[WWW][MAN] La pace non puo` far propri tempi e forme della guerra



Salve a tutti,
riporto un testo interessante sulla scia delle iniziative per l'Osservatorio
sui Balcani.

A presto. Marco.


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29 Settembre 1999     


BALCANI
La pace non puo` far propri tempi e forme della guerra
Claudio Bazzocchi, Michele Nardelli, Tonino Perna, Francesco Terreri  

Quanto il messaggio nonviolento di Aldo Capitini "se vuoi la pace, prepara
la pace" sia rimasto sostanzialmente estraneo all'agenda della politica e,
talvolta, anche a quella dello stesso pacifismo, lo si evince dal fatto che
e` ancora la cultura dell'emergenza a caratterizzare l'approccio con i
conflitti, nell'incapacita` di prevenirne la degenerazione violenta come di
abitarli per farli evolvere positivamente.

Cosi` che in nome della pace si fanno le guerre. Dalla tragedia dei Balcani
(e dalle tante altre tragiche vicende del nostro tempo) escono sconfitti
tutti coloro che, inascoltati, hanno tentato per anni le strade della
diplomazia preventiva. Tanto che gli attori della guerra sono
paradossalmente gli ispiratori delle grandi campagne umanitarie ed ora i
principali interpreti del business della ricostruzione.

La ricostruzione sara` il terreno sul quale verra` combattuta una nuova
guerra, non sempre meno cruenta: dalla qualita` della ricostruzione
dipendera` il futuro di quest'area dopo che i bombardamenti, la pulizia
etnica, le fosse comuni, i lager, gli stupri di massa, l'uso di sistemi
d'arma che provocano danni ambientali talvolta irreversibili, sono tornati
prepotentemente nella storia del vecchio continente, imprimendo alla
modernita` del nostro tempo i segni di quello stesso presagio con il quale
questo secolo si era presentato.

Pace e ricostruzione sono facce della stessa medaglia, la possibilita`
dell'una e` strettamente connessa alla qualita` dell'altra. E l'impostazione
di una ricostruzione "dalla parte delle popolazioni" e` una precondizione
per tagliare le radici alla guerra.

La sfida abita proprio qui: dopo non aver saputo prevenire una tragedia
annunciata e protrattasi per un intero decennio, sapra` l'Europa mettere in
campo una progettualita` libera da logiche dell'emergenza e da interessi
particolari?

Come sempre vincoli e possibilita` si intrecciano ed il prevalere degli uni
sugli altri dipende da un insieme di fattori, non ultimo il ruolo che sapra`
giocare la diplomazia popolare, quel tessuto di Ong, volontariato, enti
locali, a cui oggi si guarda per ripensare il ruolo stesso della
cooperazione internazionale.

In questo quadro, appare decisivo il lavoro di monitoraggio e di conoscenza
del contesto in cui i soggetti impegnati nella ricostruzione saranno
chiamati ad operare, non solo per sfuggire ad un'informazione superficiale e
sterilizzata, ma per far si` che un approccio corretto, rispettoso e
nonviolento verso la ricostruzione cominci proprio da un lavoro di indagine
sulle conseguenze della guerra nella vita delle persone e sul territorio.

Sappiamo quanto sia facile cadere nella logica emergenziale del fare senza
progettualita`, del motivarsi a partire dai finanziamenti e di fornire
carichi di aiuti indipendentemente dalla loro futura gestione o
destinazione. Senza dimenticare che l'ancoraggio di ogni attivita` e
progetto ad altrettanti ambiti di impegno e partecipazione civile puo`
rappresentare un'occasione di crescita per entrambe le comunita`.

Su questo piano le esperienze di diplomazia popolare e di cooperazione
decentrata avviate in questi anni proprio nel contesto balcanico possono
rappresentare un costante punto di riferimento, nonche' una straordinaria
risorsa umana, insomma nulla a che vedere con i container abbandonati e la
logica dirigista che ne e` all'origine.

