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Sayad, "Algeria: nazionalismo senza nazione"
- Subject: Sayad, "Algeria: nazionalismo senza nazione"
- From: "palidda" <palitu at libero.it>
- Date: Sun, 31 Aug 2003 18:17:33 +0200
è stato publicato un inedito di Abdelmalek Sayad col titolo Algeria: nazionalismo senza nazione" editore Mesogea, Messina il volume comprende anche un saggio di Driss El Yazami, segretario generale della Lega Internazionale dei Diritti dell'Uomo Dopo l'11 settembre e la guerra permanente di Bush e suoi alleati in Afghanistan e ora in Iraq, le riflessioni proposte da Sayad sulle continuità e gli sviluppi della violenza insita nelle relazioni dominanti-dominati appaiono ancor più importanti. Negli ultimi anni della sua vita, Abdelmalek Sayad era assai amareggiato, demoralizzato e forse intimamente distrutto a causa di quello che succedeva nel suo paese. Ma, allo stesso tempo, se l'aspettava. Il colonialismo francese ha trasformato profondamente l'Algeria imponendo innanzi tutto la modernizzazione europea attraverso la pratica più brutale del potere. Come in numerose altre società colonizzate, da allora, in Algeria ogni riorganizzazione politica della società è stata pensata e realizzata secondo la concezione e la pratica moderne del rapporto potere-violenza, comune a tutto il mondo occidentale. L'affermazione dello stato-nazione e lo sviluppo economico e sociale hanno quindi ignorato la storia e le specificità delle società locali anche quando si palesava la presunzione di operare per l'adattamento o per le "vie nazionali". Non vi è stato alcuno "scontro di civiltà" o di religioni, bensì ha avuto luogo una sovrapposizione violenta del "moderno" su tutto il preesistente, che quando è riuscito a sopravvivere è stato relegato nella nicchia nascosta e irretito nella stigmatizzazione (il "premoderno", l'arcaico, il sottosviluppato, il primitivo, il selvaggio, il barbaro, l'incivile, il buzzurro, i "senza storia", la razza inferiore, il freno al progresso, e così via). Si capisce allora perché, al sopravvento del "lato oscuro" della modernità, l'unica alternativa che ha potuto esprimersi è stata quella dell'integralismo islamista, mentre ogni potenzialità di pensiero e d'azione per una prospettiva "equa e sostenibile" è stata distrutta oppure, laddove resisteva, non ha avuto diritto di espressione: il potere è tale perché sceglie e designa il nemico, lo alimenta e, se necessario, agisce in suo nome (i massacri perpetrati dai militari e attribuiti agli islamisti). La specularità fra potere e contropotere si manifesta nell'escalation della violenza estrema nei confronti del popolo e nella corruzione: alcuni integralisti intascano la "tassa rivoluzionaria" e assurgono al ceto dominante, grazie al perdono concesso loro dal potere che riesce in questo modo a recuperarli nei propri ranghi. Il caso algerino appare quindi come emblematico di quell'opera congiunta che il potere e il suo nemico "comodo" realizzano contro la vera alternativa democratica massacrando di volta in volta intellettuali, donne, giovani e semplici cittadini. Quarant'anni dopo la conquista dell'indipendenza, l'Algeria si trova in uno stato di "guerra civile" atroce che in dieci anni ha mietuto migliaia di morti. Si potrebbe persino dire che la "vendetta" più tremenda dei colonizzatori stia appunto nell'aver avvelenato con il seme della violenza endemica le società colonizzate per farne realtà decolonizzate a loro immagine e somiglianza, quindi "idonee" a recepire, produrre e riprodurre i conflitti direttamente o indirettamente esternalizzati dai "pacifici" paesi dominanti. Abdelmalek Sayad era nato nel 1933 a Aghbala, un piccolo villaggio della Kabylie. Interprete rigoroso dello spirito critico kabyl nei confronti dei diversi aspetti del colonialismo francese, aveva partecipato a modo suo alla lotta di liberazione dell'Algeria, diventando uno dei rarissimi intellettuali critici anche nei confronti di tutto ciò che nel campo algerino ricordava il dominio francese. L'incontro con Pierre Bourdieu all'Università di Algeri, quando era poco più che ventenne, si trasformò subito in un'intesa profonda fra due intellettuali particolarmente e costantemente impegnati in ogni sfera della loro esistenza contro la dominazione. La sua critica degli aspetti brutali e di quelli paternalistici del colonialismo francese non si confonde mai con l'anti-colonialismo che si proclamava marxista, né con quello dei terzomondisti allineati al "grande fratello" sovietico, né, ancora, con quello dei non-allineati poi finiti allo sbando o a destra. Come scrive Olivier Le Cour Grandmaison (Le Monde Diplomatique, giugno 2001) in un articolo su colonialismo e tortura "Quando Tocqueville legittimava