Newsletter di informazione per favorire una cultura anti-razzista "dacchè razzismo c'è"n.2



Carissim@,
trovate qui in fondo un  documento della fondazione Michelucci e al link sottostante il nuovo numero della ricca e interessante newsletter "dacchè razzismo c'è - il razzismo spiegato da mia figlia"   "strumento di informazione e controinformazione per favorire la diffusione di una cultura anti-razzista ». Nasce dal lavoro collettivo di persone e associazioni che si battono da tempo contro il razzismo e per i diritti di cittadinanza e ora anche contro l'ambiguo neorazzismo "democratico".

Ci scusiamo con chi riceverà il messaggio più volte.
Buona lettura

Newsletter "Dacchè razzismo c'è n.2", cliccare sul link:
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Documento Fondazione Michelucci:

False evidenze

 

Definiamo l’espressione “false evidenze” con le parole di Umberto Galimberti: “L’immaginario sociale non riflette, ma inventa ragioni per costruire una pratica che, pur provenendo dalla cultura, possa esser letta come espressione della natura. Inventando senso e dandolo a ciò che non ne ha, l’immaginazione produce quelle false evidenze che poi diventano un modo legittimo di pensare e di agire, quindi un’abitudine, e perciò una seconda natura”. Pensieri, convinzioni, comportamenti che traggono forza e legittimazione dal loro appartenere all’immaginario dominante, e che per questo non hanno bisogno di essere dimostrate da fatti, dati o evidenze scientifiche.

Ne è stata profusa grande quantità a proposito di rom e/o rumeni, di paure, di sicurezza. C’è solo l’imbarazzo della scelta.

Prendiamo ad esempio la certezza della pena, o meglio l’incertezza della pena: per la precisione l’idea che rom e/o rumeni, appena colti in flagranza di reato, vengano accompagnati in Questura o in carcere e liberati dopo poche ore. Liberi di delinquere nuovamente.

Ad azzardarsi a chiedere la fonte di questa diffusa convinzione, continuamente rilanciata da mezzi di informazione e personaggi politici di ogni grado, si rischia di essere (se va bene) sbeffeggiati: "lo sanno tutti che è così".

Ma, a costo di risultare velleitari, proviamo a contrastare la diffusione di un senso comune che, almeno oggettivamente, finisce per alimentare convinzioni e atteggiamenti discriminatori e talvolta apertamente xenofobi.

I dati che seguono fanno parte di una ricerca svolta dalla Fondazione Michelucci sui detenuti stranieri nel carcere fiorentino di Sollicciano.

Il collegamento tra la crescita complessiva della popolazione detenuta e l’aumento del numero degli stranieri in carcere è ormai evidente, basti pensare che l’importante incremento della popolazione detenuta in Italia nell’intervallo 1996-2006 si spiega per oltre l’80% con l’aumento degli stranieri in carcere. Nello stesso intervallo temporale la forte crescita del numero dei detenuti in Toscana è dovuta per oltre il 98% alla crescita del numero dei detenuti stranieri, mentre nel solo istituto di Sollicciano, il più importante della Regione, l’aumento della popolazione si spiega interamente con l’aumento degli stranieri detenuti. Gli italiani nel frattempo sono addirittura diminuiti.

I molti stranieri a Sollicciano sono peraltro maggioranza ancora più schiacciate tra le persone in attesa di giudizio, mentre diventano minoranza solo tra coloro che sono sottoposti a condanna definitiva. In altri termini, a Sollicciano al 4/10/2007 solo il 16,7% degli stranieri (28,3% prima dell’indulto) stava scontando una condanna definitiva, mentre gli italiani erano il 32,4% (54,9% prima dell’indulto), e mentre il dato medio nazionale era al 30 giugno 2007, inclusivo di italiani e stranieri, del 38,7%, e addirittura del 61,6% al 31/12/2005.

I detenuti stranieri non sono solo la larghissima maggioranza tra quanti attendono una condanna definitiva. Anche tra quanti sono già stati condannati, le differenze con i detenuti italiani sono notevoli: colpisce soprattutto come gli stranieri scontino condanne in media decisamente brevi, per cui gli italiani verosimilmente non passerebbero nemmeno dal carcere.

Abbiamo raggruppato i detenuti a Sollicciano con posizione giuridica definitiva prima dell’indulto e alla data del 4.10.2007, in base alla entità della condanna inflitta: quanto più consideriamo le condanne brevi, tanto più lo scarto tra italiani e stranieri cresce. La soglia più significativa è quella dei tre anni, in quanto rappresenta il limite di pena per l’accesso alle misure alternative della semilibertà (prima dell’espiazione di metà pena), e soprattutto dell’affidamento in prova, ovvero della alternativa alla esecuzione della pena in carcere di gran lunga più diffusa.