Per una ricostruzione "dalla parte delle popolazioni", la creazione di
capacita` autoctone e` una delle precondizioni fondamentali per l'avvio di
processi di sviluppo sostenibili nel lungo periodo. Questo e` spesso
l'anello debole della cooperazione internazionale, anche se tutti, governi,
organizzazioni della societa` civile, settore privato e donatori, oggi
riconoscono che il "capacity building" e` fondamentale per il successo e
l'efficacia dei programmi di cooperazione allo sviluppo. Per essere
efficaci, questi programmi devono potenziare le politiche di costruzione
delle capacita`, investire nell'accrescimento delle competenze, tenendo
conto che detta formazione e` un processo evolutivo e di apprendimento
organizzativo che gli interventi esterni possono solo facilitare.

Le Organizzazioni non governative, se tali vorranno essere, dovranno
delineare nuovi ed alternativi percorsi di cooperazione allo sviluppo,
sostenibile ed a misura delle popolazioni, con percorsi predisposti con cura
e radicati nelle culture, nelle tradizioni e nel territorio. Questi percorsi
dovranno essere sottoposti ad una verifica oggettiva delle loro
caratteristiche di democraticita` e rispetto culturale, ambientale e dei
diritti umani, economici, civili e sociali.

Se l'Italia non vorra` piu` avere come dirimpettai popolazioni sempre piu`
impoverite e regimi che contrabbandano profughi e uranio, eroina e bazooka
in collaborazione con le organizzazioni criminali nostrane, dovra`
convalidare tutti i propri progetti di cooperazione, governativi e non
(dagli accordi Telecom ai progetti di microcredito), attraverso una verifica
attenta a quanto questi siano funzionali agli obiettivi di pace e ricostruzione.

Questo non si ottiene solo ricostruendo le anagrafi e le case, ma con
progetti mirati a rielaborare il conflitto cooperando con le popolazioni.
Questa rielaborazione non e` un momento conducibile alla firma degli accordi
di pace, ma un processo dinamico: preparare e costruire condizioni di pace
significa analizzare le cause dei conflitti, evitando semplificazioni, e
investire in saperi diversi che possano affrontare le costellazioni causali
dei problemi.

Il monitoraggio delle condizioni di vita e di salute delle popolazioni
dovra` avvalersi di una mappatura delle zone a rischio per l'impiego di
uranio impoverito, l'inquinamento dei fiumi e cosi` via.

In maniera analoga, saranno verificate le attivita` della diplomazia non
governativa internazionale quali Caschi bianchi, corpi civili di pace, corpo
civile europeo, forze d'interposizione pacifiste, al pari delle attivita` di
disobbedienza civile e diserzione.

Nasce in questo contesto l'idea di dar vita ad un "Osservatorio permanente
sui Balcani". A lanciarla, nel giugno scorso, l'assemblea di Venezia dei
"Cantieri sociali", accanto alla proposta di realizzare una conferenza
parallela delle Ong e della cooperazione decentrata sulla ricostruzione dei
Balcani.

Proprio in questa occasione di riflessione sui caratteri della ricostruzione
verra` presentato l'Osservatorio permanente sui Balcani.

Un'equipe di persone ha lavorato durante l'estate per precisarne forme e
contenuti, allargarne il consenso all'insieme dell'arcipelago della pace,
ricercare i donatori per realizzarlo su basi solide e durature. L'esito e`
stato piu` che incoraggiante, per la diffusa consapevolezza dell'utilita` di
uno strumento permanente di monitoraggio, per le numerose adesioni gia`
ricevute, per la sensibilita` incontrata nelle istituzioni locali, tanto che
dopo gli incontri di Trento (17 luglio) e di Bologna (3 settembre),
l'Osservatorio e` ormai una realta`. I suoi sensori saranno quella
straordinaria rete di associazioni di volontariato, ong, comitati della
cooperazione decentrata, organismi e monitor internazionali, operatori
dell'informazione, i quali potranno trovare nell'Osservatorio il luogo per
la diffusione e la rielaborazione delle informazioni da loro stessi
raccolte. Sono stati definiti 4 ambiti di monitoraggio: l'economia e la
ricostruzione; la condizione umana e il contesto ambientale; fra passato e
presente: democrazia e diritti; i media.

Per saperne di piu`, si puo` cercare l'Osservatorio c/o Unimondo, via
Sommarive 4, 38050 Povo-Trento, tel. ++39 0461 816036; fax ++39 0461 811652.
Fabio.Pipinato at unimondo.org. 

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