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Chiama l'Africa News

Le prime reazioni all'articolo di Alberto Ronchey pubblicato sul
Corriere della Sera di mercoledì 3 dicembre

E' possibile leggere l'articolo e il nostro primo commento alla pagina
http://www.cipsi.it/africa/dettagli.asp?ID=571&tipo=1
<http://www.cipsi.it/africa/dettagli.asp?ID=571&tipo=1>

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Anche se spesso non condivido le idee veicolate dal Corriere della Sera,
lo considero (ancora?!) un giornale serio, perciò mi sorprende che abbia
dei giornalisti che scrivano articoli che diffondano odio razziale e
religioso in Italia.
La tua risposta mi sembra azzeccata, perciò mi limitero soltanto ad
invitare il sig. Roberto Ronchey a meglio informarsi perchè: 1. Il
Population Reference Bureau non fa parte delle Nazioni Unite. Si tratta
di una organizzazione no-profit degli USA, è vero tra le più serie del
mondo, ma non ha mai fatto parte dell'ONU. Sarebbe stato sufficiente
visitare il suo sito per avere informazioni più serie; 2. Tutti i dati
demografici indicano che tutti i popoli della terra hanno conosciuto in
un momento o in un altro una crescita demogrifica elevata, che si è
attenuata con il miglioramento delle condizioni sanitarie, il
prolungamento della speranza di vita e l'accrescimento della ricchezza.
3. Proprio in questo periodo, l'Africa sta iniziando la diminuzione del
suo tasso di accrescimento demografico naturale. Alcuni paesi del Nord
Africa hanno raggiunto i limiti della crisi di rinnovanmento della loro
popolazione. Anche a Sud del Sahara, questa tendenza è stata iniziata
nonostante i vari problemi che vi si pongono.
4. Quando gli anziani o altri datori di lavoro manifestano, anche
davanti al Parlamento italiano per la regolarizzazione dei loro "Bingo
Bongo", è perchè sanno che il sistema sanitario, pensionistico e
produttivo dell'Italia ci guadagna ad averli.

Saluti. A.B.


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Sono totalmente d'accordo con il commento di Paola Luzzi all'articolo di
Alberto Ronchey. Vorrei, comunque, aggiungere qualche considerazione,
partendo da quanto diceva Paola, verso la fine del suo commento:
"Dovremmo imparare anche noi, uomini del benessere, ad alimentare la
speranza nel futuro, adoperandoci con lungimiranza nella definizione di
nuove regole per la convivenza tra i popoli, per il commercio mondiale,
per l’accesso ai diritti e ai bisogni fondamentali in ogni angolo del
pianeta." La definizione di nuove regole. La questione è tutta qui.
1) Anzitutto è difficilissimo agire da occidentali nei confronti dei
popoli africani senza continuare a "imporre" la nostra cultura,
sovrapponendola, come avviene da secoli, alla loro. La cosa più
elementare che si deve tener presente è la lingua. I popoli africani
sono stati costretti ad adottare lingue, come il francese e l'inglese,
senza poter più fare uso della propria lingua. Il programma "C'era una
volta" di giovedì 27 novembre, su quanto sta avvenendo in Costa
d'Avorio, terminava con le risposte date da ragazzi di una scuola alla
domanda: "Voi pensate di essere francesi o ivoriani?" Una delle risposte
è stata: "Ciascun Paese (del mondo - n.d.r.) sviluppa la sua storia in
funzione degli avvenimenti.Quindi non si possono studiare gli
avvenimenti della Francia o di qualsiasi altro Paese per costruire la
"propria" storia. ... In quanto africani il nostro dovere è quello di
conservare questa (= la nostra - n.d.r.) eredità."
2) Poi c'è il problema del divario tecnologico tra Nord e Sud. Non si
può prescindere dal ricorrere a nuove tecnologie e "nuove tecnologie"
sta per tecnologie dell'Occidente.
Quando potranno gli africani (come tutti gli altri popoli del Sud del
mondo) sviluppare tecnologie in totale autonomia? 3) Purtroppo, oggi
come oggi, è una vera, autentica utopia ritenere che venga a cessare
l'accanimento delle grandi potenze volto allo sfruttamento delle
ricchezze del Sud, e quindi anche dell'Africa.
I punti che ho elencato non esauriscono, ovviamente, tutte le difficoltà
che costituiscono la complessità (che per alcuni si traduce in
"irrisolvibilità") del problema che ci troviano ad affrontare, e poiché
d'altra parte, però, ritengo che quanto detto da Paola Luzzi sia un
qualcosa di assolutamente irrinunciabile: aspirare a pervenire alla
definizione di nuove regole, l'unica stada che vedo percorribile è
quella di perseverare nell'impegno per aumentare la presa di coscienza.
Ciò significa, tra l'altro, inventarsi strategie per allargare il numero
di persone con le quali entrare in contatto.
Le questioni da presentare si riducono a due: 1. La situazione in cui
centinaia di milioni di persone è costretta a vivere. Esistono ancora
persone, in numero davvero insospettabilmente spropositato, che ignora i
problemi della fame, dell'acqua, della mancanza di medicinali, della
reale speranza di vita per molte popolazioni, e via dicendo, le quali
dovrebbero essere contattate ed informate, anche se inizialmente
potrebbero manifestare indifferenza o, peggio, un dichiarato rifiuto.
2. Che cosa ciascuno di noi può fare in concreto, per contribuire
all'allargamento della presa di coscienza? A questo riguardo, non credo
che esista una metodologia unica, valida per tutti. Credo molto
nell'opportunità di incontro e di confronto con altri, perchè è questo
il modo migliore per accrescere la sensibilità, per aumentare la
comprensione, per penetrare sempre più a fondo le problematiche.
Ritengo, però, che ciascuno, dopo aver conquistato la consapevolezza
dell'enorme importanza di attivarsi in qualche modo, debba trovare, da
solo, le vie, i modi, i tempi, la cadenze di un intervento, a partire
dal tener presente le proprie competenze e disponibilità.
Ringraziando per l'attenzione, porgo un caro saluto.

