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Diario dal Centrafrica - 9 MARZO 2001
9 MARZO
SCUOLE, COTONE E FIORI DI ZUCCA FRITTI
E tutto continua intenso e frenetico, fra il caldo sempre più soffocante,
le uscite per villaggi tutte le mattine alle sette con rientro alle tre del
pomeriggio e ogni volta dopo aver percorso più di duecento chilometri di
strade sterrate.
Vivo la desolazione dei villaggi, le riunioni con i direttori delle scuole
a cui nessuno versa lo stipendio, a volte all'ombra di un mango, ma spesso
al sole accecante, davanti a scuole fatte di paglia e tronchi d'albero che
pullulano di bambini, o vecchi edifici d'epoca coloniale di cui sono
rimaste solo le pareti e parte del tetto.
Sento la responsabilità della scelta definitiva dei villaggi da integrare
nell'intervento, delle scuole da costruire, degli insegnanti da organizzare
e preparare in collaborazione con il responsabile dei settore scolare
(governativo, una specie di provveditore, che per il momento non può
accompagnarmi perchè si è rotto una spalla cadendo dalla motocicletta).
In un'aula scolastica fatta di tronchi e paglia una mattina ho contato 93
bambini, che al mio arrivo sono scattati in piedi recitando tutti in coro
«BoooounnnjjouuuurrMaaadaaaame». Per mancanza di insegnanti, gli alunni
vengono ammassati in classi numerosissime, spesso sono anche 150, e la
scuola fa anche i doppi turni. Il caldo spietato del turno pomeridiano, che
comincia alle tredici e trenta e termina alle 17,30, la stanchezza
dell'insegnante, che è lo stesso che al mattino ha finito alle 12,30, e
l'assenza di materiale didattico, lascia immaginare il livello di
apprendimento possibile.
Spesso, mentre i miei collaboratori raccolgono i dati che ci servono, io
vado fra i bambini, eccitati dalla visita inattesa come quelli di tutto il
mondo e mi diverto a farli ridere. Sento che l'esperienza fatta in Chiapas
con gli argentini mi ha lasciato una traccia indelebile e sono felice di
quell'attimo di gioia che posso dare e ringrazio ogni volta George e
Violetta per avermi insegnato questo. A volte basta anche solo muovere un
soppraciglio o strizzare un occhio per provocare uno scoppio squillante di
ilarità, ma spesso i bambini sono felici anche solo per il fatto che li
prendi in considerazione.
Osservando quelle testoline che mi guardano nelle scuole coloniali
diroccate, scolorite, che hanno perso banchi e finestre, col corpo disteso
sul pavimento di cemento, in buona parte sgretolato, mi chiedo quale storia
si nasconda nel loro futuro. « Miglioramento delle strutture scolastiche di
base », questo vado ad offrire con il programma che rappresento e di cui
sono responsabile in questo momento. Vuol dire costruzione della scuola
elementare, fornitura dell'arredo e dei libri, organizzazione e appoggio al
lavoro degli insegnanti per due anni, come, per lo stesso periodo,
sensibilizzazione e appoggio alle associazioni dei genitori degli alunni.
Questi dovrranno farsi carico, con un sistema di quote annuali, del
pagamento dei maestri e l'acquisto del gesso e dei quaderni. Questa parte
della partecipazione è il punto più difficile da realizzare, ma il solo che
possa garantire il coinvolgimento della popolazione al fine della
continuità del servizio, una volta scaduto il nostro periodo di intervento.
