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Intervista sulla nuova base Nato (e Usa) di Taranto



-- La nuova base Nato di Taranto e i piani americani di militarizzazione --


Intervista del mensile "Fogli" ad Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink (http://www.peacelink.it)



D. Come è stato scoperto il piano NATO per installare una nuova base militare a Taranto?


R. Noi di PeaceLink abbiamo l'abitudine di gironzolare su Internet. E così, una volta connessi al sito del Pentagono, abbiamo inserito nel motore di ricerca interno la parola "Taranto". E' uscito fuori l'elenco di tutti i nuovi comandi Nato, tra cui il più recente: Taranto. Abbiamo fatto una conferenza stampa per presentare il documento ufficiale del Pentagono. Tutti i giornalisti intervenuto hanno potuto vedere che in quel documento Taranto viene considerata una base della U.S. Navy, ossia della flotta americana. I parlamentari italiani sono caduti dalle nuvole.


D. Leggendo il modo in cui sono andati i fatti colpisce una cosa: nel 1998 il Pentagono decide di installare il sistema di collegamento e spionaggio C4i e da lì si intuisce il progetto di integrazione della base di Taranto nel sistema di comando militare Usa. Ma non esiste un’autorità nazionale che possa quanto meno controllare e porre dei limiti? Si ha quasi l’impressione che si parli molto di pace ma si studia moltissimo come fare la guerra.


R. E' proprio così. I piani di guerra vengono studiati molto bene. Rimangono nell'ombra. E poi ci si trova di fronte al fatto compiuto. Ciò è avvenuto, spiace dirlo, anche con esecutivi di centrosinistra (il C4i ebbe il via libera con l'Ulivo al governo). Che fare? Occorre un'intensa attività di controllo. La sovranità popolare appartiene al popolo, dice la Costituzione (art.1 comma 2). E' una sovranità che poggia sul diritto di sapere. Non c'è sovranità se non si sa cosa accade. E' questa un'attività che spetterebbe in primo luogo al Parlamento, mentre i governi si arrogano il diritto di sovranità ereditando un brutto vizio dei sovrani assoluti del Seicento. Praticamente il Governo non passa al Parlamento informazioni vitali. Ad esempio le Commissioni Difesa di Camera e Senato non dispongono neppure della mappa delle installazioni militari sulla penisola, suddivise per status: italiane, Nato e Usa. Sarebbe auspicabile che le Commissioni Difesa esigessero la pubblicazione sul sito Internet del Parlamento di questa mappa, così come fa il sito del Pentagono. PeaceLink, da parte sua, cerca di surrogare questo vuoto istituzionale ponendo in pubblica visione le informazioni prive di segreto militare all'indirizzo Internet http://italy.peacelink.org/disarmo


D. Nel 2004, per far posto alla Marina Militare, Taranto ha rinunciato a ben tre milioni di metri quadri di mare sottratti all’allevamento dei mitili. Eppure era da anni che si parlava di un piano per liberare il Mar Piccolo dalla presenza militare: cos’è che non ha funzionato? Come mai la Nato ha chiesto questo spazio se oggi l’83% dei tarantini è contrario a questa presenza?


R. Non ha funzionato un sistema basato sulla delega alla Marina Militare e su un rapporto di fiducia nei confronti di una classe politica che prometteva una liberazione di spazi. Poi si è visto che questo non è vero. Tutta la storia dell'ampliamento della militarizzazione di Taranto (raddoppio della base navale, progetto di terza base a comando Usa) è stata una storia di bugie dette "a fin di bene". I tarantini sono considerati come dei pazienti con metastasi: devono essere solo tranquillizzati. Per non generare preoccupazione si fanno promesse senza alcuna certezza, anzi a volte palesemente false. Ma l'83% dei tarantini dice "no" al rischio nucleare e noi sappiamo che i sottomarini Nato a propulsione nucleare sono un rischio.


D. Il comando della VI Flotta Usa verrà trasferito da Gaeta a Taranto per motivi di spazio ma soprattutto perché strategicamente il sito offre una possibilità di controllo del Medio Oriente; è così?