Al 30/6/2007 in Italia i detenuti nel carcere fiorentino che scontavano una condanna inferiore ai tre anni erano il 26,7% dei definitivi (il 30.7% al 31/12/2005). Oggi a Sollicciano il 36,7% dei detenuti sta scontando una condanna definitiva inferiore ai tre anni. Questa percentuale scende però al 14,5% se si considerano i soli detenuti definitivi italiani, mentre sale addirittura al 59,7% se si considerano i detenuti definitivi stranieri. Ben oltre la metà dunque degli stranieri che a Sollicciano eseguono una condanna definitiva, scontano una condanna per cui è in astratto applicabile una misura alternativa, e per cui l’ordine di esecuzione della pena avrebbe potuto essere addirittura sospeso. In moltissimi casi si tratta dunque di persone che, se fossero state italiane, non sarebbero nemmeno passate dal carcere.

Ulteriore conferma a questa evidente differenza di trattamento viene dall’analisi dei dati relativi alle (peraltro scarse) misure alternative concesse. Dal reparto maschile di Sollicciano, con una presenza in passato superiore anche alle 900 unità, nel trimestre aprile-giugno 2006 sono usciti, tra affidamenti e detenzioni domiciliari, in tutto 20 persone (8 stranieri), e 54 sono andate agli arresti domiciliari. Si tratta di numeri decisamente esigui per un istituto delle dimensioni di Sollicciano, ma è un numero che fa ancora più impressione se disaggregato. Gli stranieri erano infatti a Sollicciano, alla quella data, 555 su 900. Più di due terzi erano in custodia cautelare, e tra i condannati, una buona metà aveva una condanna inferiore ai tre anni. È chiaro dunque che a Sollicciano c’è un gruppo molto ampio di detenuti stranieri dallo spessore criminale decisamente modesto. Ebbene, nel trimestre aprile-giugno 2006 sono usciti dall’istituto, in detenzione domiciliare o affidamento, solo 8 stranieri. Questo dato riassume pienamente la condizione degli stranieri in carcere: per loro, a parità di condotta rispetto ad un cittadino italiano, la carcerazione è più probabile e più lunga. Entrano in molti, moltissimi, ma sono poi pochissimi ad accedere ai percorsi trattamentali all’esterno. Hanno condanne più brevi, per condotte illegali più modeste, ma scontano più pena detentiva, spesso fino all’ultimo giorno della condanna inflitta.

La deriva che più o meno consapevolmente si sta invocando a gran voce per gli stranieri (ma, temiamo, non solo per loro: ce n’è anche per i poveri nostrani) è quella che negli USA ha provocato uno smisurato aumento dei detenuti e la fine della proporzione tra reato e pena, sintetizzata nello slogan “three strikes and you’re out” ovvero “tre sbagli e sei fuori”, tre rilievi penali anche non gravi e sei fuori dalla società e dentro il carcere, in una situazione di sostanziale ergastolo, nella quale sono sovrarappresentati i soliti noti: afroamericani e giovani latinos di provenienza immigrata. Massimo Pavarini l’ha definita “la neutralizzazione degli uomini inaffidabili”.

I più acculturati della schiera di coloro che gridano all’incertezza della pena ci spiegheranno, nonostante la difficile contestabilità dei qui dati riportati, che quel che conta è “la percezione della gente”, e che l’argomentazione razionale nulla può contro di essa.

E continueranno, irresponsabilmente, ad alimentare “false evidenze”, come quella della particolare inclinazione a delinquere di popolazioni o gruppi: oggi i rumeni, ieri gli albanesi, prima ancora i marocchini, da sempre i rom.

L’effetto sarà (è stato dappertutto) quello opposto a quello dichiarato: l’isteria securitaria non ha mai tranquillizzato nessuno, al contrario ha legittimato l’intolleranza, ha alimentato la discriminazione verso i più deboli, ha stigmatizzato categorie e gruppi (in particolare le minoranze immigrate).

Non sappiamo se tutto questo venga fatto nella speranza di non apparire troppo “buonisti”,  o nella cinica convinzione di guadagnarci qualche voto.

In tutti e due i casi, ricordiamo che chi semina vento raccoglie tempesta.

 

Fondazione Michelucci


 
 
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