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[LUNGO ] iovanni Paolo II, un papa moderno per un progetto reazionario






da le monde  diplomatique versione italiana


http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/index1.html

Nel corso del suo 96esimo viaggio, in Azerbaigian e Bulgaria, Giovanni Paolo
II, che ha appena compiuto 82 anni, non ha potuto dissimulare la
degradazione del suo stato di salute, tanto che due cardinali hanno
suggerito le sue dimissioni. A ventiquattro anni dalla sua elezione al
soglio di Pietro, è giunto il momento di tracciare un bilancio del
pontificato di Karol Wojtyla. Un pontificato che, nonostante tutte le sue
contraddizioni, ha portato avanti soprattutto un'opera di restaurazione
dottrinale e morale della Chiesa.

di François Houtart*
La vista di un uomo anziano, stanco, malato, che continua nonostante tutto a
farsi carico di un compito immane, desta un senso di rispetto, simpatia o
pietà. L'attaccamento di immense folle popolari, in tanti paesi del mondo,
continua a essere impressionante. Una personalità che unisce a un vasto
sapere la conoscenza di numerose lingue, un comportamento sportivo, un reale
coraggio fisico, una profonda spiritualità, la fedeltà nell'amicizia e una
grande forza di persuasione suscita ammirazione. Ma un bilancio deve
comportare altre prospettive, e un diverso tipo di analisi.
Ripercorrere alcune delle linee di fondo del pontificato di Giovanni Paolo
II non è impresa di poco conto, dati i numerosi anni da lui trascorsi al
governo della Chiesa cattolica (poco meno di un quarto di secolo), i quasi
cento viaggi internazionali, una dozzina di encicliche, innumerevoli
discorsi, gli incontri con tante personalità e centinaia di beatificazioni e
canonizzazioni. E tutto questo, in un periodo storico che ha visto il
consenso di Washington (1) orientare l'economia mondiale verso il
neoliberismo, con le conseguenti catastrofi sociali.
Il periodo del crollo del muro di Berlino, dell'avvento del pensiero unico e
del fiorire dei movimenti di protesta su scala mondiale, per non parlare
dell'attacco terroristico contro gli Stati uniti, o delle guerre che
rafforzano il dominio del sistema mondiale oggi in atto.
La missione che Giovanni Paolo II si è assegnato alla testa della Chiesa
cattolica era duplice: restaurare una Chiesa scossa dal concilio Vaticano
II, e rafforzarne la presenza nella società, onde consentirle di attuare il
suo compito di evangelizzazione.
Il cardinale Karol Wojtyla aveva partecipato attivamente al concilio
Vaticano II (2). Aveva sostenuto la modernizzazione dell'immagine della
Chiesa cattolica, appoggiando molte delle riforme adottate dall'Assemblea
del vescovi. E tuttavia osservava con preoccupazione, dalla natia Polonia,
le conseguenze del concilio su una Chiesa che si stava riformando in
profondità, non senza traumi e conflitti interni.
Vicino all'Opus Dei (3), che lo aveva accolto in occasione di alcuni suoi
viaggi all'estero, guardava con riprovazione non soltanto a taluni sviluppi
eccessivi in campo liturgico (introduzione di testi o di musiche profane),
ma anche a numerose applicazioni concrete delle decisioni conciliari. Lo
rafforzava nei suoi convincimenti la sua appartenenza al cattolicesimo
polacco, culturalmente egemonico in quella società: solido, ma spesso
semplicistico nei contenuti, vigoroso nella sua spiritualità caratterizzata
dal culto per la Vergine Maria, rigido nella sua morale, cemento della
nazione e anima della resistenza al comunismo. Tutto questo doveva condurre
l'eletto del Conclave a intraprendere una restaurazione dottrinale, morale e
istituzionale della Chiesa cattolica (4) [  ..... ]

 continua  su  Nel corso del suo 96esimo viaggio, in Azerbaigian e Bulgaria,
Giovanni Paolo II, che ha appena compiuto 82 anni, non ha potuto dissimulare
la degradazione del suo stato di salute, tanto che due cardinali hanno
suggerito le sue dimissioni. A ventiquattro anni dalla sua elezione al
soglio di Pietro, è giunto il momento di tracciare un bilancio del
pontificato di Karol Wojtyla. Un pontificato che, nonostante tutte le sue
contraddizioni, ha portato avanti soprattutto un'opera di restaurazione
dottrinale e morale della Chiesa.

