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Da: Davide Bertok <davide.bertok at tiscali.it>
Data: 05 giugno 2008 18:51:34 GMT+02:00
Oggetto: [Fwd: Fwd: diffondete !!!]



-------- Messaggio Originale --------

RISCHIO KRSKO

*LA CENTRALE NUCLEARE DI KRSKO*effetto-chernobyl02.jpg La centrale
nucleare di Krsko rappresenta uno dei maggiori rischi per la sicurezza
dell'Italia settentrionale, dell'Austria meridionale (Carinzia), della
Slovenia e della Croazia.
La centrale di Krsko ha in funzione un reattore Westinghouse da 632 MW
che fin dall'inizio dell'attività (iniziata nel 1983 con 5 anni di
ritardo sui tempi previsti causa problemi tecnici) ha manifestato
numerosi problemi. Una Commissione Internazionale nominata, su pressioni
di Austria ed Italia, per verificare gli standard di sicurezza della
centrale già nel 1993 espresse 74 raccomandazioni sui cambiamenti
tecnici e procedurali necessari per adeguare l'impianto alle più severe
normative dell'UE. Uno dei principali problemi dell'impianto è
costituito dalle incrinature dei generatori di vapore che determinano
perdite (con fuoriuscita di radionuclidi che vengono dispersi
nell'atmosfera); questo problema è d'altronde noto presentandosi in
tutte le centrali che utilizzano il reattore Westinghouse. Per cercare
di tamponare questo grave inconveniente, nella primavera del 2000
vennero installati due nuovi generatori dalla NEK in seguito ad
un'accordo sottoscritto con il consorzio Siemens/Framatome. Il costo di
tale intervento fu di 205 milioni di marchi.
Dopo questo intervento venne approvato un aumento della produzione del
6% (45 MW) con i conseguenti rischi di sovrasfruttamento del reattore e
senza che i problemi dei generatori fossero stati definitivamente
risolti. Attualmente la centrale ha una produzione superiore ai 700 MW.
Altro problema per la sicurezza della centrale riguarda il rischio
sismico. Il sito di Krsko è infatti uno dei meno adatti per localizzarvi
una centrale nucleare vista la presenza di faglie (cancellate nello
studio geologico prodotto per il progetto). L'incertezza sul rischio
sismico è rimasta insoluta negli anni, poichè anche lo studio finanziato
dall'Unione Europea in vista dell'ingresso della Slovenia era di portata
limitata; infatti esso utilizzava un solo metodo di indagine (sismica a
riflessione), arrivava solo a una profondità di 3000 metri, prendeva in
considerazione un'area di soli 10 Km e non si estendeva oltre i confini
della Slovenia.
I primi risultati dello studio sono disponibili dall'autunno del 2000,
ma non sono stati resi pubblici. E' comunque evidente che, secondo il
progetto originale, Krsko non sarebbe in grado di resistere ad un
terremoto molto forte. La faglia che passa vicino alla centrale nucleare
è all'origine dei disastrosi terremoti che ciclicamente colpiscono
l'area e che hanno completamente distrutto Lubjiana due volte negli
ultimi 500 anni (1511 e 1895).
Altro grave problema per la sicurezza è quello relativo allo smaltimento
delle scorie radioattive. La Slovenia non ha una destinazione finale per
i rifiuti nucleari, ma solo due siti di stoccaggio temporaneo, e la
questione di una soluzione definitiva per i rifiuti prodotti nella fase
operativa e dallo smantellamento (previsto dopo il 2024) è stata
differita al termine del funzionamento dell'impianto.
Dopo l'ingresso nell'UE la Slovenia avrebbe dovuto trovare una soluzione
definitiva per lo smaltimento dei rifiuti nucleari (problema irrisolto),
migliorare la sicurezza generale dell'impianto e garantire uno status
indipendente all'Autorità di sicurezza nucleare.
La centrale nucleare di Krsko è tra quelle a maggiore rischio esistenti
nei paesi dell'est europa entrati o in procinto di entrare nell'Unione
Europea. Questo l'elenco degli impianti ad alto rischio di incidenti:
Kozlodui 1 - 4, Kozlodui 5 - 6 (Bulgaria), Ignalina 1 - 2 (Lituania),
Dukovany 1 - 4, Temelin (Rep. Ceca), Cernavoda 1 (Romania), Bohunice 1 -
2, Bohunice 3 - 4, Mochovce 1 - 2 (Slovacchia), Krsko (Slovenia), Paks
(Ungheria). La centrale di Krsko è tra queste quella con le maggiori
probabilità di incidente catastrofico.
Nonostante questa situazione tuttaltro che tranquillizzante il governo
sloveno sta valutando la possibilità di ampliare la centrale sostituendo
il vecchio reattore che esaurirà la sua vita operativa entro il 2030,
con uno nuovo di potenza di almeno 1.000 Mw. Krsko 2 avrebbe il
vantaggio di appartenere esclusivamente alla Slovenia (la vecchia
centrale è un'eredità della vecchia Jugoslavia ed è stata divisa tra
Slovenia e Croazia) senza quindi gli attuali condizionamenti sulla
fornitura di energia previsti dagli attuali accordi con la Croazia.


