con preghiera di diffusione: Libia. Ultime menzogne di guerra e testimoni in loco
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- From: "p.donadello" <p.donadello at alice.it>
- Date: Tue, 23 Aug 2011 20:54:46 +0200
La guerra Nato in Libia, la quinta alla quale l'Italia
ha partecipato in venti anni, a cento anni dall'avventura coloniale in
Libia, continua com'è iniziata: con grandi menzogne e una continua
mistificazione, anche grossolana. Ignorando le vere cause. E con nessun
rispetto per le vittime, tante.
La Norvegia - paese più civile - si è ritirata.
L'Italia, serva in passato e ora, no.
Marinella Correggia
LIBIA. ULTIME MENZOGNE E OMISSIONI DEI MEDIA E VERITA’ DI TESTIMONI
RAGGIUNTI AL TELEFONO Marinella Correggia Menzogne di una notte insonne (anche sotto il fortunato cielo
italiano che nessuno bombarda dal 1945). Menzogne e arroganza fino all’ultimo in
una guerra cominciata e continuata con notizie false, in cui i media hanno avuto
il ruolo dell’aiuto carnefice. Solo la tivù russa Rt e quella venezuelana Telesur spiegano che è una vittoria
dovuta alla carneficina compiuta dalla Nato anche con droni ed elicotteri Apache
soprattutto negli ultimi giorni. Per la democrazia che il popolo libico merita,
dice il premier britannico Cameron. Peccato che in tutti i mesi scorsi proprio
la Nato e i “ribelli” avessero sempre lasciato cadere le proposte di libere
elezioni con controllo internazionale avanzate dal governo
libico. Cosa dicono i soliti media La Nato fa strage a Tripoli bombardando di tutto e uccidendo 1.300
persone in poche ore come denuncia Tierry Meyssan del Réseau Voltaire; ma Repubblica on line scrive che Gheddafi
bombarda la folla. Giusto un titolo, senza spiegazione, giusto un modo per non
perdere l’allenamento. La stessa Repubblica che non si è mai degnata di
chiamare soldati i membri –decimati - dell’esercito di un paese sovrano (erano
sempre definiti “mercenari e miliziani”), adesso chiama “soldati del Cnt” i
ribelli, tacciando invece di “pretoriani di Gheddafi” i superstiti soldati
libici (quelli non decimati dalla Nato). (A proposito: uno del Cnt, Jibril, ha
fatto appello ai suoi armatissimi “ragazzi” affinché diano prova di moderazione
e non attacchino gli stranieri e chi non li appoggia (il rischio è certo visti i
precedenti). L’Unità
scrive
che Tripoli “è insorta”, quando in realtà è occupata dai cosiddetti ribelli con
la copertura aerea della Nato e i civili cioè i disarmati se ne stanno rintanati
nelle case (vedi le testimonianze ottenute al telefono).
Il Corsera con il suo
embedded sceso dalle montagne insieme ai ribelli spiega enfatico che dopo la
“liberazione” di Zawya, “Tripoli si è sollevata” quando in realtà è stata
piuttosto atterrata dai bombardamenti. E Rai News 24? Peacelink
protesta con la redazione: “Nel vostro servizio avete nascosto il ruolo dei
bmbardamenti Nato, presentando i ribelli che libravano la Libia soli e festanti,
per acclamazione popolare; alterato il senso della risoluzione 1973 che non
prevedeva l’appoggio militare Nato agli insorti; taciuto il massacro in corso a
Tripoli; presentato prevalentemente il punto di vista Nato (e sempre ripetono la
storia dei mercenari neri e dei cecchini). Anche
il Fatto ci casca: “L'avanzata del Cnt
rallentata dal traffico e dal caos e da
centinaia di libici che
inneggiano alla fine del regime”; “I tripolini sono usciti per festeggiare
l’arrivo dei ribelli”. Ma centinaia di persone sono tante, in una metropoli? E
comunque la foto della festa viene da Bengasi… Tivù e
media vari pubblicano foto di feste in piazza. Ma solo alcuni dicono che non si
riferiscono a Tripoli ma a Bengasi appunto (da dove comunque decine di migliaia
di abitanti sono fuggiti nei mesi scorsi e non più tornati nel regno degli
uomini e dei bambini armati). Lo fa
rilevare Peacelink osservando questa galleria: http://www.time.com/time/photogallery/0,29307,2060413_2304634,00.html.
A Tripoli, sono i soli armati ribelli a festeggiare. Ma il fatto che si
mescolino le cose nella stessa galleria non è casuale. Per
dare l’idea di festeggiamenti che non ci sono, Cnn mette foto di festeggiamenti non
datati a Bengasi. Mentre la reporter
dice “vedo strade vuote, le immagini sono di folle festanti con bandiera
monarchica, però evocano Tripoli.
