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NIGRIZIA 4/2000 - CHIESE OGGI - Brasile
CHIESE OGGI
Brasile / "Purificare la memoria" anche qui
NIENTE DA COMMEMORARE,
TUTTO DA RIFLETTERE
Gianfranco Masserdotti
I POLEMICI "500 ANNI" DEL BRASILE NELLA RIFLESSIONE DEL VESCOVO DI BALSAS
(MARANHAO), CHE E' ANCHE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO INDIGENISTA MISSIONARIO
(CIMI), ORGANO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE.
Il culmine dei "500 anni" dell'arrivo portoghese in Brasile sara' il 22
aprile a Porto Seguro, dove avvenne lo sbarco (dossier Nigrizia, 3/00).
Quella citta' diverra', per quel giorno, la sede ufficiale del governo. E'
previsto l'arrivo di una replica della "Capitanea" di Pedro Alvares Cabral e
la messa in scena dell'incontro con le canoe indigene.
Con la flotta che trasportava i portoghesi avevano navigato anche otto
francescani e due preti secolari. Il 26 aprile fra Henrique Soares da
Coimbra celebro' la prima messa. Che cos'e' stata questa evangelizzazione?
Come si e' inserita la chiesa nel processo coloniale del Brasile? La
risposta non e' facile. Si corre il rischio di generalizzare. O di giudicare
il passato con la testa di oggi, dimenticando i preconcetti che
caratterizzavano la mentalita' dell'epoca. Come il credere che le altre
religioni fossero opera del demonio e che gli indios e i neri non avessero
"cultura". Si trapianto' cosi' una chiesa a immagine di quella del vecchio
continente europeo.
Ci furono comunque figure nobili e generose di missionari dalla vita povera
e che, a modo loro, amavano i popoli incontrati e volevano il loro bene.
Jose' de Anchieta, ad esempio. Ed ebbero una loro importanza anche gli
emigranti portoghesi poveri, spesso deportati, che diffusero la loro fede
lontano dal potere politico e dalla stessa chiesa ufficiale, soprattutto
nelle regioni dell'interno. E' il contesto in cui nacquero molte forme di
religiosita' popolare tuttora vive, soprattutto nel Nordeste.
Prevalse pero' nella prima evangelizzazione, nonostante anche la buona fede
di molti missionari, la congiunzione tra croce e spada. "Dilatare la fede e
l'impero" e' l'espressione che meglio contraddistingue l'espansione
portoghese. Si tratta di un'alleanza tra un progetto politico-militare ed
economico-mercantile con un progetto religioso. Il gesuita Antonio Vieira lo
percepiva chiaramente, in pieno secolo XVII, e in uno dei suoi celebri
sermoni dichiarava: "Noi non solo acconsentiamo a che quei gentili perdano
la sovranita' naturale nella quale sono nati e vivono, liberi da ogni
schiavitu', ma siamo quelli che, assoggettandoli al gioco spirituale della
chiesa, li sottoponiamo anche a quello temporale della Corona, facendo
giurare loro vassallaggio".
Davvero la prima evangelizzazione in Brasile non e' stata, in generale,
buona notizia per gli indios e i neri. Si svolse in un clima di violenza e
distruzione. I missionari pensavano che evangelizzare era "portoghesizzare",
ritenevano che gli indios non si potessero salvare vivendo da indios.
Nelle intenzioni dei colonizzatori il ruolo dei missionari era di
"ammansire" gli indios per assoggettarli. La maggior parte dei missionari
non si rendeva conto, all'inizio, dell'orrore che si stava commettendo ai
danni degli indios e realizzava il desiderio dei colonizzatori. Pensavano di
dover salvare le anime degli indios anche a costo della vita degli indios
stessi! Solo l'anima aveva valore, il corpo poteva essere maltrattato,
schiavizzato e anche ucciso, purche' battezzato.
SENZA ANGOLA…
Per gli africani le cose andavano anche peggio. Padre Vieira in una lettera
al re faceva notare: "Senza l'Angola non c'e' Brasile".