LE CONSEGUENZE IN CASO DI INCIDENTE RILEVANTE ALLA CENTRALE DI KRSKO
(LIVELLO 7 DELLA SCALA INTERNAZIONALE DEGLI EVENTI NUCLEARI - INES)

Escludendo gli incidenti di bassa intensità, che avvengono purtroppo con
una frequenza elevata nella centrale a causa di una progettazione
difettosa (ricordiamo i gravi problemi ai generatori di vapore con
dispersione di radionuclidi nell'atmosfera) ci occuperemo del rischio di
incidente catastrofico determinato da un sisma di magnitudo pari a 9
gradi della scala Mercalli Siebert. La centrale non risulta infatti
secondo gli standard di sicurezza europei e statunitensi essere in grado
di sopportare un terremoto di tale intensità. Il rischio di una reazione
nucleare a catena (tipo Chernobyl) con surriscaldamento del nocciolo del
reattore sarebbe quindi elevato con conseguente dispersione
nell'atmosfera di ingenti quantitativi di gas e materiali radioattivi
(aerosol di combustibili - uranio e plutonio - e prodotti di fissione
quali iodio 131, stronzio 90, cesio 137) che, a seconda dell'altezza
raggiunta (in caso di esplosione del nucleo del reattore i radionuclidi
arriverebbero a qualche Km di altezza) e delle condizioni metereologiche
ricadrebbero su un territorio di vaste dimensioni abbracciante oltre che
la Slovenia e parte della Croazia, l'Italia settentrionale e centrale
(in particolare sarebbe fortemente colpito il Triveneto) e l'Austria
meridionale (Carinzia). Le città maggiormente esposte sarebbero Lubiana,
Zagabria, Klagenfurt, Villach, Graz, Trieste, Gorizia, Udine, Venezia,
Treviso, Padova, Vicenza, Verona.
Si possono individuare le seguenti fasce di esposizione (si definisce di
seguito la dose assorbita espressa in Gray e si prendono in
considerazione solo le zone che sarebbero interessate da una ricaduta di
radionuclidi con dirette conseguenze sulla popolazione):
- entro i 150 Km dalla centrale con esposizioni comprese tra 10 e 50 Gy
(Lubiana, Zagabria, Pola, Fiume, Trieste, Gorizia, Klagenfurt, Villach,
Graz). In particolare Trieste in caso di venti forti da nord - est
(bora) verrebbe investita dalla nube radioattiva entro due ore
dall'incidente.
- tra i 150 e i 250 Km con esposizioni comprese tra 5 e 10 Gy (Udine,
Pordenone, Pola, Venezia, Treviso, Belluno).
- tra i 250 e i 400 Km con esposizioni comprese tra 2 e 5 Gy (Padova,
Vicenza, Verona, Rovigo, Ferrara, Mantova, Brescia, Trento, Bolzano,
Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ravenna, Rimini, Forlì, Ancona, Firenze
Salisburgo, Innsbruck, Monaco).
- tra i 400 e i 500 Km con esposizioni comprese tra 0,5 e 2 Gy (Milano,
Bergamo, Piacenza, Pavia, Cremona, Sondrio).
Complessivamente, da un incidente catastrofico alla centrale di Krsko,
verrebbero colpite circa 30 milioni di persone di cui circa 5 milioni a
rischio di vita.
I valori di dose radioattiva sono calcolati prendendo a riferimento
l'unico incidente di questo tipo verificatosi, ovvero quello di Chernobyl.
Le zone interessate dal Fall - Out radioattivo sono indicative in quanto
sulla reale esposizione sono determinanti le condizioni metereologiche
al momento dell'incidente.


