Burundi: la svolta autoritaria del governo Nkurunziza
Dopo un inizio promettente, a un anno dall’elezione, il
governo del presidente Pierre Nkurunziza sembrerebbe volersi avviare verso una
deriva autoritaria. Ultima dimostrazione, i recenti arresti di sette esponenti
dell’opposizione con l’accusa di “attentato alla sicurezza nazionale”.
Teresa Fierro
Equilibri.net (04 settembre 2006)
E’ di pochi giorni fa la decisione della Corte Suprema dello
Stato del Burundi di trattenere in custodia preventiva il gruppo di sette
persone arrestate a partire dal 31 luglio con l’accusa di aver tentato di
organizzare un colpo di Stato ai danni dell’attuale capo del governo Nkurunziza.
Tra gli indagati spicca il nome dell’anziano presidente Ndayizeye, fermato dalla
polizia burundese il 21 agosto nella capitale Bujumbura, all’uscita del palazzo
che ospita il Senato.
La lista di persone incriminate (tutte personalità
politiche esponenti dell’opposizione) comprende anche: Alphonse-Marie Kadege,
anziano vice presidente, membro dell’Unione per il Progresso Nazionale (Uprona –
ex partito unico, ora passato all’opposizione), Alain Mugabarabona, capo del
Fronte Nazionale di Liberazione (FNL) e Deo Niyonzima, segretario del Partito
per la Riconciliazione del Popolo (PRP). In un primo momento anche il vecchio
presidente Buyoya era stato sospettato di un coinvolgimento nel presunto
tentativo di golpe, ma non si è proceduto a nessun provvedimento nei suoi
confronti. Arrestato anche un giornalista di una nota radio privata, Alexis
Sinduhije, poi rilasciato.
Alla luce dei fatti, sorge un dilemma: si è
trattato di un vero tentativo di golpe sventato o di una macchinazione del
governo ai danni di un’opposizione sempre più pericolosa per il presidente
Nkurunziza (come molti sospettano)?
Gli stessi esponenti del governo hanno
più volte dichiarato di trovare troppo critica la voce dei partiti di minoranza
presenti in Parlamento.
Il governo Nkurunziza
Eppure, il governo del Presidente Nkurunziza, il primo ad
essere eletto democraticamente appena un anno fa (agosto 2005. Cfr.
Burundi: l’incerto percorso verso la democrazia) dopo 13 anni di guerra
civile che hanno sconvolto il Burundi, all’indomani del successo elettorale
sembrava essere partito con il piede giusto.
Pierre Nkurunziza è il primo
presidente hutu ad essere stato designato dopo anni in cui il potere è stato
concentrato nelle mani della minoranza tutsi, e, in particolare, avrebbe potuto
rappresentare un interlocutore credibile per addivenire ad un accordo con i
guerriglieri delle Forces Nationales de Libération (FNL) che ancora minacciano
la stabilità del Paese attraverso i ripetuti attacchi ai villaggi della
periferia.
Il compito del nuovo esecutivo si è fin dall’inizio dimostrato
arduo: fronteggiare il problema della ricostruzione e della riconciliazione
nazionale dopo anni di guerra civile, pacificare finalmente il paese e procedere
al risanamento di un’economia profondamente arretrata e priva di risorse su cui
puntare. Altra spinosa questione, quella del rientro dei profughi (stimati in
più di 400.000 unità) dai paesi confinanti della regione dei Grandi Laghi, in
particolare dalla Tanzania.
Appena un anno fa Nkurunziza era riuscito a
mettere in piedi un governo che raggruppava sapientemente tutte le diverse
componenti della società burundese: hutu, tutsi, donne e esponenti
dell’opposizione; inoltre, diverse centinaia di ex-guerriglieri erano stati
reinseriti con successo nelle fila del neonato esercito del Burundi.
Per
quanto riguarda la riforma del sistema economico, il Fondo Monetario
Internazionale era intervenuto con un programma di aiuti allo scopo di ridurre
l’inflazione, controllare il livello del debito e liberalizzare il mercato.
Nel programma di governo erano previste misure ultrapopolari quali l’accesso
gratuito per tutti all’istruzione primaria, ricoveri gratuiti presso tutte le
strutture ospedaliere del paese e un aumento del 15% degli stipendi dei
funzionari pubblici (la retribuzione media mensile è attualmente di 30 dollari).
Provvedimenti fino ad ora solo annunciati.
Tuttavia, attualmente, le
autorità si trovano a confrontarsi con diversi ostacoli e numerose difficoltà.
Sul piano della sicurezza, nessun risultato è stato raggiunto: i tentativi
di addivenire ad un accordo con gli esponenti del FNL per il disarmo delle bande
di guerriglieri ancora in azione nelle province sono attualmente in alto mare,
anzi, sembrano miseramente destinati al fallimento (Cfr.
Burundi: iniziati i colloqui di pace tra il governo e i ribelli delle FNL).
L’annosa questione del rientro dei profughi si intreccia a quella ancora più
spinosa della gestione della terra; molti rifugiati sono stati “costretti” a
rientrare (soprattutto dalla Repubblica Democratica del Congo-RDC e dalla
Tanzania) e si sono ritrovati a dover vivere in tendopoli precarie: i cosiddetti
“transit camps”, ovvero “sale d’aspetto” in attesa di poter riavere una casa. Il
governo, però, sembra deliberatamente rifuggire il problema, rinviando di
continuo la discussione dei provvedimenti necessari per un’equa redistribuzione
della terra.
