Fwd:Quale vita per gli Slums?



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Riflessioni per aprire gli occhi su un fenomeno globale:
l'urbanizzazione. 





di p. Paolo La Torre





Slum dweller
Vivo e abito da tre anni in uno slum di Nairobi: Korogocho. Qui svolgo
la mia attività di missionario insieme ad altri missionari preti e
laici. Il ritmo della vita e del lavoro pastorale e sociale in uno slum
non permette tanto tempo da dedicare all'aggiornamento e alla lettura,
ma queste son cose per cui in tempo e\o controtempo e' importante
trovare il tempo. La lettura che ho fatto ultimamente e' stata quella
del libro di Mike Davis: "il pianeta degli slum", tale lettura mi ha
aiutato a capire il fenomeno dell'urbanizzazione in maniera più ampia.
Infatti le fonti e i dati dai quali M.Davis attinge sono precise e
frutto di minuziose ricerche e questo fa del libro un prezioso
strumento. La cosa più interessante che ho trovato nel leggere il libro
è stato il fatto che l'ho letto da uno slum ed ho cercato di
identificarmi con uno slum dweller. Vedere il suo "mondo" raccontato
mentre lo sta vivendo. E' stata tale lettura che mi ha ispirato questa
riflessione sugli slum e l'urbanizzazione, e la missione in queste aree
urbane. la riflessione che segue quindi e' un po' la presentazione di
alcuni punti importanti del libro, ed anche una sorta di critica di
certe posizioni, soprattutto la conclusione, dalle quali spero emerga un
contributo per incoraggiare il lavoro che tanti missionari fanno in giro
per il mondo in aree urbane come gli slum, e soprattutto con i loro
abitanti, eccessi di umanita' di un sistema economico ormai
insostenibile.
 