di François Houtart*
La vista di un uomo anziano, stanco, malato, che continua nonostante tutto a
farsi carico di un compito immane, desta un senso di rispetto, simpatia o
pietà. L'attaccamento di immense folle popolari, in tanti paesi del mondo,
continua a essere impressionante. Una personalità che unisce a un vasto
sapere la conoscenza di numerose lingue, un comportamento sportivo, un reale
coraggio fisico, una profonda spiritualità, la fedeltà nell'amicizia e una
grande forza di persuasione suscita ammirazione. Ma un bilancio deve
comportare altre prospettive, e un diverso tipo di analisi.
Ripercorrere alcune delle linee di fondo del pontificato di Giovanni Paolo
II non è impresa di poco conto, dati i numerosi anni da lui trascorsi al
governo della Chiesa cattolica (poco meno di un quarto di secolo), i quasi
cento viaggi internazionali, una dozzina di encicliche, innumerevoli
discorsi, gli incontri con tante personalità e centinaia di beatificazioni e
canonizzazioni. E tutto questo, in un periodo storico che ha visto il
consenso di Washington (1) orientare l'economia mondiale verso il
neoliberismo, con le conseguenti catastrofi sociali.
Il periodo del crollo del muro di Berlino, dell'avvento del pensiero unico e
del fiorire dei movimenti di protesta su scala mondiale, per non parlare
dell'attacco terroristico contro gli Stati uniti, o delle guerre che
rafforzano il dominio del sistema mondiale oggi in atto.
La missione che Giovanni Paolo II si è assegnato alla testa della Chiesa
cattolica era duplice: restaurare una Chiesa scossa dal concilio Vaticano
II, e rafforzarne la presenza nella società, onde consentirle di attuare il
suo compito di evangelizzazione.
Il cardinale Karol Wojtyla aveva partecipato attivamente al concilio
Vaticano II (2). Aveva sostenuto la modernizzazione dell'immagine della
Chiesa cattolica, appoggiando molte delle riforme adottate dall'Assemblea
del vescovi. E tuttavia osservava con preoccupazione, dalla natia Polonia,
le conseguenze del concilio su una Chiesa che si stava riformando in
profondità, non senza traumi e conflitti interni.
Vicino all'Opus Dei (3), che lo aveva accolto in occasione di alcuni suoi
viaggi all'estero, guardava con riprovazione non soltanto a taluni sviluppi
eccessivi in campo liturgico (introduzione di testi o di musiche profane),
ma anche a numerose applicazioni concrete delle decisioni conciliari. Lo
rafforzava nei suoi convincimenti la sua appartenenza al cattolicesimo
polacco, culturalmente egemonico in quella società: solido, ma spesso
semplicistico nei contenuti, vigoroso nella sua spiritualità caratterizzata
dal culto per la Vergine Maria, rigido nella sua morale, cemento della
nazione e anima della resistenza al comunismo. Tutto questo doveva condurre
l'eletto del Conclave a intraprendere una restaurazione dottrinale, morale e
istituzionale della Chiesa cattolica (4).
Sul piano dottrinale, non c'è quasi un tema che non sia stato affrontato, se
non da lui personalmente, dagli organi della Santa Sede. La fede, il
magistero, l'autorità dottrinale della gerarchia ecclesiastica, la
collegialità tra i vescovi per il funzionamento della Chiesa universale, la
liturgia, il sacerdozio, il ruolo delle donne nella Chiesa, l'ecumenismo o i
rapporti tra le Chiese cristiane, le religioni non cristiane, la dottrina
sociale ... Accanto a precisazioni interessanti figurano ammonimenti,
richiami dottrinali o anche esplicite condanne che rappresentano altrettanti
colpi di freno, con misure disciplinari sempre più restrittive, in luogo
dell'accompagnamento pastorale di un difficile processo di riforme che
doveva consentire alla Chiesa, in un mondo sempre più complesso, di
trasmettere meglio il messaggio evangelico.
Sono stati sospesi, ad esempio, gli adattamenti liturgici iniziati da alcune
Chiese locali asiatiche, in particolare in India, volti a dare alla fede
un'espressione più adeguata a quel contesto culturale.