Se da una parte ci fu una lunga e tenace lotta dei missionari, quasi sempre
fallita, per impedire la schiavitu' degli indigeni, dall'altra si approvava
il controllo degli indios con le armi e l'uso della forza per mantenerli in
villaggi e "riduzioni".
Per l'africano che sbarcava gia' schiavo per andare direttamente nelle
piantagioni di canna da zucchero, non c'era neppure l'alternativa del
"villaggio" per essere catechizzato. Non ci fu nessuna lotta per impedire la
schiavitu' degli africani. La religione si riduceva a battezzare lo schiavo,
con quasi nessuna catechesi al di la' di insegnargli a farsi il segno della
croce. E per giustificare la situazione di fatto venne elaborata una
teologia schiavista del battesimo. Si diceva che i neri in Africa vivevano
una situazione di doppio inferno: nel corpo, a motivo della schiavitu', e
nell'anima perche' non erano battezzati. Una volta deportati in America, il
loro corpo era ancora schiavo ma, grazie al battesimo, l'anima era liberata
dall'inferno del paganesimo e conquistava la felicita' eterna nell'altra
vita.
PER UNA CHIESA SAMARITANA
La chiesa cattolica del Brasile e' oggi ben cosciente delle ambiguita' dei
"500 anni". Per tutte le diocesi stanno circolando repliche della croce
utilizzata nella celebrazione di quella prima messa. Nella preghiera che
accompagna la visita della croce si esprime il ringraziamento "per i cinque
secoli di presenza del Vangelo tra di noi", ma si chiede anche perdono "per
tante croci che, nella nostra storia, sono state buttate addosso"
soprattutto agli indios e ai neri.
La chiesa pensa che se "non c'e' nulla da commemorare" - come stanno dicendo
gli indios - c'e' tutto da riflettere. Si tratta di accogliere l'esortazione
giubilare alla "purificazione della memoria". Una memoria che deve essere
penitenziale, che faccia domandare perdono e conservare un atteggiamento
critico verso il passato. E la memoria del passato deve, a sua volta,
stimolare la conversione e la trasformazione, perche' non si vengano a
ripetere oggi gli stessi errori e per avviare una nuova evangelizzazione.
La chiesa si sente chiamata ad essere una chiesa samaritana. Anche oggi
tornano a sorgere le tentazioni di chiudersi in un progetto di cristianita'
basato sul potere, i privilegi. La chiesa dovra', come il "buon samaritano"
della parabola, scendere da cavallo e curvarsi davanti a quelli che sono
caduti, facendo una sincera opzione per i poveri, vivendo la misericordia,
lottando perche' la "globalizzazione escludente del mercato" venga
sostituita dalla globalizzazione "della solidarieta' e della condivisione".
Gli errori del passato insegnano inoltre ai cristiani ad essere chiesa del
dialogo e del pluralismo. Oggi e' reale anche il pericolo di ricercare
l'esclusiva, di centralizzare tutto, di tornare alla "piramide".
L'importante e' saper valorizzare l'altro, credere nel pluralismo
dell'esperienza cristiana e nell'inculturazione del Vangelo, promuovere
l'ascolto e la collaborazione tra chiese e religioni, facendosi carico
assieme delle grandi cause che concretizzano oggi la crescita del Regno di
Dio nella storia: la giustizia, la pace, l'ecologia, i diritti umani, la
riforma agraria, i rifugiati, i migranti…
E' in questo spirito che si sta celebrando in Brasile, per la prima volta in
forma ecumenica, la Campagna della fraternita' quaresimale, sul tema
"Dignita' umana e pace" per un nuovo "millennio senza esclusioni".
La visione critica del passato invita ad abbandonare ogni atteggiamento di
arroganza, ma non ammette paure, fatalismi, pessimismo. Esige fiducia,
speranza. Nonostante tutto, malgrado il nuovo colonialismo neoliberista, i
cristiani sono chiamati a dar fiato alla tromba del giubileo e a proclamare
per tutti i poveri l'anno di grazia del Signore.
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