Il fenomeno urbanizzazione
L'urbanizzazione è uno dei fenomeni più sensibilmente percepibile in
questo tempo di globalizzazione. Come processo l'urbanizzazione si sta
svolgendo ad una velocità ancora più rapida di quanto avesse predetto
nel 1972 il club di Roma dove si tentava di delineare i limiti dello
sviluppo soprattutto in termini economici e abitativi.
Quello che succede a prima vista nel fenomeno dell'urbanizzazione è che
le città diventano la meta di flussi migratori di persone, famiglie e
popolazioni in cerca di realizzare il sogno della ricchezza a costo
zero, dell'affacciarsi a quelle che sono le piazze più attraenti,
affollate, caotiche e piene di contraddizioni e delusioni causate da
effimere gioie: le megalopoli.
Non conosco la storia dell'urbanizzazione, ma mi sembra di poter dire
che fino a un paio di secoli fa le città nascevano e si sviluppavano
intorno ad aree geografiche ottimali per la vita e il fabbisogno umano:
fiumi, colline, valli coste e golfi. In questo tempo di globalizzazione
il processo dell'urbanizzazione non sembra interessato a mantenere
ottimale ed abitabile le aree popolate: le città di un tempo nate
attorno a queste aree geografiche ottimali si stanno trasformando in
super città, mega città dove le stesse condizioni ottimali sono messe in
pericolo e violate da inquinamento di fiumi, trasformazione
dell'orografia, abbattimento delle barriere geografiche che rendono
questi paesi dei balocchi poco attraenti.
Ciò che costituisce il polo di attrazione delle città è il miraggio di
rifarsi la vita con un colpo di grazia da parte dell'idolo del momento:
il denaro.
Tante sono le motivazioni che portano singole persone e\o famiglie ad
emigrare in città; queste motivazioni cambiano da un contesto
storico-geografico all'altro. La cosa interessante  da notare è che
l'urbanizzazione è un processo che rende le città simili, uniformi nelle
forme e spazi. Questo processo poi ha un risvolto drammatico uguale in
tutte le città: la formazione di slums; questo risvolto è ancora più
drammatico perché non scoraggia ne corregge l'andamento di questo
processo.
Ogni megalopoli ha la sua larga quantità di popolazione che vive
baraccata in aree fatiscenti e poco ottimali per l'abitazione, queste
aree molto spesso sono di proprietà di privati o dei governi e quindi si
tratta di abitazioni informali, illegali, fantasmi.
Nel corso della lettura ho avuto un po' di difficoltà ad accogliere la
definizione di slum data dall'ONU proprio qui a Nairobi nel 2002. Slum:
"luogo caratterizzato da sovraffollamento, strutture abitative scadenti,
informali, accesso inadeguato all'acqua sicura e ai servizi igienici,
scarsa sicurezza di possesso".
La difficoltà ad accogliere questa definizione non è dal fatto che non
dica il vero di quanto accade in uno slum. La difficoltà viene dal fatto
che la vita di uno slum è in funzione della vita in città e del miraggio
do successo che essa rappresenta per molte persone. Per me una
definizione di uno slum dovrebbe tener presente non l'area abitata,
bensì gli abitanti, considerarli persone in cerca di vita e di riscatto
e dignità, fattori questi che la globalizzazione e urbanizzazione stanno
concentrando nelle città!! Infatti il caso del Kenya e dell'Africa
sub-sahariana è chiaro: i governi fanno pochi sforzi per incrementare e
sviluppare le aree rurali dei paesi: tutto è concentrato attorno a
Nairobi, Kinshasa, Lagos, Luanda, Adis Ababa.
Ogni tipo di intervento per risanare (upgrading) uno slum non puo'
prescindere da un intervento che miri a rallentare la concentrazione di
abitanti nelle citta' e questo avviene appunto se ci sono interventi
chiari di sviluppo nelle aree rurali. Forse e' la mancanza di tale tipo
di intervento che ha reso fallimentari la maggiorparte di risanamento
effettuati negli slum. 
Una stima di UN-Habitat del 2005 dichiara che un miliardo di persone
vive negli slum del pianeta, e tale massa di persone è destinata ad
aumentare man mano che la competitività del sistema economico produce
vittime che si rifugiano negli slum. L'aumento della popolazione negli
slum è causata anche dall'attrazione della bellezza delle città che con
le sue illusioni di un posto di lavoro e altre promesse effimere attrae
masse di persone che peggio per peggio sceglie il peggio più affollato,
colorito e accompagnato da una reggaeggiante colonna sonora a tutto
volume che in fin dei conti rende più sopportabile la sofferenza. 
L'attrazione verso le città ha qualcosa di molto simile ad uno stato di
trance nel quale musica colori e odori giocano un ruolo importante.
Trance da non-luogo dove si può essere uno nessuno e centomila allo
stesso momento.
Tutto questo fa degli slums la soluzione piuttosto che il problema.
Soluzione che molti trovano per poter essere cittadini del mondo o
soltanto per poter essere qualcuno. Certo non è la soluzione più
confortevole ma è una soluzione che fa bene a tutti, ricchi e poveri.
Infatti vivendo a Korogocho e in Nairobi questo mi si fa molto evidente:
Nairobi ed altre megalopoli hanno bisogno degli slums che sono i
contenitori di manodopera a basso costo e persone disponibili a fare i
lavori che altri non farebbero. E gli abitanti  degli slums hanno
bisogno di tali datori di lavoro per realizzare il sogno della ricchezza
a costo zero.
Enorme è la tenacia di molti nostri vicini di casa che ogni giorno vanno
a piedi in città a cercare lavoro o a lavorare come guardiani di una
città assediata dalla paura di essere derubata. Tale tenacia li porterà
ad avere un giorno una casa Ushagò (nel villaggio dove è nato o dove
vive il resto della famiglia) o più vicina alla città o in aree
"tranquille" e benestanti. "un posto al sole".sotto un "sole" sempre più
fiacco e dai colori grigi.
Pensando a questo strano bisogno reciproco tra ricchi e poveri
immaginavo a cosa succederebbe se questa massa di persone un giorno
incrociasse le braccia e facesse sciopero generale; la città di Nairobi
resterebbe paralizzata.solo perché i fantasmi non si sono presentati al
lavoro!!!
 

Urbanizzazione e povertà
M.Davis fa a questo proposito una analisi molto interessante,
precisamente nei capitoli 7 e 8.  Il capitolo 7 argomenta chiaramente
sull'inefficienza dei PAS. Infatti questi piani di aggiustamento
strutturale pianificati dai ricchi per salvare il loro futuro non hanno
apportato nessun miglioramento ai paesi poveri, anzi sono la causa del
loro impoverimento e collasso economico e sociale. Questo esito
drammatico dei PAS è risaputo e ben noto, ma continuano a costituire
l'illusione più assurda  di questa globalizzazione. Il capitolo 8 fa una
analisi molto intelligente e acuta dell'economia "informale" che
caratterizza  la vita negli slums. Ciò che noi consideriamo una umanità
il surplus è quella parte di umanità che come il resto di Israele nella
storia biblica ricostruisce Gerusalemme. È molto importante ricostruire
e recuperare le città e la società guardando all'archittettura economica
e abitativa dell'informale che forse è l'accenno all'alternativa di cui
il mondo ha bisogno per liberarsi da strutture economiche pesanti e
complicate e dall'illusione di uno sviluppo che non porta a niente uno
sviluppo insostenibile! Come l'età della pietra non si è estinta perché
erano finite le pietre, così l'età del petrolio e Hi-Tech non deve
aspettare la fine delle risorse energetiche per dichiarare la sua
inadeguatezza, il suo fallimento.
Come missionario sento la presenza e il lavoro nelle zone urbane non
solo come un nuovo areopago della missione, ma anche importante per
poter seguire il flusso migratorio delle persone alle quali dovrebbe
essere annunciato che la direzione della vita non è quella del paese dei
balocchi che ci rende tutti funzionali al sistema; la direzione è quella
del recuperare le città e ogni piccolo villaggio come una piazza di
incontri e partecipazione alla costruzione della società. Credo che
questo sia l'obiettivo della presenza in uno slum: stare, entrare nelle
dinamiche sociali per intervenire e avviare processi di risurrezione
della vita di persone marginalizzate dal sistema economico competitivo.
Ciò non è facile da realizzare soprattutto in città ripostiglio di
eccessi di umanità che sono gli slums dove la voglia di riscatto e di
vita dignitosa si manifesta attraverso relazioni violente e arroganti.
Questa cultura dello slum è una contraddizione come tante in questo
tempo di globalizzazione, tale contraddizione è però animata da un forte
desiderio di vita che merita comprensione e attenzione.
 