Il documento Dominus Jesus, attinente alla funzione salvifica universale di
Gesù, ha posto termine al tentativo di ripensare i rapporti con le grandi
religioni d'Oriente: il testo in questione è stato interpretato da alcuni
responsabili religiosi e politici asiatici come una giustificazione del
proselitismo nelle società che stanno faticosamente recuperando la propria
identità culturale, segnatamente attraverso la religione.
Diversi teologi hanno subìto condanne, quali il divieto di insegnare o di
pubblicare; al cingalese Tissa Balasuriya è stata inflitta la scomunica per
aver pubblicato un libro considerato troppo ambiguo sulla verginità di Maria
e sul concetto di peccato originale.
L'ascesa dell'Opus Dei Certo, nel campo dei rapporti con le varie
confessioni cristiane e con le altre religioni vi sono state alcune
manifestazioni suggestive, come gli incontri di Assisi nel 1986 e nel 2002,
il digiuno dell'ultimo giorno del Ramadan nel 2001, e così via. Ma
l'intransigenza dottrinale e gli ostacoli creati verso forme di
collaborazione più istituzionali, in particolare con il Consiglio ecumenico
delle Chiese, hanno opposto un limite invalicabile a taluni progressi. Se il
papa ha chiesto perdono per le colpe di molti membri della Chiesa
cattolica - ai tempi delle crociate e dell'Inquisizione, o ancora per
comportamenti razzisti e antisemiti - non ha mai sollevato la questione
delle responsabilità dell'istituzione in quanto tale (5).
Quanto alla collegialità episcopale - uno dei punti forti del concilio
Vaticano II - Giovanni Paolo II l'ha chiaramente subordinata all'autorità
romana. I sinodi generali o continentali si sono spesso trasformati in
organi di registrazione della linea pontificia, se non in semplici occasioni
di sfogo senza grandi conseguenze. Per la pubblicazione dei loro documenti
si richiedeva l'approvazione preventiva del papa; e a volte sono state
persino imposte alcune modifiche (6).
La Teologia della liberazione è stata oggetto di una repressione specifica.
Nata in America latina, ha trovato espressione anche in Africa, soprattutto
tra i teologi protestanti, così come in Asia, in India, nelle Filippine e
nella Corea del Sud. È una riflessione su Dio - come tutte le teologie - che
assume come punto di partenza la condizione dei poveri e degli oppressi,
rendendo esplicito il suo carattere contestuale - cosa che altre correnti
rifiutano generalmente di fare, velando così la relatività del discorso.
Per stabilire con chiarezza il suo punto di partenza nella complessità delle
situazioni sociali contemporanee, la Teologia della liberazione, che attinge
la sua ispirazione al Vangelo, esige la mediazione di un'analisi sociale. Ma
questo pensiero travalica largamente il campo dell'etica sociale e ritrova,
attraverso lo sguardo degli sfruttati, il senso della persona di Gesù,
reinserito nel contesto storico della Palestina del suo tempo. Si sviluppano
così una spiritualità e una gamma di espressioni liturgiche in cui ci si
rende conto della vita dei poveri, e si guarda con severità a una Chiesa
troppo spesso compromessa con i poteri oppressivi. Questa teologia parla di
liberazione, al presente, come espressione dell'amore di Dio per il suo
popolo. E dunque appariva pericolosa per l'ordine, sia sociale che
ecclesiastico.
La reazione di Roma è stata durissima. Era facile accusare questa corrente
teologica di marxismo, dato che è fondata sull'esistenza delle strutture di
classe. Una prospettiva del genere, come ha detto il cardinale Joseph
Ratzinger, responsabile della Congregazione per la dottrina della fede,
doveva condurre direttamente all'ateismo.
Numerosi teologi hanno quindi subito il divieto di insegnamento e di
pubblicazione. I Centri didattici hanno ricevuto l'ordine di proibire
qualsiasi insegnamento in cui si parlasse di questa dottrina. La teologia
della liberazione ha dovuto cercare rifugio presso qualche centro di studio
o di formazione ecumenico, o nelle università laiche.
Nel 1996, lo stesso Giovanni Paolo II, in occasione del suo viaggio in
Nicaragua, dichiarò che una volta morto il marxismo, la teologia della
liberazione non aveva più motivo di esistere.
Quanto alle questioni morali, è nota l'insistenza del papa sul rispetto per
la vita fin dal suo concepimento, così come la sua radicale opposizione
all'aborto, alla contraccezione, al divorzio, all'eutanasia, ma anche alla
pena di morte. Certo, il positivismo scientifico, gli effetti genocidi delle
scelte dei poteri economici o il relativismo di un certo pensiero
post-moderno rappresentano una minaccia per la vita.