Il direttore, in genere, è un insegnante statale, virtualmente quindi
pagato dal governo , che però è in ritardo di 20 mesi sui salari, a cui si
affiancano, a seconda della situazione, due o tre, cosiddetti «Agents
parents » o Maestro di villaggio, che svolgono la funzione di scuole anche
se non sono integrati negli organici dell'insegnamento pubblico, e sono a
carico delle famiglie. Le famiglie devono pagare una quota annuale
equivalente a tremila lire, (1000 franchi centrafricani), da cui ricavano
il salario per il maestro. Lui guadagna, quando va bene, circa trentamila
lire al mese (10000 franchi), che anche qui è una cifra insufficiente per
sopravvivere. In nessun posto abbiamo inoltre verificato che sia pagato
regolarmente. Il principio è che le famiglie devono sostituirsi allo stato
laddove questo non può arrivare , facendosi carico di una parte dell'onere,
per garantire un'istruzione di base per i loro figli. Lo stato paga il
direttore, si fa per dire, e loro gli altri eventuali maestri. E' come un
modo per pagare una tassa di iscrizione alla scuola. Il problema è che, pur
essendo la quota annuale ridicola anche in questo contesto, la maggior
parte non la paga. Dicono che la raccolta del cotone è andata male, che
hanno dovuto far un prestito per l'acquisto dell'insetticida per difendere
la pianta da un parassita e che al momento della vendita non hanno
guadagnato quasi nulla. Spesso è vero, visto che il prestito lo chiedono
allo stessa ditta che compra loro il cotone, la SOCOCA (società cotonifera
centroafricana), che glielo sconta dal prezzo finale, arrivando a non
pagargli quasi nulla. Il prezzo dei cotone all'origine è molto basso, viene
ritirato dai camion della compagnia e portato in Chiad per la lavorazione.
Il medico di Paoua dice che la gente dovrebbe smetterla di produrre cotone,
che non rende quasi nulla al coltivatore e dà un solo raccolto l'anno, ma
la gente continua a coltivarlo, come per inerzia, o abitudine rimasta
dall'epoca coloniale, o perchè non ha imparato a fare altro.
Mi chiedo se qualcuno di quei bambini potrà continuare a studiare ed
ingegnarsi a rendere meno difficile la sua vita, o se non potrà sottrarsi
al destino di andare a lavorare nei campi di cotone con la famiglia,
mantenendosi al limite della soppravvivenza, o ancora se morirà di
meningite o altro, in una «clinica» come quelle che si trovano nei
villaggi.
L'abbandono scolastico è altissimo, soprattutto per le femmine, che hanno
il tasso di scolarizzazione più basso in assoluto. Per quanto riguarda i
bambini, alcuni maestri si sono lamentati della scarsa collaborazione dei
genitori, che durante la stagione delle piogge, persino in giorni d'esame,
vengono a prendere i figli per portarli ai campi con loro per la semina, e
non vogliono sentire le ragioni dell'insegnante.
In quelle povere aule scolastiche, i bambini sono scalzi e impolverati e la
polvere chiara sulla loro pelle risalta come farina bianca. Spesso hanno
gli abiti a brandelli ed il grosso ventre rigonfio fuoriesce della
maglietta sfilacciata, indice di cattiva e carente alimentazione. Mi
diverto a regalargli oltre al sorriso, una carezza sulla guancia o sul
collo per il gusto di vedere il guizzo di luce che vibra nei grandi occhi
espressivi. Spesso vengono incontro loro stessi porgendo la mano, per il
desiderio di toccare la tua e sono felici quando gliela porgi anche tu,
stringendo la loro, come faresti con un adulto. Una volta, una bambina a
cui ho accettato di toccare la mano al mercato di Paoua si è messa a
saltare e gridare per la contentezza attirando l'ilarità di un gruppo di
donne che vendeva l'insalata.-
Mi assale la tristezza, perché il progetto forse finisce troppo presto per
dei veri risultati duraturi, ma mi illudo di poter fare veramente qualcosa
per il futuro di questo bambini.
Dopo tanta desolazione, al rientro a casa. è bello trovare conforto con una
doccia, un'insalata mista a cui aggiungo le prime foglie di basilico,
frutto dei semi piantati a metà gennaio. Aspetto con ansia la maturazione
dei primi zucchini che spuntano, ma ho già mangiato i fiori fritti con la
pastella (ed olio di cotone) che ho fatto assaggiare in tutte le case della
concessione con grande successo.
Non ci sono altre distrazioni per liberare la mente per qualche ora dalla
disperata povertà di cui siamo circondati. Credo di avere messo su qualche
chilo.