R: [africa] La (in)certezza del diritto, del direttore rappresentanza Commissione Europea in Italia



le certezze dell'estimo valeria manini

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La (in)certezza del diritto
Editoriale di Pier Virgilio Dastoli, Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea
Vi è stata una stagione nel diritto umanitario  durante la quale gli orrori della seconda guerra mondiale hanno spinto Stati sovrani ed organizzazioni internazionali a sancire diritti fondamentali ed a creare organi e procedure per garantire il rispetto di questi diritti.
 
Il diritto d’asilo è un diritto umano fondamentale riconosciuto dall’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, così come lo è lo status di rifugiato garantito dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 alla quale si accompagnano altri strumenti internazionali come la Convenzione di Dublino del 1991.
La Costituzione italiana garantisce il diritto di asilo (articolo 10, comma 3) e la Corte di Cassazione ha riconosciuto a tale disposizione valore vincolante e non di semplice dichiarazione di principi (ancorché i principi, al contrario dei valori condivisi, producano effetti giuridici come avviene nel diritto comunitario) indicando che la norma della Costituzione è applicabile anche in mancanza di una organica disciplina legislativa.
L’Italia ha poi ratificato la Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati il 24 luglio 1954, con la conseguenza che le disposizioni di tale Convenzione fanno parte a tutti gli effetti dell’ordinamento giuridico interno italiano.
Nel ratificare il Trattato istitutivo della Comunità europea, l’Italia ha anche ratificato e quindi introdotto nel proprio ordinamento – secondo il principio incontestato ed incontestabile del primato del diritto comunitario – gli articoli 63 e 67: l’articolo 63 impone al Consiglio di adottare, entro un periodo di cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, misure in materia di asilo a norma della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del protocollo del 31 gennaio 1967; l’articolo 67 stabilisce un periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam e le procedure che sarebbero state applicate trascorso questo periodo transitorio. Al di là di questi complicati meccanismi, la disposizione dell’articolo 63 significa che la Convenzione di Ginevra del 1951 è entrata a far parte del diritto comunitario e che ad essa il diritto comunitario deve conformarsi.
Fra i paesi membri dell’Unione europea, l’Italia si distingue tuttavia negativamente perché la sua legislazione interna è priva di una normativa organica in materia di riconoscimento dello status di rifugiato e di individuazione dei diritti dei rifugiati stessi, mentre la procedura di asilo è disciplinata dall’articolo 1 della legge 39/1990 (la cosidetta Legge Martelli) non abrogato né modificato dalla Legge Turco-Napolitano del 1998; dal canto suo, la Legge Bossi-Fini del 2002 ha introdotto alcune modifiche alla procedura di asilo senza tuttavia disciplinare organicamente la materia. Come abbiamo ricordato altre volte, al contrario della grande maggioranza dei paesi europei l’Italia non si è dotata ancora di una normativa organica in materia di cittadinanza poiché il provvedimento all’esame del Parlamento fino alla primavera del 1998 è decaduto con la fine della legislatura e non ci sono segnali significativi della volontà dei partiti della maggioranza (né proposte dell’opposizione) per riprendere il cammino legislativo interrotto.
Come abbiamo scritto più sopra, la mancanza di una disciplina organica non consente all’Italia di violare impunemente le norme internazionali e quelle comunitarie così come è stato invece fatto a partire dall’ottobre 2004 fino al marzo 2005 quando il governo italiano autorizzò il rimpatrio forzato di cittadini stranieri verso la Libia per “decongestionare” l’isola di Lampedusa, provocando la reazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite e del Consiglio Italiano per i Rifugiati e l’approvazione di una risoluzione del Parlamento europeo il 15 aprile 2005 nella quale si affermava che “le espulsioni collettive di migranti verso la Libia costituiscono una violazione del principio di non-espulsione”. A dimostrazione del fatto che, contrariamente a quel che talvolta viene affermato, il Parlamento europeo non ha una volontà persecutoria nei confronti dell’Italia, va osservato che una risoluzione simile è stata adottata dall’Assemblea anche per condannare le autorità maltesi.
L’azione avviata ora dal ministro Maroni con il “ri-accompagnamento” collettivo e forzato di cittadini di origine africana in territorio libico e su navi italiane è ancora più grave ed ha suscitato reazioni fortemente negative non solo da parte di numerose organizzazioni umanitarie ma anche della Conferenza Episcopale Italiana. Una circostanziata e urgente richiesta di chiarimenti sulla compatibilità fra le iniziative italiane ed il diritto comunitario è stata inviata in questi giorni dall’on. Sandro Gozi al vicepresidente della Commissione europea Barrot, responsabile per gli affari interni e la giustizia. Pur senza entrare evidentemente nel merito delle recenti iniziative italiane, il Parlamento europeo ha adottato nella sua ultima sessione di questa legislatura una serie di emendamenti alla posizione del Consiglio nel quadro di un pacchetto di quattro atti comunitari, emendamenti che rafforzano la convinzione che il governo italiano stia agendo in totale spregio delle norme internazionali e comunitarie.
È difficile in questo quadro comprendere su quali elementi di fatto e di diritto si sia basato il Presidente del Consiglio Berlusconi quando ha affermato che il ri-accompagnamento collettivo di cittadini di origine africana verso la Libia su navi italiane e senza identificazione preventiva sia conforme alle norme comunitarie. Le dichiarazioni del Presidente Berlusconi sono state del resto accompagnate dalla sua contrarietà ad un’Italia “multietnica”, contrarietà che non tiene conto del fatto che – secondo i dati più recenti – nel nostro paese vivono legalmente oltre tre milioni e mezzo di cittadini non italiani, che rappresentano una popolazione pari a quella dell’intera Toscana.
Pier Virgilio Dastoli
Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea

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