[Volontariato] DIREZIONE KOBANE giorno 1 - DIARIO DI VIAGGIO DI COOP NONCELLO



“SE LA DONNA È SCHIAVA LO È ANCHE L’UOMO

LO DICONO DONNE E UOMINI DEL KURDISTAN”

Destinazione Kobane Giorno 1 - Diario di viaggio di Coop Noncello

 

Pordenone - Kobane

 

"Se la donna è schiava lo è anche l'uomo, lo dicono le donne e gli uomini del Kurdistan”, lo riferisce Lucia Zaghet dal confine turco-siriano, a 2 chilometri dalla martoriata Kobane, che continua a resistere all’avanzata dell’Isis. Alvise Rossi fa conoscenza con i bambini dei campi profughi, mentre Stefano Mantovani tesse reti e incontri. La carovana di Coop Noncello si sta muovendo in direzione di Kobane, la città liberata dai curdi: prosegue su www.nelpaese.it, quotidiano nazionale online di Legacoopsociali, il racconto di Stefano Mantovani, presidente di Noncello, e di Lucia Zaghet, della Scuola sperimentale dell’Attore di Pordenone, con loro anche Alvise Rossi, sempre di Noncello. Strano chattare via Facebook con Stefano Mantovani stamattina, ci siamo dati il buongiorno alle 7.45, erano a Urfa nel Kurdistan turco e stavano per partire verso Diarbakir. Ieri sono arrivati fino al confine con la Siria. Ecco il giorno 1 del loro viaggio. (Fabio Della Pietra)

 

Stefano Mantovani

Oggi giornata tra i campi profughi, mentre giungevano le notizie da Francoforte. Parlerò di ciò che abbiamo visto e incontrato, pur sapendo che quanto accade qui, sul bordo estremo dell'Europa, è in fondo interconnesso con le politiche del centro dell'Europa.

Qui sul bordo, attraversando il disastro, ho sempre più l'impressione che, nonostante tutto ci sia qualcosa di straordinario: la dignità, l'umanità ed il rispetto sono ovunque e nei racconti e nei volti di donne, uomini e bambini che affollano i campi profughi, come rifugiati o come cittadini solidali.

Primo passaggio della giornata: nel centro sociale kurdo in Suruc incontriamo in delegazione rappresentanti della municipalità e Fayza Abdi, la Copresidente del Consiglio Legislativo di Kobane. Ci raccontano la storia della regione Rojava e di come la municipalità di Suruc soltanto, senza alcun aiuto dello stato turco, stia gestendo a questa emergenza, ma ci fanno soprattutto una richiesta importante, da divulgare: chiedono che Europa e Turchia si impegnino da subito ad aprire un corridoio umanitario che permetta lo sminamento della città, nonchè il ripristrino delle infrastrutture (energia, acqua, fognature). La popolazione civile sta cercando di tornare alle proprie case e bisogna garantire un minimo di sicurezza e di collegamenti.

Nella città di Suruc ci sono parecchi campi profughi: la stessa dista da Kobane non più di 10 km ed è il primo rifugio che può trovare chi fugge dalle atrocità.

Siamo entrati, anzi siamo stati accolti come ospiti, in due campi profughi: il campo Arin Mixan e il campo Kobane, e devo ammettere che per molti motivi sono rimasto colpito emotivamente: non solo per la visione di questa umanità accampata (neonati, bambini, donne, uomini, vecchi ...), ma soprattutto per la loro gestione autonoma e per l'integrazione con la città stessa. Laggiù tutti si sono dati da fare per l'accoglienza, generando spontaneamente un'autogestione diffusa, dove profughi e cittadini si integrano nella cogestione dell'emergenza.

Dopo il momentaneo rifiuto alla nostra richiesta di attraversare il confine e raggiungere Kobane, ci siamo comunque avvicinati al confine siriano fino a quando abbiamo potuto vederla, a 2 km da noi. Oltre un grande prato, sotto le colline in lontananza, Kobane è ridotta ad uno scheletro martoriato. Una postazione militare sopra una collina controlla la linea di un confine impalpabile. Sul prato tra noi e le macerie due ragazzini giocano al pallone.

Un vecchio si avvicina e ci racconta del disastro, delle persone che scappano via e che appena possono provano a tornare, ma ci racconta anche della loro paura quando, di notte al buio, persone cattive forse dell'Isis, forse scortate dai turchi passano di li per entrare in Siria.

Una ragazza vuol sapere chi siamo e poi ci racconta che lei è scappata da Manbij città a 60 km a sud ovest di Kobane dove la popolazione kurda era in minoranza. Li l'intervento dell'Isis strategicamente ha messo le etnie l'una contro l'altra, sostenendo la cacciata violenta della popolazione kurda.
Lei conclude con: "Kobane resiste - ma nella mia città non tornerò"

(Stefano Mantovani - presidente coop sociale Noncello)

 

Lucia Zaghet

Nei campi profughi, nelle città e nei villaggi non del tutto abbandonati e non ancora riconquistati, la faticosa e quotidiana riorganizzazione continua. Continua la costruzione mattone su mattone di una pratica di democrazia che ha resistito allo svilupparsi e al degradare dei molti conflitti che riguardano il territorio del Kurdistan.

Questa pratica si basa sulla fedeltà all'etimologia: governo del popolo. E perchè sia il popolo a governare va formato, educato. Non si rinuncia quindi a prendersi cura dei bambini e dei giovani, che sono tanti. A parlare con loro, a organizzare talvolta improvvisando in condizioni difficilissime, scuole, classi di insegnamento. E perchè siano le persone a governare non va esclusa una buona metà della popolazione.

Le donne entrano nel governo e nella gestione della cosa pubblica, non per concessione nè per rappresentare una minoranza, ma perchè uomini e donne non immaginano un'amministrazione che non sia insieme, per il bene di tutti: uomini e donne. Per dare corpo a questo «insieme», hanno quotato già da tempo nella regione del Rojava una partecipazione maschile al 40%, una femminile pure al 40%, mentre il restante 20% viene affidato sulla base delle competenze e delle professionalità necessarie, indipendentemente dal sesso di appartenenza.

La gestione di ogni quartiere dei campi profughi è coperta da una figura femminile e da una maschile.
Nonostante le ristrettezze e l'estrema emergenza, ogni campo profughi ha una , dove esse possono discutere, confrontarsi per la soluzione dei problemi.

Hanno superato tabù e resistenze lunghe secoli, per prendere le armi in una situazione dove il combattere non si distingue dal sopravvivere. Se la donna è schiava lo è anche l'uomo, dicono le donne e gli uomini del Kurdistan.

(Lucia Zaghet, della Compagnia sperimentale dell'attore in Kurdistan con Coop Noncello)

 

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Fabio Della Pietra

Ufficio Stampa

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