LE MISURE DI PREVENZIONE IN ITALIA

Difronte ad una situazione così grave, quali sono le misure di
prevenzione messe in atto in Italia (ovvero il paese che verrebbe
maggiormente colpito dalla catastrofe nucleare)? La risposta è purtroppo
sconfortante: nessuna!
Esaminiamo ora il caso della regione Friuli Venezia Giulia, direttamente
confinante con la Slovenia e che per prima ed in maniera più pesante
dovrebbe subire le tragiche conseguenze del fall - out radioattivo.
In base al Decreto Legislativo n° 230 del 17 marzo 1995, modificato ed
integrato dal D.Lgs 241/2000, in attuazione delle Direttive
89/618/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, lo
Stato deve provvedere alla tutela della popolazione potenzialmente
esposta a eventi incidentali negli impianti nucleari tramite la
realizzazione di Piani di emergenza (art. 115). I piani di emergenza
devono essere realizzati oltre che per gli impianti esistenti sul
territorio nazionale, anche per aree con rischio di incidenti nucleari :
a) in impianti al di fuori del territorio nazionale;
b) in navi a propulsione nucleare in aree portuali;
c) nel corso di trasporto di materie radioattive;
d) che non siano preventivamente correlabili con alcuna specifica area
del territorio nazionale.
Parte fondamentale dei Piani di emergenza è la campagna di informazione
della popolazione che, come stabilito dall'art. 129 è obbligatoria; le
informazioni devono essere sempre accessibili al pubblico e devono
essere fornite senza che la popolazione debba richiederle.
L'art.. 130 prevede che la popolazione venga regolarmente informata e
regolarmente aggiornata sulle misure di protezione sanitaria ad essa
applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul
comportamento da adottare in caso di emergenza nucleare.
L'informazione deve comprendere almeno i seguenti elementi:
a) natura e caratteristiche della radioattività e suoi effetti sulle
persone e sull'ambiente;
b) casi di emergenza radiologica presi in considerazione e relative
conseguenze per la popolazione e l'ambiente;
c) comportamento da adottare in tali eventualità;
d) autorità ed enti responsabili degli interventi e misure urgenti
previste per informare, avvertire, proteggere e soccorrere la
popolazione in caso di emergenza radiologica.
Responsabile dell'attuazione dei dispositivi dei Piani di emergenza e
dell'informativa alla popolazione previsti dalla Legge è il Prefetto che
si avvale di un Comitato del quale fanno parte i rappresentanti delle
forze dell'ordine, dei Vigili del Fuoco, del Servizio Sanitario
Nazionale, del Genio Civile, dell'Esercito, della Marina, dell'ANPA,
degli Enti locali (Regione, Provincie, Comuni). La Direzione Civile
Nazionale (Presidenza del Consiglio dei Ministri) deve essere
costantemente aggiornata dei Piani di emergenza locali per potere
coordinare un'emergenza di vasta scala che coinvolga più regioni.
Nella regione Friuli Venezia Giulia (ma lo stesso vale per le altre
regioni Italiane che verrebbero coinvolte in caso di incidente a Krsko)
il D.Lgs n. 230 del 17 marzo 1995 viene completamente disatteso non
venendo attuata quella che è la base di qualsiasi seria campagna di
prevenzione ovvero l'informazione e l'addestramento della popolazione
all'emergenza nucleare. I piani di emergenza vengono gelosamente
custoditi nei cassetti, forse nella speranza che mai si verifichi un
serio incidente.