In un altro collegamento, la elmettata reporter spiega – non senza
ripetere la solfa del pericolo di cecchini di Gheddafi - che assolutamente
nessun civile nelle strade…allora chi sta festeggiando? Gli armati. E sempre il
titolo è “la Nato teme che Gheddafi possa colpire i civili”. Quindi pronti al
tiro al piccione. La cronista di Al
Jazeera con elmetto dalla
Piazza verde (il nome è già stato cancellato), parla di festa (e di paura per i
soliti cecchini di Gheddafi…) del
popolo libico, “vedete centinaia di
persone” (in una città con milioni di abitanti)...alle sue spalle si pressano
con la bandiera monarchica i
ribelli armati, ma per lei sono i civili, il “popolo”, “you can see how people
are excited, now they are in control of the capital”. La confusione voluta fra
civili e amati ha fato da leit motiv di questa guerra. Anche a Baghdad, il
giorno della caduta della statua di Saddam a opera di due marine Usa, gli
iracheni presenti si contavano in qualche decina…Un film già
visto. La mattina la Cnn parla
al telefono con la solita plurintervistata ottimo inglese libica diciannovenne
che dice che dopo 42 anni sono liberi di parlare al telefono (ricordo però che
gli oppositori a Gheddafi più che la mancanza di libertà mi evocavano, settimane
fa, “gli ospedali che non funzionano e le scuole dove non si studia bene
l’inglese”!); la tivù le chiede: “ma non c’è gente in strada, solo fighters?” e
lei conferma. Allora, le folle festanti? Anche la Reuters scrive:
“I ribelli entrano in Tripoli, la folla celebra”. Quale folla? Non c’è nessun
video né foto! Intanto nessuno parla degli ospedali, che dovrebbero essere al
collasso per troppi clienti. Parlano i testimoni Molti telefoni di persone incontrate a Tripoli poche settimane fa
non rispondono (“out of order”).
Per esempio Rafika, tunisina, ottimo
italiano, che lavorava alla mensa dell’ospedale Tebbe, chissà quanti feriti ci
sono adesso là. Ma qualcuno risponde. Mohamed,
giovane del Niger che vive a Tripoli da 3 anni (lavorava con i cinesi) e che si
arrovellava settimane fa su come spiegare al mondo la verità, adesso è rintanato
in casa: “Siamo impotenti anche noi. Chi è disarmato non può avventurarsi fuori,
dove tutti sono armati e si combatte. E’ terribile ma non possiamo che
aspettare. Spero che non ci sia un’altra carneficina”. Ieri diceva “hanno bombardato
intensamente anche vicino a casa mia, si è levata una grande polvere,
impossibile respirare. Stiamo in casa, e preghiamo, è il ramadan”. L’altro ieri,
prima degli ultimi sviluppi, chiedeva: “MA si sono viste lì le immagini della
strage di 85 civili a Mejer, sotto le bombe della Nato fra l’8 e il 9 agosto?
Sono sconvolto, anche perché qui i media internazionali non ne hanno parlato”.
Era impaurito sabato sera il cristiano pakistano Nathaniel, che già
settimane fa si chiedeva dove sarebbe andato con la famiglia dopo 21 anni in
Libia se gli islamisti fossero arrivati: “My sister qui bombardano di continuo,
e sembra che i ribelli siano vicini…non so cosa fare, dove andare, chi ci
proteggerà? Starò in contato con la cattedrale”. Oggi il suo cellulare non
sembra aver copertura. Se Nathaniel sapesse che forse è stata saccheggiata la chiesa a
Dara (e monsignor Martinelli è in Italia)…Così dice la statunitense JoAnne, da
mesi a Tripoli con suo marito per documentare negli Usa i crimini di guerra
della Nato e dei ribelli: “Siamo chiusi nell’hotel Corynthia, al centro di
Tripoli. Nessuno si avventura fuori. Gli Apache hanno ucciso molte persone e i
ribelli hanno armi pesanti…Doveva partire una nave proveniente da Malta, per
evacuare gli stranieri ma i ribelli l’hanno bloccata”. Chiusa in casa anche
Tiziana Gamannossi, imprenditrice italiana, l’unica rimasta a Tripoli, dove vive
a Tajura: “Sto in casa, non si chiude occhio. I festeggiamenti per l’entrata dei
ribelli? Ma se non c’è nessuno per
strada, ho faticato a trovare un amico che mi riportasse a casa ieri. La
disinformazione continua”. Anche Hana, libica che lavorava per una compagnia petrolifera, è
chiusa in casa, da parenti: “Ci siamo spostati perché la nostra casa è troppo
vicina a Bab El Azyzya”, qui è tranquillo ma nelle strade non c’è nessuno. Mi
hanno detto che volavano anche gli Apache, io non li ho visti vicino a casa. Sì,
abbiamo l’acqua e la luce e cibo abbastanza. Stiamo ancora digiunando per il
ramadan…fino a fine mese. Non avrei mai pensato che finisse così”.
Lizzie Phelan, giovane giornalista inglese indipendente, aveva un
blog che le è stato bloccato: “Poco prima avevo denunciato alla tivù russa RT il
fatto che Al Qaeda sia ben presente fra i ribelli arrivati a Tripoli. Qui
intorno al Rixos la situazione sembra adesso calma. Ma non si sa come evolverà.
Aspettiamo di andare, noi stranieri, in un’ambasciata, forse quella russa”. Non risponde il telefono di Zinati, quarantenne libico che da mesi
“abitava” con il suo computer su un tavolo all’hotel Rixos cercando di aiutare
il portavoce Mussa Ibrahim nei difficili rapporti con i giornalisti e con le
delegazioni: “Ero tornato qui in febbraio per sistemare delle cose e ripartire
per il Canada dove vivo da anni; invece sono rimasto, non potevo lasciarli così”
diceva settimane fa.
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