Ma l'attaccamento del pontefice a una filosofia della natura superata dalle
conoscenze contemporanee, la sua riluttanza a prendere in considerazione le
condizioni sociali e psicologiche concrete degli esseri umani, così come le
drammatiche conseguenze - come nel caso dell'Aids in Africa - di talune
posizioni dogmatiche, hanno finito per far perdere alla Chiesa cattolica
buona parte della sua credibilità.
La dottrina sociale rimane un campo privilegiato dell'attenzione di Giovanni
Paolo II. I documenti su questo tema sono innumerevoli.
In nome del Vangelo, il papa ha condannato con estrema durezza gli abusi e
gli eccessi del capitalismo, e ha persino denunciato - a Cuba - il
neoliberismo e i suoi effetti perversi. Ma se nell'enciclica Centesimus
Annus ha condannato il socialismo nella sua essenza, in quanto veicolo di
ateismo, quando ha stigmatizzato il capitalismo selvaggio lo ha fatto
denunciando le sue pratiche, non la sua logica.
E laddove si fa riferimento, in questo stesso documento, a un'«economia
sociale di mercato», non si menzionano le pratiche «selvagge» attuate nei
paesi del Sud e nell'Est europeo da quegli stessi agenti economici che si
richiamano a questo modello. Allo stesso modo, i frequenti e insistenti
appelli alla «globalizzazione della solidarietà» non sfociano mai in una
denuncia delle cause profonde della povertà e delle disuguaglianze.
Peraltro, uno degli strumenti dell'elaborazione e della diffusione della sua
dottrina sociale è la Commissione Giustizia e pace, istituita dal concilio
Vaticano II: ma la presenza di Michel Camdessus, ex direttore del Fondo
Monetario Internazionale (Fmi), nominato nel 2000 suo consigliere, basta da
sola a far dubitare del ruolo di questa Commissione come portavoce dei
poveri e degli oppressi...
Per l'attuazione del suo fondamentale progetto di restaurazione dottrinale e
morale, Giovanni Paolo II aveva bisogno di un'istituzione in grado di
portarlo avanti. La sua politica di nomine episcopali si è quindi orientata
in questo senso. In numerose diocesi, i nuovi vescovi, su ispirazione della
Santa Sede, hanno iniziato a esercitare un controllo sui centri di
formazione, smantellando l'opera pastorale dei loro predecessori e
introducendo congregazioni religiose o organizzazioni cattoliche
conservatrici. In America latina, il Consiglio episcopale latinoamericano
(Celam), che aveva svolto un ruolo di punta nel rinnovamento, organizzando,
nel 1968, la Conferenza di Medellín per l'applicazione del concilio Vaticano
II nel subcontinente, fu trasformato a poco a poco in un organismo di
restaurazione. Le conferenze episcopali furono riorientate attraverso nuove
nomine. In tutto il mondo, centinaia di diocesi attraversarono penosi
processi di transizione pastorale, non senza drammi personali per coloro che
avevano creduto in una Chiesa profetica e in un'istituzione più umana. Solo
alcune diocesi di più antica cristianità furono in grado di preservare la
propria autonomia, frenando il dilagare delle nomine di segno conservatore.
Nel 1982, quattro anni dopo l'elezione di Giovanni Paolo II, l'Opus Dei
acquisì uno status di prelatura personale, al di sopra della giurisdizione
dei vescovi. Il suo fondatore fu canonizzato nel 2002, a soli 27 anni dalla
sua morte; molti dei suoi membri vennero nominati vescovi, spesso in diocesi
importanti, e alcuni furono fatti cardinali.
Ma la sua influenza si fece sentire soprattutto nell'amministrazione
centrale della Chiesa cattolica (la curia), dove i suoi membri occupano
cariche importanti in numerosi settori e beneficiano di «promozioni»
interne. L'«Opera di Dio» potrebbe giocare un ruolo di rilievo anche nella
designazione del successore dell'attuale papa.
Giovanni Paolo II ha inoltre rafforzato la Curia romana, un apparato il cui
mantenimento richiede mezzi considerevoli, che i contributi del fedeli non
bastano ad assicurare. Ma la Santa Sede dispone di un ingente patrimonio, in
particolare grazie ai Patti lateranensi (1929), mediante i quali l'Italia
fascista risarcì il Vaticano della perdita dell'antico stato pontificio.