Le conseguenze della mancata campagna di prevenzione sarebbero
gravissime in caso di fall - out radioattivo. La popolazione impreparata
ad affrontare l'emergenza sarebbe presto preda del panico con risultati
disastrosi. Riferendosi solo alla città di Trieste, la più vicina a
Krsko, si pensi che, la nube radioattiva potrebbe raggiungere la città
in sole due ore dall'incidente nel caso in cui vo fossero forti correnti
da nord est (bora). I tempi di reazione dovrebbero essere rapidissimi e
ogni cittadino dovrebbe sapere cosa fare senza attendere improbabili
comunicazioni da parte degli Enti pubblici (se l'incidente capitasse di
notte come si riuscirebbe ad avvisare la popolazione?).


LE STRUTTURE PER GESTIRE L'EMERGENZA

In caso di incidente nucleare dovrebbero essere impiegati i reparti
operativi specializzati della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco,
delle forze dell'Ordine (Carabinieri, Polizia), dell'Esercito e della
Marina. Questi reparti avrebbero il compito di verificare il livello di
inquinamento radioattivo e garantire alla popolazione gli
approvigionamenti necessari, i trasporti ai centri di decontaminazione,
nonchè di organizzare l'evacuazione nei centri di raccolta al di fuori
dell'area di rischio. Solo nel caso della provincia di Trieste si
tratterebbe di gestire circa 250.000 persone in un'ambiente fortemente
contaminato. A causa della contaminazione, la popolazione non potrebbe
utilizzare l'acqua degli acquedotti e la maggior parte delle riserve
alimentari presenti nell'area contaminata (l'assunzione di alimenti
contaminati determina delle conseguenze irreversibili). Per espletare
quest'opera immane non sarebbero sufficenti i circa 8.000 volontari
della Protezione Civile regionale, che oltretutto non hanno una
preparazione valida per affrontare tali emergenze (si consideri che a
Trieste la Protezione Civile Comunale non è nemmeno operativa!), e le
poche centinaia di uomini messi a disposizione dalle forze dell'ordine e
dalla forze armate. La dotazione di questi reparti, in materia di
inquinamento radioattivo inoltre è largamente incompleta; mancano le
tute NBC e le maschere antigas (con gli opportuni filtri), i rilevatori
di radiazioni , , , i dosimetri personali (che consentono di vedere
quante radiazioni si stanno assorbendo e quindi permettono di non
superare la soglia di rischio), i contatori geiger. Si renderebbe quindi
impossibile utilizzare tutti i reparti allertati, vuoi per
impreparazione del personale, vuoi per mancanza di attrezzature.
Analogo discorso per le strutture sanitarie, dovrebbero essere
attrezzate i centri di decontaminazione in cui dovrebbero essere accolte
le persone contaminate (che dovrebbero essere curate in sale predisposte
appositamente in cui si dovrebbe procedere al lavaggio dei pazienti) che
dovrebbero essere, nei casi più gravi ospedalizzate e curate con
iodoprofilassi. Il personale sanitario, trattando le persone irradiate,
è sempre a rischio di contaminazione (rilascio di liquidi corporei,
ferite dei pazienti con perdite di sangue, vomito, feci, urine) e senza
la possibilità di sostituzione.
Si consideri che nelle prime fasi di un'incidente nucleare rilevante la
popolazione, senza avere potuto avere una campagna di informazione per
ridurre i rischi di esposizione, verrebbe pesantemente contaminata
rendendo necessari i ricoveri (solo nel caso di Trieste) di decine di
migliaia di persone. Le strutture sanitarie non sono attrezzate per
gestire una tale massa di pazienti (può essere garantita al massimo
l'assistenza a poche centinaia di persone) necessitanti oltretutto di
cure specialistiche estremamente complesse e di lunga durata. Tutto
questo si verificherebbe inoltre in un'arco di tempo limitatatissimo di
poche ore (gli interventi di decontaminazione devono essere realizzati
rapidamente nelle prime ore in cui il paziente è stato irradiato per
avere qualche speranza di successo).