i massacri", La guerra d'Algeria ha una lunga storia che ha inizio il 31 gennaio 1830, quando Carlo X decide di impossessarsi di Algeri. «L'avventura» è costosa: mobilita importanti effettivi militari ed è poco redditizia. Il 29 dicembre 1840, il generale Thomas Bugeaud inizia la vera conquista, con mezzi atroci: massacri, deportazioni in massa delle popolazioni, sequestri di donne e bambini usati come ostaggi, furto dei raccolti e del bestiame, distruzione degli orti e così via. Luigi Filippo prima, Luigi Bonaparte poi, premieranno gli ufficiali con promozioni prestigiose: I cumuli di cadaveri kabili e algerini permettono ai generali dell'esercito d'Africa di fare carriere brillanti. In un volume che appartiene alla letteratura apologetica, Pierre Montagnon scrive: «500mila? Un milione? La verità si situa probabilmente tra queste cifre. Abbassarle equivarrebbe a sminuire una terribile realtà» (La conquête de l'Algérie, Parigi, Pygmalion, 1986, pp. 414). Se si confrontano queste cifre con il numero totale degli abitanti, valutato dalla storica Denise Bouche, a «circa tre milioni» nel 1830, si può misurare meglio l'entità dei massacri (Denise Bouche, Histoire de la colonisation française, tomo 2, Parigi, Fayard, 1998, p. 23). «Ho spesso sentito in Francia uomini che io rispetto, ma che non approvo, giudicare disdicevole il fatto che si brucino i raccolti, che si svuotino i silos e che ci si impadronisca di uomini disarmati, di donne e di bambini. Si tratta, a mio parere, di necessità incresciose, ma alle quali ogni popolo che voglia combattere gli arabi sarà costretto a sottomettersi» scrive Alexis de Tocqueville. E aggiunge: «Io credo che il diritto di guerra ci autorizzi a devastare il paese e che dobbiamo farlo distruggendo le messi al momento del raccolto, oppure in ogni momento facendo rapide incursioni che si chiamano razzie e il cui scopo è di impadronirsi degli uomini o delle greggi» (Alexis de Tocqueville, «Travail sur l'Algérie», in Oeuvres complètes, Parigi, Gallimard, Pléiade, 1991, pp. 704-705). Sono le parole dell'autore de La Democrazia in America, scritte nell'ottobre 1841, dopo un soggiorno in Algeria. Egli ha a cuore la colonizzazione in senso lato e quella dell'Algeria in particolare e scrive lettere, vari discorsi, rapporti ufficiali e numerose osservazioni e analisi sparse. Tocqueville teorizza l'espansione francese nell'Africa del nord, studia il Corano e, al termine delle sue letture, il Montesquieu dell'800 conclude seccamente che la religione di Maometto è «la causa principale del declino (...) del mondo musulmano». Tocqueville può quindi essere considerato una importante figura della colonizzazione moderna, alla quale dedica molto tempo e molta energia nel decennio 1837-1847. Tuttavia, osserva Olivier Le Cour Grandmaison, in proposito gli specialisti francesi non scrivono molto, fingono di ignorare questo corpus così ricco, oppure ricorrono a eufemismi circa le posizioni del loro idolo, per non compromettere la sua immagine di liberale e democratico (fa eccezione Tzvetan Todorov, De la colonie en Algérie, ed. Complexe, Bruxelles, 1988 e «Tocqueville», in Nous et les Autres, Seuil, Parigi, 1989, p. 219-234). In realtà in tutta l'opera di Tocqueville si può scoprire il sostenitore della «dominazione totale» in Algeria e della «devastazione del paese». La realizzazione della colonizzazione consente di restaurare l'orgoglio nazionale che Tocqueville vede compromesso dall'«infiacchimento graduale dei costumi» di una classe media la cui propensione per i «piaceri materiali» guadagna l'insieme del corpo sociale attraverso «l'esempio della debolezza e dell'egoismo». Ironia della storia, come oggi per i vari pensatori dell'entourage di Bush, la guerra e la colonializzazione appaiono a Tocqueville rimedi ai mali sociali e politici di cui la Francia soffre. Perciò si pronuncia per misure radicali che consentano di impossessarsi dell'Algeria senza colpo ferire e di porre fine a dieci anni d'indugi. Dominare per colonizzare e colonizzare per garantire la perennità della dominazione. Quanto agli strumenti, il fine giustifica i mezzi... Dopo aver sostenuto il divieto di commercio per le popolazioni locali, Tocqueville aggiunge: «Le grandi spedizioni mi sembrano di quando in quando necessarie: in primo luogo per continuare a mostrare agli arabi e ai nostri soldati che nel paese non ci sono ostacoli che possano fermarci; e poi per distruggere tutto quanto assomigli a una aggregazione permanente di popolazioni, o in altri termini, a una città. Ritengo della più grande importanza che non si lasci sussistere né costruire alcuna città nelle terre di Abd el-Kader». Approva senza riserve il saccheggio dell'Algeria «facendo in tal modo vivere la guerra