Questo capitale fondiario e finanziario produce elevati redditi. Ma sotto
l'attuale pontificato, le istituzioni bancarie del pontificato hanno dato
luogo a clamorosi scandali, tra cui quello del Banco Ambrosiano (8).
Scandali che sono costati centinaia di milioni di dollari alla Chiesa
cattolica. Ma il pubblico è stato scarsamente informato di queste vicende,
che si pongono in plateale contrasto con lo spirito del Vangelo. Tutti i
poteri - giudiziari, politici, economici e mediatici - hanno congiurato per
tacitarle, nel timore di mettere a repentaglio un'istanza morale che ai loro
occhi costituisce una garanzia dell'ordine sociale.
Giovanni Paolo II, vescovo di Roma, avrebbe dovuto ritirarsi a 75 anni, come
sono invitati a fare tutti i vescovi a partire dal concilio Vaticano II. Il
suo rifiuto ha rafforzato il potere di un'amministrazione sempre più
conservatrice. Nuovo «prigioniero del Vaticano», il papa è divenuto così
vittima di una curia i cui maggiori esponenti, da lui stesso nominati, hanno
portato la restaurazione a un punto tale da provocare reazioni crescenti
persino negli ambienti moderati della Chiesa. La «nuova evangelizzazione»
promossa da Giovanni Paolo II è caratterizzata da due principali
orientamenti: da un lato quello dell'Opus Dei, volto a evangelizzare
attraverso il potere, facendo della spiritualità un segno di eccellenza
sociale; dall'altro, quello dei vari movimenti carismatici, esigenti in
materia di comportamenti personali, con una tendenza a valorizzare aspetti
di tipo affettivo, ma generalmente poco inclini a integrare una dimensione
sociale. D'altro canto, le comunità ecclesiali di base nate in America
latina, caratterizzate dall'autogestione, in cui a prendere la parola erano
i poveri, sono state emarginate e talvolta distrutte: ai sacerdoti che vi
esercitavano la funzione di consulenti si imponeva il trasferimento, o si
vietava addirittura l'accesso ai locali parrocchiali. E intanto si creavano
sotto l'egida clericale altri gruppi con lo stesso nome. Quanto al ruolo dei
laici nella Chiesa, benché valorizzato nei testi, è stato il larga misura
relegato a un livello subalterno, a meno che si trattasse di organizzazioni
incondizionate quali l'Opus Dei. D'altra parte - e questo è un esempio che
colpisce - la Gioventù Operaia Internazionale (Gcoi), nonostante il sostegno
di varie conferenze episcopali, è stata emarginata, con l'abrogazione del
suo status di organizzazione internazionale cattolica, mentre una
Federazione concorrente è stata creata di sana pianta. Queste tendenze si
collocano in un contesto tipico di dissociazione culturale, che si manifesta
nelle correnti filosofiche così come in parte delle scienze umane, nella
produzione artistica e nella ricerca religiosa, ove l'accento è posto
sull'individuo.
Paradossalmente, la nostra epoca è contrassegnata a un tempo dal predominio
del mercato e da un irrigidimento autoritario ai vertici delle istituzioni.
Sradicare il comunismo ateo I numerosi viaggi di Giovanni Paolo II da un
capo all'altro del mondo hanno indubbiamente rivelato la sua eccezionale
energia, e sono stati molto apprezzati in numerosi ambienti popolari,
soprattutto nel Sud, oltre che - logicamente - in Polonia, e in generale da
parte dei nuclei cattolici più ferventi. Ma più che di una vera presa di
contatto con le realtà dei luoghi visitati, si è trattato innanzitutto di
diffondere il pensiero di Roma. L'evento ha prevalso sul messaggio.
Se le visite pontificie hanno suscitato emozione, il più delle volte sono
servite a rafforzare l'ala conservatrice del cattolicesimo.
La restaurazione della Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II si è
dunque tradotta, per Giovanni Paolo II, in una ridefinita solidità
dottrinale, in un codice morale tutto d'un pezzo e in un'autorità fuori
discussione, al servizio di un progetto modernizzato nella forma, ma
fondamentalmente conservatore. Un orientamento del genere era necessario,
secondo il papa, per affrontare le forze ostili della società. Perciò
Giovanni Paolo II ha adottato come riferimento la figura di Pio XII, e ha
aperto il suo processo di beatificazione accanto a quello di Giovanni XXIII,
che la vox populi aveva già da tempo elevato agli altari.
