiti, tuttavia, "per colpa degli albanesi") e solo in parte di azioni mirate di frange sparse, presumibilmente composte da membri o ex membri dell'UCK. Per completare il quadro, va anche detto che sono ancora numerosi, ma perlopiu' taciuti dai grandi media, gli atti di violenza (uccisioni, aggressioni armate e minacce) nei confronti di albanesi, in particolare nelle zone di Gnjilane e Kosovska Mitrovica. Anche gli atti di "criminalita' comune" contro i serbi e i rom, recano pero' un chiaro segno di discriminazione etnica. Non si puo' poi ignorare che in Kosovo, oltre alle violenze continue, e' in atto ormai un'emarginazione sociale della popolazione serba e rom in quanto serba e rom, che alla singola persona che subisce una violenza o un sopruso poco importa se chi la commette e' un criminale o un soldato in divisa. Le reazioni pressoche' nulle e l'interesse per tutt'altre faccende da parte della leadership albanese parlano come minimo di una situazione coscientemente e colpevolmente avallata per calcoli cinici e meschini. Considerati tutti i precedenti e la situazione attuale, esposti sopra, la scelta di fare un'equazione tra le violenze passate contro gli albanesi e quelle odierne contro serbi e rom, costituisce uno stravolgimento dei fatti che porta alla falsa conclusione degli "opposti nazionalismi tutti uguali". Questa conclusione, in quanto astratta dalla situazione reale, implica necessariamente l'invocazione di istanze superiori che "mettano ordine" (organizzazioni internazionali di ogni tipo, o addirittura il governo jugoslavo) o il ripararsi dietro reticenti appelli alla conciliazione o a un antimperialismo vuoto di ogni contenuto effettivo. Le uniche condizioni di base per la liberazione del popolo del Kosovo, albanesi, serbi, rom e altre nazionalita', sono la possibilita' di esprimersi democraticamente in merito ai propri destini, quindi di potere svolgere entro tempi ragionevoli un referendum, di eleggere quanto prima i propri rappresentanti, di potere avere subito un sistema giudiziario equo e frutto dell'espressione democratica, di potersi difendere in prima persona dalle pesanti minacce esterne ancora in atto, di potere ricostruire in autonomia il proprio paese e potersi sostenere con il proprio lavoro, tutti diritti elementari che il protettorato ONU/NATO sta sistematicamente violando. Tacere su questi punti o magari usare la giusta denuncia contro le violenze subite da serbi e rom come paravento per negare ogni solidarieta' con i diritti degli albanesi del Kosovo, o ancor peggio fare un'equazione tra il movimento di liberazione albanese e gli aguzzini di Belgrado, e' un errore che nei fatti non fa nulla nemmeno per i serbi e i rom del Kosovo. Nel caso della sinistra italiana cio' e' tanto piu' grave non solo per la diretta vicinanza geografica, che rende piu' facile l'opera di conoscenza e di solidarieta', ma anche per il continuo ruolo nefando avuto dall'Italia prima, durante e dopo la guerra del Kosovo, in particolare ora nella missione ONU/NATO che sta negando ai kosovari, tutti, ogni diritto. _____________________________________________________________ "Notizie Est" e' una mailing list di notizie sui Balcani e l'Europa Orientale, pubblicata dal sito web "I Balcani" e archiviata su web all'indirizzo: http://www.ecn.org/est/balcani Se desiderate abbonarvi (gratuitamente) o essere rimossi da questa lista e' sufficiente che lo comunichiate a: est at ecn.org
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