Conclusione per abitare questa storia
Gli slum potrebbero trasformarsi in vulcani pronti ad esplodere? Gli
abitanti possono trasformarsi in soggetto politico capace di "fare
storia"? Non è facile rispondere, molto dipenderà dalla capacità di
sviluppare una cultura di organizzazione collettiva, anche se i  poveri,
di solito, stanno zitti. La miseria non piange, non ha voce. La miseria
soffre, ma soffre in silenzio. La miseria non si ribella. Infatti, i
poveri insorgono solo quando pensano di poter cambiare qualcosa. 
La risposta a queste domande non è facile, ma condividendo la vita in
questo angolo di mondo constato che quello che nella definizione
dell'ONU è chiamato sovraffollamento di un area informale, per me è la
presenza massiccia di persone che è stufa del fatto che il mondo sia
pensato da pochi e dai più forti. Intervenire in uno slum per me
significa mettersi in cammino con il loro passo lento e sfrenato di
questa gente che vive con molta passione la vita e che vi resta
attaccata anche se deve vivere in una baracca sognando un grattacielo. E
questo mi fa sperare che gli abitanti degli slums sono capaci di fare
storia, la stanno già facendo. ritengo che questo grido di vita che
viene dagli slums e' una richiesta di risanamento (upgrading) del
sistema economico che diventa sempre piu' insostenibile, e quindi non si
puo' prescindere da questo grido di vita per il risanamento (upgrading)
degli slum.
Se mettere fine all'economia informale e dare agli abitanti di uno slum
case più dignitose significa farle entrare nella pazza corsa competitiva
della società di consumo e povera di vita, allora questo non è un
intervento che auspico per questo miliardo e mezzo di persone. Se invece
intervenire in uno slum significa comprendere come mai l'informale
genera vita, alternative e r-esistenza, e come mai una baracca ospita
più persone di un grattacielo, allora penso che vale la pena spendere
tempo  ed energie. Ogni intervento nel web globalizzato che è il mondo,
ha diversi punti di approdo. Se questi interventi\azioni sono attuati
con attenzione al sociale e con forza politica capace di influirne le
scelte dei governi e altre istituzioni, allora lavorare nello slum
significa anche mandare segnali alla maggior parte della popolazione del
mondo che in un fair play conveniente si accontenta di vivere la vita
con un basso profilo dove il centro di se stessi è fuori di se stessi:
nelle ricchezze materiali e possibilità di ottenerle per finire ad
essere ricchi di povertà umana.
Questa mia è una conclusione molto diversa da quella di M.Davis,
conclusione la sua molto apocalittica e funesta dove l'illusione dello
sviluppo benché vana trae un ultimo vantaggio dagli slums: depositi di
surplus di umanità facili da azzerare e distruggere in caso di lotta
all'ultimo sangue per il dominio del mondo da parte dei più forti.
Forse questa conclusione gli è stata dettata dal fatto che i dati, le
cifre e le statistiche benché aiutano a capire la realtà non la fanno
percepire nei suoi meandri dove si nasconde e cresce la forza vitale di
queste persone escluse dal sistema. La vita dei miei vicini di casa
rivela potenze e gioia di vivere non captabili da semplici dati.
Interrompo per l'ennesima volta questo scritto per andare ad aprire la
porta bussata da uno slum dweller che forse con il suo incrociare il mio
cammino mi farà capire qualcosa di più della vita negli slums, aspetti
che sicuramente non possono trasparire con una riflessione.
Auspico che questo tema dell'urbanizzazione e del risanamento del
sistema economico e degli slum sono temi che dovrebbero trovar posto nel
prossimo sinodo per l'Africa, il secondo: senza una riconsiderazione
della cultura e dell'economia della globalizzazione e della
urbanizzazione che sta invadendo l'Africa  con effetti nefasti, la
riconciliazione, la giustizia e la pace non sono possibili.
È un invito per me e per tutti noi a mettersi in ascolto di quanto la
realtà ci sta dicendo con queste continue sfide alla vita dell'umanità
di cui la globalizzazione e l'urbanizzazione sono veicolo. 
	
	
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