Nella Gaudium et Spes (9), il concilio Vaticano II descrive il ruolo della
Chiesa non già come esercizio di un potere, ma come ispirazione morale. La
volontà di condividere le gioie e le speranze dell'umanità, che sembrava
nascere da un ottimismo al limite del realismo, era il frutto di
un'ispirazione programmatica. Il nuovo papa non ha tardato a tradurre questo
spirito in una duplice battaglia contro le forze ostili al messaggio
cristiano: il comunismo ateo e il secolarismo occidentale.
La lotta tradizionale contro il comunismo era stata rafforzata dalla
proclamazione dell'ateismo quale «religione di stato» nei paesi dell'Est
europeo, ma anche, più concretamente, dalla repressione delle libertà e
dalle persecuzioni religiose. Giovanni Paolo II, guidato dall'esperienza
della Polonia, riteneva che per sradicare il comunismo occorresse mobilitare
i cattolici, sia all'interno della Chiesa - e da qui la condanna alla
teologia della liberazione - sia all'esterno, attraverso un'azione diretta.
Laddove il comunismo era al governo, il papa incoraggiava la creazione di un
contro-potere. Con le sue visite in Polonia ha promosso una mobilitazione
religiosa, e assicurato - anche sul piano finanziario, tramite il Banco
Ambrosiano - l'appoggio a Solidarnosc. Nei paesi in cui era sul punto di
prendere il potere, i cattolici dovevano essere arruolati in un fronte
d'opposizione. Fu così che in Nicaragua si arrivò nel 1983 allo scontro con
il Fronte sandinista. Nell'omelia tenuta a Managua, il papa condannò la
Chiesa popolare e il «falso ecumenismo» dei cristiani impegnati nel processo
rivoluzionario.
E fece appello all'unità, sotto l'egida di un episcopato particolare
reazionario (l'arcivescovo di Managua, Mons. Miguel Obando y Bravo, sarà
nominato cardinale dopo la visita pontificia). Tutto questo portò a una
forte repressione ecclesiastica, e sconcertò profondamente i cristiani dei
ceti popolari, venuti a celebrare a un tempo la loro rivoluzione e la visita
del loro papa. Il viaggio a Cuba segue la stessa linea. Nell'idea di
Giovanni Paolo II, quest'isola era l'ultimo bastione del comunismo in
Occidente, ormai a fine corsa. L'aggressività - in parte anche a causa del
suo stato di salute - non era più all'ordine del giorno. E dato che a suo
modo di vedere, la rivoluzione cubana rappresentava una parentesi nella
storia, non la menzionò in quanto tale, ma si limitò a sottolinearne gli
effetti, tutti in negativo. E al suo ritorno a Roma, dichiarò che la sua
visita avrebbe avuto lo stesso effetto del viaggio compiuto dieci anni prima
in Polonia.
Per la lotta anticomunista c'era bisogno non solo di una Chiesa forte e
disciplinata, ma anche di alleanze con altre forze, in campo economico e
politico. Da qui i numerosi compromessi con il potere americano, per cui
molte delle sue organizzazioni cattoliche, in Europa e a Roma, hanno
canalizzati fondi, sia ufficiali che segreti, in favore di Solidarnosc. E da
qui anche la tolleranza nei confronti di regimi dittatoriali di destra, come
quelli del Cile, dell'Argentina (10) o delle Filippine. Gli artefici di
queste discutibili relazioni sono stati promossi da Giovanni Paolo II ai
vertici di importanti organi della Santa Sede, prima tra tutte le Segreteria
di Stato. Da qui infine l'intervento in favore del generale Augusto
Pinochet. E sul piano simbolico, la beatificazione, proclamata nel 1998, del
cardinale Stepinac, che era stato molto vicino al regime fascista della
Croazia durante la seconda guerra mondiale.
Il secolarismo occidentale, caratterizzato dal relativismo, dal consumismo e
dall'edonismo, è stato il secondo avversario di Giovanni Paolo II. Il quale
ha ricordato con forza i valori dell'amore per il prossimo, della
solidarietà, della moderazione nell'uso dei beni materiali.
