Re: [africa] Alhassan - 24 anni



Il nove e dieci settembre, a Roma, nel quadro del G 8, si svolgeranno i lavori di un Congresso Internazionale contro le violenze sulle donne, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministero Pari Opportunità.

 

Isoke Aikpitanyi è una delle relatrici ufficiali.

 

E’ la prima volta che la voce delle vittime della tratta è ascoltata in un consesso istituzionale ed internazionale così vasto; per questo, pur avendo qualche remora e qualche preoccupazione, e temendo soprattutto di essere strumentalizzata,  Isoke ha accettato di partecipare.

 

La sua partecipazione, tuttavia, avrà un significato maggiore se quanti la conoscono e conoscono il lavoro del Progetto la ragazza di Benin City, vorranno attivare una mobilitazione di supporto, rafforzando la sua voce.

 

Crediamo che dar voce ad Isoke sia una cosa già abbastanza significativa, ma poichè le ospiti saranno tantissime e qualificate, ciò che Isoke dirà potrà essere ancor più significativo se non sparirà tra le argomentazioni di tante altre donne che saranno presenti in rappresentanza di governi, enti ed istituzioni, ma proprio per questo, potrebbe rappresentare i problemi in modo accademico.

 

A tutti proponiamo, quindi, di lanciare la notizia dell’evento commentando la partecipazione di Isoke, dando una qualche rilevanza mediatica al testo del suo intervento o ad una sua dichiarazione.

 

Progetto la ragazza di Benin City

 

 



Il 22/08/09, luisa.rizzo at alice.it <luisa.rizzo at alice.it> ha scritto:
LA TESTIMONIANZA. Ganese, 24 anni, racconta la fuga dalle guerre tribali e la traversata
Rinchiuso in una fattoria, ha preparato i pasti per centinaia di persone in partenza per l'Italia

Cuoco e prigioniero dei trafficanti libici:
"Così nascondono e fanno partire i migranti"

di STEFANIA PARMEGGIANI


Cuoco e prigioniero dei trafficanti libici: "Così nascondono e fanno partire i migranti"
ROMA - Dormiva a terra avvolto in un lenzuolo. Si svegliava all'alba e iniziava a cucinare, ogni giorno chili e chili di pasta. Non sapeva a chi fosse destinato quel cibo. Non poteva chiederlo agli uomini che passavano a ritirarlo perché non era permesso rivolgergli parola. Glielo avevano detto subito: non doveva fare domande, solo lavorare in silenzio senza lamentarsi e senza alzare gli occhi.

Alhassan Iddrisu, ghanese di 24 anni, per due mesi è stato rinchiuso in una fattoria a mezz'ora di strada da Tripoli, in balia dei trafficanti di persone, cuoco per i migranti in attesa d'imbarcarsi per l'Italia. Ha visto le case dove i clandestini vengono ammassati in attesa della partenza, ha aspettato in spiaggia sotto il controllo di uomini armati di bastoni. E' salito su un gommone ed è arrivato in Italia ignorando che fosse quella la destinazione del viaggio.

Non sapeva nulla del diritto all'asilo politico, non immaginava di poterlo chiedere, lavorava gratuitamente non per pagarsi un passaggio per l'Europa, ma solo per lasciarsi alle spalle la sua città. Doveva mettere quanti più chilometri possibili tra se e Yendi, il villaggio al confine con il Togo in cui era cresciuto. Se fosse rimasto avrebbe fatto la fine degli altri maschi della sua famiglia, ammazzato per strada.

"Mio padre partecipò agli scontri tra i gruppi Andani e Aboudow, perse la vita in seguito alla sommossa che nel 2002 depose e uccise il re Yaan-Naa Yakubu Andani II. Allora io avevo solo 17 anni. Mio fratello maggiore fu accusato di avere partecipato ai disordini e incarcerato, lo rilasciarono perché innocente ma nell'aprile del 2008 fu ucciso per strada da alcuni uomini della fazione Andani. Mia madre mi ordinò allora di scappare e due giorni dopo lasciai il villaggio con i soli vestiti che indossavo". Non aveva soldi e neppure documenti, non poteva andare a chiederli alle autorità, aveva troppa paura e poco tempo. "Mi ha aiutato l'autista della ditta per cui trasportavo sacchi. Mi ha fatto superare il confine e mi ha affidato a un uomo a cui credo abbia dato dei soldi. Non so se sia stata mia madre a pagare, da allora non ho più sue notizie, si è allontanata dal villaggio senza lasciare recapiti".

Alhassan ha oltrepassato diversi Paesi nascosto in un camion, ha attraversato il confine con la Libia a piedi e ha raggiunto Tripoli. Non sapeva dove nascondersi e come sopravvivere, era un clandestino senza denaro, senza un progetto, senza una via di fuga. Fino a quando non ha incontrato per caso alcuni trafficanti di uomini. "Hanno detto che mi avrebbero aiutato, dovevo lavorare e non fare mai domande. Mi hanno portato in una fattoria a mezz'ora di strada da Tripoli". Qui ha vissuto per due mesi insieme ad altri due uomini provenienti dall'Africa subsahariana, cucinando chili e chili di pasta ogni giorno. "Un giorno sono venuti a prendermi e mi hanno portato in un'altra fattoria dove c'erano una ottantina di persone, tutte di colore. Ho capito che era per loro e per persone come loro che avevo cucinato. A mezzanotte ci hanno caricato su un camion e portati su una spiaggia. Eravamo sorvegliati da quattro uomini con i bastoni in mano e alla vita cinture di proiettili". All'alba hanno consegnato a lui e ad altre 26 persone un gommone e una bussola. "Quando eravamo in alto mare ho chiesto dove stavamo andando. Ho saputo così dell'Italia. Eravamo senza cibo e acqua, ma abbiamo avuto fortuna: dopo quattro giorni una nave militare italiana ci ha raggiunti e portati a Lampedusa".

E' passato un anno, era agosto 2008. Adesso Alhassan sa in che mani era finito. Ha seguito in televisione l'ultima tragedia del mare e sa che le 75 vittime erano potenziali richiedenti asilo. Come lui che oggi si appella alla giustizia italiana. "La commissione gli ha rifiutato l'asilo politico - spiega Angela Tiraferri, referente del progetto di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati presso la Provincia di Rimini - perché con se non aveva documenti né prove in grado di dimostrare la persecuzione personale. Ha fatto opposizione al diniego e tramite un sacerdote di Yendi stiamo cercando di recuperare in Ghana i suoi documenti. Il certificato di nascita è già arrivato, su un sito Internet abbiamo trovato articoli che raccontano degli odi tribali nella regione chiamata Dagbon, dove si trova il suo villaggio. Stiamo cercando maggiori informazioni su suo padre e suo fratello. Non ci sono dubbi che se torna a casa rischia la vita".

In Italia, invece, studia e lavora. Ha appena concluso un corso di lingua italiana e tutti i pomeriggi svolge un tirocinio come magazziniere in un supermercato di Misano Adriatico. La sera alla televisione vede le immagini dei barconi al largo delle coste siciliane, i corpi scheletrici e disidratati di chi è andato alla deriva nel Mediterraneo. "Mi chiedo - dice - quante delle persone per cui ho cucinato siano riuscite ad arrivare qua".
 

(21 agosto 2009)

http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/cronaca/immigrati-10/rifugiato-trafficanti/rifugiato-trafficanti.html