mediante la guerra». Tocqueville non punta solo sulla forza delle armi ma anche alla forza del diritto sovrano con l'istituzione di tribunali speciali capaci di una procedura che egli stesso chiama «sommaria». «Ci devono essere due legislazioni molto distinte in Africa, perché vi sono due società nettamente separate. Nulla vieta assolutamente, quando si tratti di europei, di trattarli come soggetti separati, perché le regole che si fanno per loro si dovranno applicare soltanto a loro». Tutto chiaro, preciso e conciso. Gli uomini giunti dalla gloriosa e illuminata Europa hanno diritto ai diritti. Quanto ai «barbari», essi non potranno accedere alle gioie dell'uguaglianza, della libertà e dell'universalità della Legge. Né oggi né mai; Tocqueville non fissa alcun termine. I crimini dell'esercito e dello stato francese in Algeria, le discriminazioni erette a principio e iscritte nel diritto: eccezioni? Una lunga storia che si ripete oggi in nome della lotta al terrorismo (Palestina, guerra in Afghanistan, Guantanamo, Iraq,...). E' alla fine del 2001 che due libri hanno provocato nuove polemiche a proposito della storia dei rappori fra Francia e Algeria. Si tratta della "confessione" del generale Aussaresses, militare e agente segreto incaricato fra il '55 e il '57 delle peggiori azioni di cui è stato capace il colonialismo francese. Allo stesso tempo è stato pubblicato il libro di testimonianza di Louisette Ighilahriz, una militante dell'FLN, torturata nel '57, mentre alcune dichiarazioni contraddittorie dei famigerati generali Massu e Bigeard, hanno rilanciato il dibattito sulle resposnabilità dello stato francese nella pratica delle torture durante la guerra d'Algeria. Mentre il PCF (che all'inizio della guerra fu per l'Algeria francese) ha chiesto una nuova inchiesta parlamentare, Jospin ha deciso per una commissione di storici. Allo stesso tempo la condotta ambigua se non apertamente solidale con il regime colonialista e torturatore di Mitterrand è ormai fortemente denunciata . Ma nel processo contro il generale Aussaresses la Corte d'Appello ha confermato che non si poteva perseguirlo per "crimini contro l'umanità". cfr. Olivier Le Cour Grandmaison, "Quando Tocqueville legittimava i massacri", Le Monde Diplomatique, giugno 2001 segnalo anche Abdelmalek Sayad, Histoire et recherche identitaire, editore Bouchène, Parigi, 2002 Présentation : . Dans cet entretien d’une extraordinaire densité, A. Sayad évoque la nécessaire reconstruction de l’identité nationale algérienne, forgée jusqu’ici exclusivement contre le colonialisme. La sortie de cette impasse implique la construction de l’histoire, « l’histoire au service de la recherche identitaire. » : « l’aliénation coloniale à laquelle la décolonisation n’a pu mettre fin, jointe à l’aliénation post-coloniale qui lui a succédé … ont fait de la sorte qu’il n’est d’histoire de l’Algérie qu’une histoire mutilée…Renouer les fils de l’histoire, restaurer la continuité de cette histoire, ce n’est pas simplement une nécessité d’ordre intellectuel ; c’est, aujourd’hui, une nécessité d’ordre éthique en ce qu’elle a sa répercussion sur tous les actes de la vie quotidienne de chacun d’entre nous, sur toutes les représentations qu’on se donne de nous-mêmes, de notre position au sein de la société dont nous sommes - ou serions - les émigrés… » per chi non li la letti, AAVV, Ratonnades à Paris, 1996 (prefazione di Pierre Vidal-Naquet) Alain-Gérard Slama, La guerre d'Algérie : histoire d'une déchirure, Ed. Gallimard, coll. Découvertes, 2001, 176 p. Einaudi J.L., Octobre 1961, un massacre à Paris, Fayard, 2001 Guha R., Spivak G.C., Subaltern Studies. Modernità e (post)colonialismo, Verona, Ombrecorte, 2002 (introduzione di E. Said e presentazione di S. Mezzadra) Harbi M., "Potere e violenza in Algeria", Le Monde Diplomatique, luglio 2002, pp.1 e 12-13; Maschino M.T., "Da Jules Ferry a Massu, per il diritto di dominio delle razze superiori", Le Monde Diplomatique, luglio 2002, p.14; Mauffok G., "un paese sospeso fra progresso e disperazione", Le Monde Diplomatique, luglio 2002, pp. 14-15; Mokhtar K., "Quella noia mortale del giovedì sera", Le Monde Diplomatique, luglio 2002, p.15 Mouffok G., "Lotta di clan o lotta di classe? La rivolta algerina chiusa in un triangolo", Le Monde Diplomatique, luglio 2001 Olivier Le Cour Grandmaison, a cura di, 17 octobre 1961: un crime d'État à Paris, edizioni La Dispute, Parigi, 2001 Rahola, F., “Differenze postcoloniali”, in Contemporanea, Il Mulino, Bologna, febbraio 2003; Rahola, F.,“In mezzo alle diaspore”, in aut aut 298/2000; Sayad A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle illusioni dell'immigrato, Milano, Cortina, 2002
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