Gianni Petragnani


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Cari amici di "Chiama l'Africa",
condivido pienamente l'esauriente risposta di Paola Luzzi all'articolo
di Alberto Ronchey apparso sul "Corriere della Sera" del 3 dicembre
scorso. Ne approfitto per ricordare alcune cose al sig. Ronchey:V - non
possiamo considerarci "innocenti" di fronte alla "proliferazione
incontrollata" dei paesi del Sud del mondo, non dimenticando l'influenza
che la Chiesa ha in molti di questi paesi e che la Chiesa continua a
condannare ufficialmente la contraccezione
- a questo proposito, quando si ricorda l'ingegnosità anticoncezionale
dei pescatori della Catalogna, bisognerebbe tenere a mente che anche nel
nostro democratico paese, ora a crescita zero, la contraccezione è stata
a lungo un problema, superato almeno in parte solo grazie a anni di
battaglie civili
- che non si può parlare poi di "ottimismo storico", ma semmai di pacato
pragmatismo, riguardo alle migrazioni: il movimento e il mescolamento
tra persone di origini, culture, religioni, lingue differenti non è una
minaccia né un'utopia, ma una realtà di fatto che è sempre esistita e
che sempre esisterà (a meno di non voler far prevalere l'ottica,
purtroppo dilagante al momento, dello scontro fra culture, del
terrorismo e della guerra); una realtà che se vissuta appunto in senso
positivo può essere una fonte di ricchezza e non un limite
- che il problema ovviamente esiste, se pensiamo alle emergenze
umanitarie, sociali e politiche che spingono il più delle volte, e
sempre più migranti, a spostarsi in Europa: ma questo "problema" non si
può risolvere con la chiusura delle frontiere o dando la colpa ai
presunti limiti culturali e sociali dei paesi non occidentali; forse è
ora di accettare una volta per tutte le proprie responsabilità e di
rendersi conto che il nostro modo di vita, la nostra economia, il
modello tanto decantato di sviluppo occidentale - che dà carta bianca
alle merci occidentali, "libere" di spostarsi in ogni dove, e impedisce
agli esseri umani di trovare il proprio posto nel mondo - sta in realtà
impoverendo tutto il pianeta
- il fenomeno delle migrazioni è solo la cartina di tornasole di uno
squilibrio mondiale che riguarda Nord e Sud, Est e Ovest.
Mi scuso per la forma un po' confusionaria dell'intervento, ma mi
premeva partecipare in qualche modo alla discussione.

Cari saluti, Maria Coletti



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