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NIGRIZIA 11/2000 - POPOLI E CULTURE



POPOLI E CULTURE

Rassegna itinerante / Foto dal Sahara Occidentale
VOLTI CHE RITORNANO

Luciano Ardesi

A RICORDARCI UNA TRAGEDIA RIMOSSA, L'INIZIATIVA DI UN FOTOGRAFO NAPOLETANO
CHE HA FRUGATO NEL PIU' INASPETTATO DEGLI ARCHIVI FOTOGRAFICI, IN PIENO
DESERTO.

Casse e casse di fotografie ricoperte da un velo di sabbia nei campi
profughi sahrawi nei pressi di Tindouf, nel sudovest dell'Algeria: donne e
uomini anziani nei vestiti tradizionali, sguardi fissi colti in uno studio
fotografico, bambini che corrono con i contorni sfuocati, famiglie
allineate, fotoricordo di qualche commilitone, fototessere dei documenti di
identita'.

A farle conoscere, per il momento in Italia, e' stato Patrizio Esposito,
fotografo napoletano con la passione dei popoli oppressi, che ha selezionato
20mila foto, traendone quasi 500, e le ha portate in giro in diverse regioni
italiane (a partire da giugno fino a novembre), in contemporanea con alcune
importanti rassegne teatrali a Pontedera, Santarcangelo di Romagna, Topolo'
(ai confini con la Slovenia), Sermoneta, Perugia (11-15 novembre, "Batik",
mostra internazionale del cinema), Bruxelles (24-26 novembre, in occasione
della Conferenza europea del coordinamento di solidarieta' al popolo
sahrawi), Santa Maria Capua Vetere (1-4 dicembre, Teatro Garibaldi).

Non e' una mostra fotografica, e' una rassegna di volti, di immagini di cui
bisogna scoprire il significato. I luoghi, il piu' delle volte lontani dai
centri anche diversi chilometri, in case private o sotto una immensa
quercia, come e' accaduto a Santarcangelo, conducono i visitatori a piccoli
gruppi ad accostarsi a situazioni del tutto sconosciute e apparentemente
indecifrabili.

Di chi sono questi volti? E' la domanda che nasce mentre i visitatori le
passano di mano in mano. Sono le fotografie che i soldati marocchini avevano
con se' quando sono andati a combattere nel deserto contro i guerriglieri
sahrawi del Fronte Polisario. L'esercito marocchino ha invaso il Sahara
Occidentale alla fine del 1975 e da allora i sahrawi non hanno smesso di
lottare per la propria indipendenza. Una guerra in gran parte silenziosa.
Non ha fatto rumore il napalm con cui i soldati hanno ucciso uomini che
l'allora re Hassan II considerava marocchini, costretti a fuggire attraverso
il deserto e a riparare nella vicina Algeria. Non ha fatto rumore la
repressione spietata dei sahrawi rimasti nei territori occupati, ne' il muro
che dagli anni '80 li ha isolati dal resto del Sahara Occidentale, protetto
da immensi campi minati, che ancora oggi, malgrado un cessate il fuoco che
dura da dieci anni, fanno vittime.

Non hanno fatto rumore le migliaia di soldati marocchini morti e i circa
duemila catturati dal Polisario. Del tutto dimenticati. Rabat non ha mai
reso noto le sue perdite. Alle famiglie dei caduti, un laconico comunicato.
A quelle dei prigionieri il silenzio di tomba. Fino a pochi anni
fa il Marocco ha rifiutato di riprendersi questi prigionieri, di metterli in
comunicazione con le famiglie. Semplicemente cancellati, come il Sahara
Occidentale dalla carta dell'Africa.

GUERRA SENZA MEMORIA

Scrupolosamente raccolti per essere analizzati, i materiali e i documenti
trovati addosso ai soldati o tra il loro equipaggiamento sono stati ordinati
dal Fronte Polisario in quello che progressivamente e' diventato un museo
della guerra. Armi leggere di ogni tipo, carri armati, cannoni, mine a
volonta', casse di munizioni, ordini dei comandi, lettere e fotografie.

Tra quest'ultime Esposito e' andato a frugare ricostruendo quella che ha
intitolato "Necessita' dei volti", una rassegna di immagini dei soldati
marocchini e dei loro familiari. Necessita' di dare corpo a questi volti
anonimi ricostruendo gli scenari e le responsabilita' della guerra. Qualche
data, qualche riga scritta in arabo sul retro, una dedica, una frase
affettuosa, un pensiero struggente per chi e' lontano permettono di
ricostruire alcuni itinerari di persone, il piu' delle volte contadini, come
testimoniano i luoghi e l'abbigliamento. Uomini mandati a fare una guerra
che doveva restare anonima, senza storia e senza memoria.

E' anche per combattere questa offensiva contro la memoria e per la
giustizia che i sahrawi si sono messi a raccogliere quante piu'
testimonianze possibili. La sofferenza di uomini, di donne, di figli, di
genitori marocchini, conservata sotto il velo di sabbia del deserto, deve
servire a restituire la memoria della sofferenza che tutto un popolo ha
subi'to e continua a subire ancora. Lo scopo dei sahrawi e' anche quello di
testimoniare come la guerra abbia lacerato non solo due popoli che avevano
vissuto per secoli in un pacifico scambio, ma lo stesso popolo marocchino.
Da questo punto di vista il significato di queste immagini e' eversivo.

Nonostante tutti gli attestati di buona condotta che sta ricevendo, l'
attuale regime marocchino continua a "oscurare" questa guerra. Lo testimonia
la censura dei temi piu' scottanti: il riconoscimento "dell'altro" (sospeso
il giornale che ha pubblicato la prima intervista a Mohamed Abdelaziz,
segretario del Fronte Polisario), la repressione nei territori occupati, e
naturalmente i prigionieri di guerra. Prendere coscienza di questa guerra,
delle sue (false) ragioni nazionaliste, dei suoi costi (ogni anno l'esercito
di occupazione spende esattamente l'importo degli aiuti dell'Unione europea
al Marocco), significherebbe spostare l'attenzione dalla propaganda alle
persone reali, ai loro problemi, alle sofferenze passate e presenti.

Lo hanno cominciato a capire gli stessi militanti per i diritti umani del
Marocco che, riuniti nel Forum verita' e giustizia, sono riusciti a marciare
all'inizio di ottobre attorno ad una delle prigioni piu' dure e mortifere
del mondo, Tazmamart. Qui sono morti alcuni degli oppositori di Hassan II. I
pochi che sono riusciti a resistere in quello che lo stesso Hassan II aveva
definito il "giardino segreto del re" ne portano un'impronta indelebile nel
corpo e nello spirito. I sopravvissuti e le famiglie delle vittime reclamano


la verita', la riabilitazione delle vittime, la restituzione dei corpi dei
deceduti sepolti nel carcere. L'accesso alla prigione e alle tombe e' stato
loro proibito, una troupe televisiva arrestata. Il regime ancora una volta
teme le immagini.

I volti dei sahrawi, dei soldati marocchini, degli oppositori rappresentano
la testimonianza di cio' che il regime e' stato e, in buona parte, continua
ad essere. Per questo c'e' la necessita' dei volti di uscire dal velo della
sabbia e dell'oblio. Quando quelle immagini potranno un giorno ritornare nel
paese e alle famiglie di quei volti, una parte della verita' sara'
ricostruita. Ma per i sahrawi come per i marocchini, l'attesa per la
giustizia si annuncia ancora lunga.



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