io stessa sono stata testimone quest'estate di un simile episodio di esclusione da un luogo pubblico di cittadini italiani in virtù della loro etnia, rom nel caso che ho denunciato io, neri in questo che vi segnalo:
Lettera pubblicata dal Fatto Quotidiano del 31-3-2010
Francois, Joseph e Jean Paul Frattini,
questi i nostri nomi. Suoni
francesi accostati ad un cognome tipicamente italiano. Non un'ambigua
scelta dei nostri genitori, bensì un'attestazione delle nostre origini.
Nati da madre haitiana e padre italiano, siamo cresciuti e abbiamo
vissuto tutta la nostra vita a Brescia. Ciononostante, la nostra pelle
porta con se la condanna di una discendenza troppo scomoda. Non è mai
passato inosservato il nostro colorito acceso, ma fatta eccezione per
qualche vile commento bisbigliato vigliaccamente sottovoce, abbiamo
sempre vissuto serenamente. Questo fino a poco tempo fa, precisamente
fino alla sera di venerdì 19 marzo, quando un atto di discriminazione
razziale ci ha coinvolti in prima persona.
Avevamo programmato una "serata tra brothers", scegliendo come meta
fortuita il locale molto noto Hotel Costez, situato nel centro di
Cazzago San Martino, già frequentato in passato da Joseph e Jean Paul.
L'ambiente abbastanza elegante e raffinato, ci impose una cura
particolare nell'aspetto e nell'abbigliamento: la politica di molti
locali moderni esige di adeguarsi a determinati standard. Nonostante
tali sforzi, ad una distanza di circa 10 metri dall'ingresso, fummo
bloccati da un buttafuori, che senza troppe remore, ci vietò di
entrare. Convinti si trattasse di un malinteso, chiedemmo chiarimenti.
La risposta ci sconcertò (ed è forse proprio da questa risposta che
deriva la più grande inquietudine): "Eh dai ragazzi, lo sapete!". Cosa
sappiamo? Ci ha forse scambiato per qualche giovane irrequieto con cui
ha avuto problemi in passato? Difficile, data l'unicità dei nostri
tratti somatici. Ciò che ben sappiamo e di cui andiamo fieri, è che
siamo neri, e questo ci impedisce di accedere ad un'area apparentemente
troppo vip per noi. Pochi secondi d'attesa e le paroline magiche furono
pronunciate: "Siete extracomunitari e non potete entrare." La
schiettezza con cui sostenne questa tesi e la totale mancanza di
rispetto per una categoria sempre meno tutelata, non fece che
rafforzare la nostra convinzione di voler entrare. Decidemmo di non
mostrare la carta di identità per provare la nostra italianità, e
continuammo nella parte che ci era stata assegnata. Il buttafuori,
armato di guanti in pelle pensati per queste ardue situazioni, continuò
a sostenere che era una regola e come tale non poteva essere violata.
Certo, una regola non scritta, ma non per questo meno valida. Dopo vari
tentativi, ci accordammo per restare nella zona esterna del locale,
confinati come cani. Non paghi dell'obiettivo raggiunto, ci
intrufolammo all'interno. Ma lesti gli auricolari comunicanti si
segnalarono la presenza di tre intrusi indesiderati. Un altro imponente
buttafuori, non più inibito o imbarazzato del collega, ci accompagnò
all'uscita. A nulla servì mostrare i documenti per intaccare le loro
ferree convinzioni: neri eravamo e neri restavamo. Questione di pelle.
Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana e premio nobel per la
letteratura, durante una conferenza del 1959, nei difficili anni
dell'apartheid, disse: "Non è possibile riuscire a contraddire fino in
fondo con i fatti un clima di privilegio. Noi abbiamo la parte migliore
di ogni cosa; come è difficile non sentire, in qualche angolo segreto
di noi stessi, che in effetti siamo migliori!" E allora ci chiediamo,
alla luce di quello che è successo, se questo stesso sentimento di
superiorità che ha indotto il proprietario di un locale a vietare
l'ingresso a tre connazionali perché non bianchi, sia diffuso a tal
punto da essere universalmente condiviso o quantomeno tollerato.
Probabilmente siamo stati fin troppo fortunati e abbiamo vissuto in una
bolla di cristallo che ci permetteva di vedere, ma al contempo essere
protetti. Ora ci sentiamo feriti e non abbiamo voglia di tacere ed
essere taciuti. Non abbiamo la pretesa di imputare situazioni analoghe
agli odierni sistemi di governo. Il pregiudizio non ha parte politica e
comunque non fa mai bene, da qualsiasi parte stia. Ma dopo 27, 28 e 34
anni vissuti in Italia, sentirsi estranei e discriminati nella propria
casa, ha fatto scattare qualcosa. Informare e raccontare quello che ci
è accaduto, é il mezzo non violento che abbiamo scelto per difendere
tutti coloro che non possono o non riescono ad avere voce in capitolo.
Sono tanti e tutto ciò non può più essere tollerato.
Le domande che ci poniamo oggi sono tante e forse molte difficilmente
troveranno una risposta razionale. Tra tutte, una spicca per bizzarria:
i buttafuori, si saranno accorti di essere extracomunitari? Perché
forse qualcuno dovrebbe spiegargli che hanno delegittimato la loro
stessa categoria.
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