LA MANCANZA DELLA CAMPAGNA DI INFORMAZIONE PREVENTIVA

Ecco perchè, difronte ad uno scenario di questo tipo, che porterebbe ad
una catastrofe di proporzioni enormi, è assolutamente necessario
procedere ad una seria campagna informativa della popolazione attuando
semplicemente quanto previsto dalle leggi esistenti. Per ridurre in
maniera esponenziale il numero delle vittime di un deprecabile incidente
nucleare catastrofico, basterebbe informare i cittadini in particolare
su come:
- isolarsi nelle unità abitative sigillandole anche con materiale di
fortuna (sigillare le finestre con teli di plastica)
- evitare l'assunzione di cibo e liquidi contaminati (quindi niente
acqua di rubinetto e verifica della radioattività dei cibi)
- rivolgersi agli Enti preposti (specificare quali) a gestire
l'emergenza nucleare (dovrebbero essere subito resi noti i numeri
telefonici dei centri operativi che dovrebbero assistere i cittadini).
Dovrebbero essere comunicate ai cittadini quali sono le strutture
antiatomiche (gallerie, grotte ecc.) esistenti nella propria città e le
modalità di accesso alle stesse.
Dovrebbero essere inoltre resi noti quali sono i centri di raccolta
previsti per l'evacuzione della popolazione (altrimenti in caso di
emergenza si genererebbe il caos) e quali sono le procedure di
evacuazione previste.
Dovrebbero essere forniti, non solo alle unità operative di emergenza,
strumenti di misura delle radiazioni (ad esempio ai gruppi già attivi
nel settore - vedasi associazioni di volontariato che operino nel
settore ambientale o sociale) per consentire un efficace controllo delle
esposizioni a livello territoriale. Tutto il personale coinvolto
dovrebbe essere regolarmente addestrato all'utilizzo delle apparecchiature.

Le maggiori responsabilità della mancata campagna di informazione
preventiva e dell'addestramento della popolazione in caso di emergenza
radioattiva sono sicuramente da ascrivere a carico della Direzione
Nazionale della Protezione Civile (Dipartimento della Presidenza del
Consiglio) che, dovrebbe provvedere a verificare in tutte le regioni
italiane:
1) l'esistenza dei piani di emergenza
2) la loro applicabilità
3) le campagne di informazione della popolazione condotte a livello locale
4) la reale preparazione dei reparti assegnati alle emergenze nucleari.
La Direzione Nazionale dovrebbe inoltre fornire, alle autorità locali,
tutto il materiale informativo da distribuire alla popolazione ed anche
i kit di emergenza da consegnare ad ogni famiglia nelle zone a rischio
(quelle in cui esistono i piani di emergenza). I kit dovrebbero contenere:
1) 1 Dosimetro (per verificare la dose di radiazione assorbita nelle
abitazioni e il livello di contaminazione degli alimenti)
2) Almeno 4 tute protettive (compresi i guanti e gli stivali di gomma)
per famiglia (la tute una volta contaminate devono essere buttate)
3) Teli di plastica in numero sufficente per sigillare le finestre di
un'abitazione di 100 m
4) Almeno 4 maschere antigas per famiglia compresi i filtri.

--
Alessandro Vuan

Address:
Dipartimento "Centro di Ricerche Sismologiche"
Ist. Naz. Oceanografia e Geofisica Sperimentale Borgo Grotta gigante 42c
34010 Sgonico, Italy

email: avuan at inogs.it <mailto:avuan at inogs.it>
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