R. Diciamo che la ragione principale della scelta sta in un dato inoppugnabile: Taranto è diventata la più grande base Nato del Mediterraneo. Va poi aggiunto che Taranto è l'unico nodo del Mediterraneo in cui gli Usa hanno installato il sistema di comunicazione C4i collegato direttamente ai computer dello spionaggio americano. E' verosimile pensare che Taranto rientri nel grande orecchio di Echelon capace di controllare le comunicazioni globali: email, fax, telefonate, comunicazioni digitali.


D. Alcuni dicono che questa novità sarà per Taranto una vera fortuna… eppure Gaeta, che ha già vissuto quest’esperienza non sembra pensarla allo stesso modo, come mai?


R. Il sindaco di Gaeta, che è di Forza Italia, si è dichiarato soddisfatto del prossimo trasferimento del comando VI Flotta dalla sua città: si liberano spazi per il commercio, il turismo, le attività civili. A Taranto invece molti politici - anche di centrosinistra - ragionano con la logica della rendita: accontentiamoci di quel po' che arriva. Anche se soffoca le possibilità di sviluppo civile. Anche se può far male alla salute. E' la stessa logica di quei condomìni disinformati o disperati che per qualche migliaio di euro si fanno piazzare sul palazzo un'antenna per cellulari: meglio l'uovo oggi che la gallina domani. Poi scoprono che lo stabile perde il 10% del valore di mercato perché quell'antenna può essere un rischio. La stessa cosa avviene a Taranto con l'incremento della militarizzazione. I vantaggi immediati vengono valutati senza una comparazione con le perdite future della scelta compiuta, semplicemente perché non si ha una visione del futuro e si cerca di acchiappare ciò che si può.


D. Nel 92 a Rio fu approvato il Documento di Agenda 21 a conclusione dei lavori dell’Earth Summit. Le nazioni che sottoscrissero quel documento furono ben 170 e si impegnarono a mettere in atto politiche-azioni per avviarsi sulla strada dello Sviluppo Sostenibile: come la mettiamo con questi progetti di militarizzazione a Taranto? Sembra che alla base di tutte queste azioni umane ci sia una logica schizofrenica.


R. L'Agenda 21 prevede un obbligo di informazione ambientale verso i cittadini. E' proprio ciò che manca a Taranto. A parte le centraline che misurano l'inquinamento del traffico, non vi sono centraline che misurano l'inquinamento industriale (o almeno i dati non sono conosciuti dai cittadini). E non sappiamo se vi è radioattività nei mitili (o almeno i dati non sono conosciuti dai cittadini). Per sapere se lo sviluppo è sostenibile occorrono le informazioni. Taranto è come una bilancia su cui sono caricati dei pesi ma noi non vediamo la lancetta. Come facciamo a regolarci?


D. Nell’art.18 della L.349/86, legge costitutiva del Ministero dell’Ambiente, viene introdotta per la prima volta in Italia la nozione di ‘danno ambientale’: "Qualunque fatto doloso o colposo in violazione delle disposizioni di legge o dei provvedimenti adottati in base alla legge che compromette l’ambiente ad esso recando danno, alterandolo, deteriorandolo, o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento in tutto o in parte nei confronti dello Stato". Ma cosa succede se è lo stesso Stato che si rende, anche indirettamente, responsabile di un eventuale incidente?
R. Lo Stato dovrebbe risarcire i cittadini in caso di incidente. Specie se vi è stata negligenza. Ma nei porti a rischio nucleare - a Taranto come a Napoli o a La Maddalena per fare tre nomi - nessuna assicurazione risarcisce in caso di incidente ad un sommergibile nucleare che provochi la contaminazione e l'abbandono del territorio per secoli. Chi risarcirebbe allora? Lo Stato non ha preso alcun impegno. Non mi risulta che in Parlamento si discuta di una copertura assicurativa pubblica per le vite e i beni dei cittadini dei porti a rischio nucleare. Forse la cosa non è ritenuta importante. O è così onerosa che è proibitivo discuterne. Intanto il rischio permane e nessun impegno di denuclearizzazione del mare è preso da alcuna coalizione politica. Vige la logica del non porsi i problemi finché non capitano le catastrofi. Per fortuna vi sono alcuni parlamentari attenti e sensibili che hanno presentato delle interrogazioni parlamentari. Ma occorre che questi problemi entrino nell'agenda parlamentare dei partiti e nei programmi delle coalizioni.