GUERRA PER IL PETROLIO



La Stampa - Martedì 27 Marzo 2001

GUERRA PER IL PETROLIO E FONDAMENTALISMO UNA APOCALISSE DIMENTICATA DELL’
AFRICA

  «Fermate il genocidio dei nuba»

 Un missionario denuncia la tragedia sudanese



IL silenzio è un’arma di guerra come le bombe e i fucili. Despoti e
occupanti se ne servono affinchè il loro operato si svolga senza clamore. I
nuba, piccolo popolo sudanese, sono uccisi dal silenzio. Leni Riefenstahl,
geniale regista degli anni trenta ammalata d’Africa, aveva acceso i
riflettori per un attimo sulla loro statuaria bellezza. Oggi nessuno può
portare la macchina fotografica nei «campi della pace». Perchè il governo di
Karthoum li chiama proprio così: feroce ironia per definire i lager in cui
vengono rinchiusi vecchi donne e bambini rastrellati nei villaggi, catturati
sulle montagne di una delle regioni più belle e disperate dell’Africa. Nel
Sudan le guerre, da vent’anni, sono come un gomitolo che si aggroviglia
sempre più rendendo impossibile alla fine trovare il capo: il nord musulmano
contro il sud cristiano e animista, la sharia come cappio per imporre il
controllo economico e politico; e poi la lotta per il controllo dell’acqua,
il Nilo, che si avvia a diventare una ricchezza strategica per cui vale la
pena uccidere e morire; e ancora la vergogna della schiavitù praticata come
ai tempi del Madhi e di Gordon Pascià. Ma la maledizione si chiama
soprattutto petrolio. Via via che le prospezioni scoprono nuovi pozzi, l’
esercito nordista e musulmano sparge sempre più a sud, come una nube di
cavallette, la sua jihad petrolifera. Il bottino è gigantesco: quattrocento
milioni di dollari l’anno, e, ogni giorno, un milione di questi dollari
serve per saldare le parcelle della guerra.
Le popolazioni del sud, trascinate nei campi della pace, sono testimoni da
eliminare: non devono vedere i tecnici delle compagnie (la PetroChina
colosso di Pechino che per singolare combinazione è anche il principale
fornitore d’armi al regime di Karthoum, ma anche canadesi e alcune delle
sette sorelle camuffate dietro anonime partecipazioni azionarie) che
perfezionano il grande saccheggio.
Così due milioni di persone schiacciate tra i raid dell’esercito e il pugno
di ferro dei guerriglieri che ne imitano spesso i metodi mortiferi,
dipendono dall’aiuto umanitario. In tutto il sud, denuncia «African Medical
And Research Foundation», ci sono dieci dottori e dieci ospedali scalcagnati
per sei milioni di persone. Negli Stati Uniti congressisti legati ai
fondamentalisti protestanti hanno appena inviato un ultimatum al presidente
Bush perchè decida misure militari, come una «No fly zone» stile iracheno,
per fermare il genocidio dei cristiani. Il Sudan, accusato di essere una
retrovia accogliente per il terrorismo fondamentalista potrebbe diventare il
Nuovo Grande Nemico.
Padre Renato Kizito Sesana, missionaro comboniano, l’uomo che da tredici
anni cerca di spezzare il cerchio di silenzio attorno al genocidio dei nuba,
è scettico: «Il segretario di Stato Colin Powell ha definito il Sudan la più
grande catastrofe umanitaria della storia. Ha ragione, ma è strano che lo
abbia scoperto solo ora, dopo vent’anni di guerra civile? Non vorrei che il
nuovo interesse americano fosse collegato alle nuove prospezioni petrolifere
che alcune settinane fa hanno rivelato l’esistenza di giacimenti ancora più
ricchi nel sud».
Padre Renato più volte l’anno, quando la guerra ha fiammate di stanchezza,
torna sulle montagne inzuppate di sofferenza in cui vive il suo popolo
dimenticato. Grandi mazzi di bimbi lo festeggiano come un eroe disarmato, l’
unico che spezza il grande assedio della indifferenza. Con un aereo porta
medicinali, sementi, libri per le scuole raccolti dalla organizzazione
umanitaria «Amani». «Il regime ha considerato sempre le terre nuba zona
proibita anche per le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie -
racconta - Solo pochi mesi fa l’Unicef ha ricevuto l’autorizzazione per una
modesta campagna di vaccinazione. Queste sono terre fertilissime, che
sfamano la capitale da sempre. Il regime del nord le ha tolte a questa
popolazione di abili, tenaci contadini. Ma la colpa più grande dei nuba è
qualla di essere musulmani che rifiutano il centralismo di Karthoum».
Il padre comboniano, che è in Italia per cercare sostegno alla sua azione
umanitaria, non crede che il nodo dela tragedia sudanese sia la religione:
«Tra i nuba la gente porta contemporaneamente un nome cristiano, musulmano e
tradizionale. Porre l’accento sul fattore religioso è un errore che alimenta
e allarga questa tragedia. la tragedia del Sudan è un problema di diritti
umani».