Il grado di corruzione della classe politica al potere è
impressionante ed è causa di una sempre maggiore perdita di credibilità
dell’esecutivo, soprattutto agli occhi della comunità internazionale, ma anche
degli stessi cittadini. Il caso più recente ed eclatante di gestione poco
trasparente riguarda la vendita, nel giugno scorso, dell’aeromobile
presidenziale, un Falcon 50. La transazione, apparentemente effettuata per
permettere l’acquisto di un più sicuro, ha fruttato una cifra ben inferiore
rispetto a quella attesa (3 milioni di dollari incassati rispetto ai 5 milioni
proposti da un acquirente); un fattore questo che ha destato più di un sospetto
sull'effettiva finalità dell'operazione.
Diverse personalità di spicco, tra
cui il presidente del CNDD-FDD (Consiglio Nazionale per la Difesa della
Democrazia – Forza per la difesa della Democrazia, il partito di governo)
Hussein Radjabu, che alcuni considerano il vero detentore del potere in Burundi,
sarebbero implicate in questo scandalo.
Sintomo della ormai palpabile
sensazione di sfiducia della comunità internazionale nei confronti del governo
di Bujumbura è la recente decisione della Banca Mondiale, che avrebbe dovuto
accordare 70 milioni di dollari in aiuti per la ricostruzione, di congelare il
provvedimento e di rinviarlo a tempo indeterminato.
Anche l’Unione Europea
ha deciso di congelare il lancio di una serie di progetti per la ricostruzione
e, in più, reclama l’avvio di un’inchiesta in merito alla sparizione di 5
milioni di euro che erano stati stanziati all’avvio dei negoziati.
Le reazioni della comunità internazionale
La situazione dei diritti umani in Burundi non si discosta
dal quadro generale appena delineato e i recenti avvenimenti ne sono
un’ulteriore dimostrazione.
E’ infatti ben nota l’avversione del Presidente
nei confronti della stampa e delle televisioni locali, a suo avviso strumenti in
mano all’opposizione, e i suoi tentativi di limitare la libertà di espressione
dei cittadini.
Diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno
denunciato insieme agli stessi detenuti la terribile situazione delle carceri e
dei prigionieri, sistematicamente sottoposti a maltrattamenti e torture. In una
dichiarazione resa pubblica all’indomani degli arresti, rappresentanti dell’ONUB
(Operazione delle Nazioni Unite in Burundi) si mostravano estremamente
preoccupati riguardo alle accuse di maltrattamenti e invitavano il governo di
Bujumbura a far chiarezza sui fatti.
In risposta a queste infamanti accuse,
le autorità di Bujumbura si limitano a denunciare di essere vittime di una
campagna denigratoria orchestrata dall’opposizione e si lasciano andare a
dichiarazioni che provocano sconcerto dentro e fuori dal Paese.
Ramadhani
Karenga, ministro dell’Informazione, delle Comunicazioni e per i rapporti con il
Parlamento, portavoce ufficiale del governo, ha recentemente ribadito dinanzi
agli ambasciatori accreditati presso lo Stato del Burundi che l’esecutivo cui
appartiene gode di “un’ampia legittimazione democratica” sancita dalla
schiacciante vittoria del 2005.
Un atteggiamento a ragione giudicato
“arrogante” dal capo della missione ONUB, che di conseguenza ha deciso di
abbandonare il Paese e che, a tutt’oggi, non sembra intenzionato a rientrare
nonostante l’invito ufficiale del Presidente Nkurunziza. E’ tuttora in fieri la
situazione dei Caschi Blu di stanza in Burundi, per i quali era stata ventilata
la possibilità di una proroga del mandato oltre il termine del 31 dicembre 2006,
dato l’aggravarsi della situazione della sicurezza nel Paese.
Anche il
Ministro degli Esteri belga si è detto preoccupato dall’inasprirsi della
situazione e ha ufficialmente richiesto in particolare alle autorità che venga
fatta luce sui fatti relativi al tentato golpe e, soprattutto, venga rispettato
lo stato di diritto e la dignità dei prigionieri.
Conclusioni
La questione del tentato golpe complica ulteriormente le cose
all’interno di un quadro che di per sé risulta tutt’altro che roseo.
Appare
in effetti poco plausibile la presunta connivenza tra Domitien Ndayizeye, membro
del FRODEBU, e Alphonse-Marie Kadege, dell’UPRONA, dato il fatto che i rapporti
tra due non sono mai stati buoni e che le divergenze esistenti li hanno
costretti a dividersi alla vigilia della transizione democratica del Burundi. Il
governo, dal canto suo, afferma di detenere le prove del tentato golpe, ma ad
oggi non sono ancora state rese note.
Le persone incriminate continuano a
dichiarare di essere state costrette a confessare sotto tortura.
Il Burundi
non sembra attualmente incamminato verso la strada della democratizzazione e
della crescita, anzi sembra voler soccombere alla tentazione dell’autoritarismo,
in un contesto regionale sempre più teso e fragile.