Ma ancora una volta, lo ha fatto in una quadro dottrinale e morale talmente
rigido che il messaggio è rimasto purtroppo in larga misura incompreso, e in
definitiva poco efficace. Purtroppo, perché l'umanità contemporanea aspira
alla spiritualità, è alla ricerca di un senso; e le lotte sociali sono il
segnale di un profondo desiderio di giustizia, a fronte di una
globalizzazione economica e culturale distruttiva.
Richiamo astratto ai valori sociali Un'altra preoccupazione di Giovanni
Paolo II è stata quella di perseguire la pace. Si è opposto alla guerra del
Golfo, ha messo in guardia contro quella del Kosovo, ha dichiarato le sue
riserve sull'attacco all'Afghanistan, ha rivendicato il diritto dei
palestinesi a uno stato. Un suo leitmotiv costante è la pace tra i popoli,
fondata sulla giustizia nei loro rapporti. Si è dimostrato attento alle
sofferenze delle vittime, condannando ad esempio l'embargo contro l'Iraq e
contro Cuba, che sottopone la popolazione a restrizioni devastanti. Tutte
posizioni ispirate alla fedeltà al Vangelo. Purtroppo, questi richiami ai
valori sono rimasti il più delle volte astratti, dato che il papa non ha mai
esplicitato le cause reali delle guerre e le loro connessioni con
l'imperialismo economico.
Peraltro, l'alleanza di fatto tra la Santa Sede e i poteri economici e
politici dell'Occidente continua ad esistere, sulla base di una logica
istituzionale (la riproduzione sociale dell'istituzione ecclesiastica), e ha
fatto perdere al discorso contro le guerre gran parte della sua credibilità.
In questo campo, lo strumento privilegiato della Santa Sede è il servizio
diplomatico. Contrariamente a quanto spesso si crede, questo servizio non è
un organo del Vaticano in quanto stato, bensì della Santa Sede, cioè della
Chiesa; e ha avuto un considerevole sviluppo grazie a Giovanni Paolo II. Non
solo è l'elemento più costoso, ma anche quello socialmente più
compromettente, e simbolicamente più contraddittorio rispetto
all'ispirazione evangelica, in quanto segno di potere (privilegio di uno
stato) ed espressione di ricchezza (l'insediamento di nunziature a fianco
delle ambasciate). Nessuno può dubitare che Giovanni Paolo II, il prelato
sportivo, l'ex operaio dello stabilimento Solvay di Cracovia, dilettante di
teatro e moralista dell'Università cattolica di Lublino, il sacerdote dalla
personalità mistica, il pastore dei Carpazi sia destinato a rimanere nella
storia come un gigante dell'era contemporanea: il papa di un quarto di
secolo che ha trasformato profondamente l'umanità, il papa della
globalizzazione (11). Ma per aver voluto ricostruire una Chiesa più solida
in un mondo più umano, questo papa ha finito per distruggere un gran numero
di forze vive emergenti, che portavano l'impronta di una visione evangelica
e profetica. La luce spirituale e morale di cui voleva essere portatore si è
trasformata in istanza politica. Il governo centrale della Chiesa, che
avrebbe dovuto essere al servizio del «popolo di Dio», è divenuto un
apparato reazionario, alleato di fatto dei poteri oppressori. Il suo appello
alla giustizia e alla pace non ha assunto una dimensione profetica
commisurata all'immenso sfruttamento, oggi più che mai globalizzato, ma si è
tramutato in una critica dai toni ragionevoli. Ha fatto leva non già sulla
forza del simbolo, ma su quella dell'autorità. Certo, Giovanni Paolo II ha
restaurato la Chiesa, ma quale Chiesa? Certo, ha rafforzato il suo posto
nella società, ma quale posto?
La cristianità - aveva detto Harvey Cox, teologo battista, docente a
Harvard - ha bisogno di un papa, ma non come potere, bensì in quanto
espressione simbolica dell'unità. L'umanità ha bisogno di un richiamo alla
speranza, sulla base di analisi della realtà e di progetti per il futuro.
Non si può dire che il bilancio del pontificato abbia risposto a questa
duplice attesa. Dovrebbe essere questa la sfida del successore di Giovanni
Paolo II (12), che potrà fondarsi a tal fine su una grandissima speranza e
sulle forze vive, che fortunatamente sono tuttora presenti sull'intero
pianeta.


note:

* Direttore del Centro tricontinentale e della rivista Alternatives Sud,
Belgio
(1) Si legga Moisés Naim, «Il consenso di Washington colto in fallo», Le
Monde diplomatique/il manifesto, marzo 2000.
