La cancellazione del debito è una svolta storica, ma da sola non basta



La cancellazione del debito è una svolta storica, ma da sola non basta
Intervista ad Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell'Africa all'Università di Torino

ROMA, lunedì, 13 giugno 2005 (
ZENIT.org).- Il Presidente degli Stati Uniti Geroge W. Bush e il Premier britannico Tony Blair hanno confermato in questi giorni il loro impegno per lo sviluppo del continente africano, rinnovando e ampliando l'entità dei fondi di cooperazione e facendosi promotori dell'iniziativa di azzerare il debito estero di numerosi Paesi.

Ma siamo davvero a una svolta storica? ZENIT lo ha chiesto ad una grande conoscitrice dei problemi del continente africano, la professoressa Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell'Africa all'Università di Torino, che dal 1981 al 1993 ha lavorato nell’Africa Orientale compiendo numerose ricerche.

Crede che quello compiuto dal Presidente Bush e dal Premier Tony Blair sia un passo notevole che ridarà slancio e speranza al continente africano?

Bono: Effettivamente gli Stati Uniti hanno di recente triplicato i loro contributi allo sviluppo dei Paesi più poveri e la Gran Bretagna, che quest'anno presiede il vertice G-8, ha elaborato in vista dell'appuntamento previsto per il 6-8 luglio un intenso programma di interventi coordinati, per realizzare il quale occorre che i Paesi coinvolti mettano a disposizione quanto prima almeno lo 0,7 per cento del loro Pil con la prospettiva di arrivare al più presto all'1 per cento.

Inoltre è notizia del momento che, su proposta di USA e Gran Bretagna, i ministri finanziari del G-8 riuniti a Londra hanno concordato di cancellare i debiti multilaterali di numerosi Paesi, vale a dire i debiti contratti con organismi internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e la Banca Africana per lo sviluppo, per un ammontare di 40 miliardi di dollari.

Il provvedimento a effetto immediato riguarda 18 Paesi, 14 dei quali africani. Nei prossimi 12-18 mesi è previsto l'azzeramento dei debiti di altri 9 Paesi, tutti africani, per un totale complessivo di 55 miliardi di dollari. Per finire, altri 11 Stati, 10 africani, beneficeranno del condono non appena i loro governi rispetteranno le condizioni poste (democrazia reale, buon governo, trasparenza).

Che si tratti di un'iniziativa "storica" dipende dalla sua portata: indubbiamente è utile, poichè sgrava gli Stati indebitati da considerevoli oneri finanziari, e in fin dei conti è inevitabile, dato che comunque molti governi stentano a pagare anche solo il servizio sul debito. Ma guai a considerarla una conquista, una vittoria, come tendono a fare certi osservatori poco avveduti.

In realtà è come tagliare un arto in cancrena per salvare una vita: in sostanza è l'ammissione del fallimento di 50 anni di aiuti allo sviluppo tradottisi in debiti astronomici, e in un corrispondente danno per i creditori, perché il denaro prestato, così come quello fornito a titolo di dono, non è stato investito in attività direttamente o indirettamente produttive, ma è andato in gran parte sprecato.

A confermare la disfatta giungono proprio in queste settimane i rapporti redatti dalle agenzie ONU. Un unico dato basta a illustrare la gravità della situazione: mentre risorse straordinarie affluivano in Africa, la speranza di vita alla nascita dei suoi abitanti nell'ultimo decennio è scesa da 52 a 46 anni.

Agli inizi di luglio ci sarà il G-8, quali sono le prospettive per lo sviluppo dell'Africa?

Bono: Non è la prima volta che si azzerano i debiti esteri e che si intensificano le iniziative per combattere la povertà. Come in passato, il futuro degli africani è prima di tutto nelle loro mani. Determinante è costringere le leadership africane a governare e amministrare davvero nell'interesse collettivo e inoltre adottare formule di cooperazione che lascino libero spazio ai privati e al mercato.

In Africa si stanno moltiplicando gli organismi di buon governo e trasparenza, non passa settimana senza che si voti in qualche Paese per rinnovare parlamenti e amministrazioni, le Comunità economiche del continente promettono l' abbattimento dei dazi e la libera circolazione di persone e merci.

Ma le commissioni anticorruzione spendono tutto il denaro disponibile senza risanare i loro Paesi e poi si dimettono, come è appena successo in Kenya, le istituzioni democratiche si rivelano meri simulacri, dove non si è affermato il valore della persona umana, e finiscono per legittimare dittature anche decennali (Zimbabwe, Gabon, Uganda), formalmente elette a suffragio universale; per la libera circolazione di beni e persone, poi, non bastano le dichiarazioni d'intenti, occorrono strade e piste ben tenute, sicure da agguati e aggressioni, costellate di distributori di benzina regolarmente riforniti, di parcheggi, di alberghi.

Troppo spesso l'Africa - questa è la lezione che si ricava dalla storia degli ultimi decenni - dà ragione alla studiosa camerunese Axelle Kabou che concluse il suo celebre libro “E se l'Africa rifiutasse lo sviluppo?” scrivendo: "l'Africa del XXI secolo o sarà razionale o non sarà". Si pensi, ad esempio, che la parziale cancellazione del debito dell'Uganda si è risolta in un danno: i capitali resi disponibili sono stati usati in parte per garantire a tutti i bambini ugandesi il diritto allo studio; ma, senza un progetto ben concepito, sono serviti soltanto a far sì che si passasse da una media di 60 allievi per classe a 100 e anche 150 bambini.

Quali sono i progetti che servono all'Africa, ed in che modo la Santa Sede e le missioni cristiane potrebbero contribuire allo sviluppo del continente?

Bono: Le missioni cristiane costituiscono una risorsa preziosissima, una rete capillare di punti di lavoro, promozione umana, formazione e assistenza. Potrebbero svolgere, e di fatto già lo fanno, la funzione che ebbero i conventi benedettini nella costruzione della civiltà occidentale moderna.

Quali progetti, quali contributi? Bastano tre parole per spiegarlo: "Ora et labora". Ha funzionato in una parte del mondo, può funzionare ovunque.