(2) Convocato da Giovanni XXIII, il Concilio Vaticano II ha comportato
un'importante riforma, in particolare attraverso la costituzione Lumen
Gentium, che ridefiniva la Chiesa come «popolo di Dio», e la costituzione
Gaudium et Spes, che qualificava la presenza della Chiesa nel mondo
contemporaneo come una realtà di ispirazione e non di dominio.
La riforma liturgica ha introdotto la lingua vernacolare e amplificato le
funzioni dei laici, in particolare nel culto e nei sacramenti.
È stata inoltre rivalutata la collegialità dei vescovi, come contrappeso
all'amministrazione centrale di Roma.
(3) L'«Opera di Dio», fondata nel 1928 in Spagna da mons. Escriva de
Balaguer, definita da molti «massoneria bianca», conta più di 80.000 membri,
in maggioranza laici, in un centinaio di paesi. Si legga François Normand,
«L'inquietante ascesa dell'Opus Dei», Le Monde diplomatique/il manifesto,
settembre 1995.
(4) Nel 1984 il cardinale Joseph Ratzinger, nominato da Giovanni Paolo II
alla testa della Congregazione di Propaganda Fide (già Sant'Uffizio)
dichiarò in un'intervista: «Dopo le esagerazioni di un'apertura
indiscriminata al mondo, dopo le interpretazioni troppo positive di un mondo
agnostico ed ateo, [la restaurazione] è auspicabile, e peraltro già in atto»
(Jesus, Roma, 6 novembre 1984).
(5) Simbolicamente, Giovanni XXIII fu beatificato il 3 settembre 2000,
contemporaneamente a Pio IX, il papa del Syllabus (un documento
antimodernista, che condannava numerose libertà ormai accettate), non alieno
da comportamenti antisemiti.
(6) Ad esempio in occasione del sinodo olandese del 1984, dove l'episcopato
dovette firmare un documento preparato dalla Santa Sede.
(7) Come nei casi delle diocesi di Chur, in Svizzera, con la nomina di mons.
Haas, di Recife con il successore di Dom Helder Camara, di San Salvador con
la nomina di un vescovo dell'Opus Dei come successore di mons. Rivera y
Damas e di mons. Oscar A. Romero.
(8) Il Banco Ambrosiano finanziava tra l'altro il regime del dittatore
Anastasio Somoza in Nicaragua. Il suo presidente, il banchiere Roberto
Calvi, fu trovato impiccato sotto il Ponte dei frati neri, a Londra.
Il 16 aprile 1992, nella sua sentenza sul fallimento del Banco ambrosiano,
il Tribunale di Milano spiegò i collegamenti esistenti tra quest'ultimo e
l'Istituto per le Opere di Religione (Ior), la banca del Vaticano, diretta
all'epoca da mons. Paul C. Marcinkus, di nazionalità americana, già
invischiato in altre vicende scabrose. Si legga Fernando Scianna, «La mafia
au coeur de l'Etat et contre l'Etat», Le Monde diplomatique, ottobre 1982.
(9) La Chiesa nel mondo del nostro tempo.
(10) In Argentina, il nunzio all'epoca della dittatura militare, l'attuale
cardinale di curia Pio Laghi, aveva rivolto alla guarnigione di Tucuman le
seguenti parole: «Voi che sapete cos'è la patria, ottemperate agli ordini
con obbedienza e coraggio mantenendo la serenità dello spirito» (La Nación,
Buenos Aires, ottobre 1976). Nel Cile di Pinochet, il nunzio era l'attuale
cardinale Angelo Sodano, poi nominato Segretario di Stato, che a proposito
del regime ebbe a dichiarare: «Anche i capolavori possono avere qualche
macchia. Vi invito a non soffermarvi sulle macchie del quadro ma a guardare
l'insieme, che è meraviglioso».
(11) George Weigel, docente all'università cattolica di Washington, ha
tracciato un bilancio del pensiero di Giovanni Paolo II nel corso del suo
lungo pontificato. Il suo libro rispecchia la visione del papa sulla Chiesa
e sul mondo (Jean Paul II, Témoin de l'espérance, Attes, Parigi, 2001).
(12) Giancarlo Zizola ha affrontato questo tema nel suo libro Il Successore,
Laterza, 1997. Si legga dello stesso autore, «Guerra di successione in Vatic
ano», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2001.
(Traduzione di E. H.)