Verifiche sulla diossina a Taranto: l'ing. Biagio De Marzo scrive all'ARPA, alla Procura, alla Provincia e al Sindaco di Taranto



ING. BIAGIO DE MARZO
biagiodemarzo at alice.it						
Taranto 19 giugno 2007

LETTERA APERTA

				
Al	

Dr. Franco SEBASTIO
Procuratore Agg.nto della Repubblica di Taranto

					
Prof. Giorgio ASSENNATO
Direttore Generale ARPA Puglia

e, p.c.	

Dr. Gianni FLORIDO, Presidente Provincia di Taranto			
	
Dr. Ippazio STEFANO, Sindaco di Taranto

								
Oggetto: Verifiche sulla “diossina a Taranto”.


Lo scorso 31 maggio, a Galatina, si è tenuto un convegno sullo sviluppo eco – sostenibile, con relatori di altissimo livello scientifico e tecnico quali il Prof. Domenico Laforgia, Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università del Salento, la Prof.ssa Patrizia Simeoni ed il Prof. Gian Paolo Vannozzi dell’Università di Udine, il Dr. Walter Capponi Direttore Termoindustriale SpA, il Dr. Colin della tedesca MAN Diesel, il Prof. Rosario Ligori, Fisico ed altri. Ho trovato di grandissimo interesse l’intervento della Prof.ssa Simeoni sulle emissioni industriali in genere e sulle “diossine”, che sono composti organici prodotti in processi di combustione ad alta temperatura e in presenza di cloro. La diossina è un “sottoprodotto” anche dei processi siderurgici, ma la quantità di diossina emessa dalle varie aziende, indicata nel Registro EPER, è un’estrapolazione concettuale, non confermata da misure e verifiche effettive. La prof.ssa Simeoni conosceva il problema della diossina presumibilmente “emessa” dall’impianto di agglomerazione di Servola (Trieste) e la conseguente decisione adottata dalla Regione Friuli Venezia Giulia di abbassare di molto i livelli massimi di diossina nelle emissioni industriali di quella regione. In Puglia il tema è diventato scottante in seguito alla pubblicazione del dossier “La diossina a Taranto” di Alessandro Marescotti e Giovanni Matichecchia di PeaceLink. Il processo generale dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva di Taranto è analogo a quello di Servola, per cui, durante il dibattito, ho chiesto alla Prof.ssa Simeoni se fosse possibile escludere con certezza la formazione di diossina laddove scrupolosi esami di laboratorio attestassero l’assenza di cloro sotto qualsiasi forma nei vari materiali, comunque immessi nel processo di agglomerazione. La risposta è stata negativa: la presenza effettiva o l’assenza di diossina in processi complessi come quelli siderurgici può essere definita solo attraverso operazioni di verifica e misura molto difficili. Proprio in questi giorni, sull’impianto di agglomerazione dell’Ilva di Taranto c’è stata la campagna di rilevazioni e misure di diossina, eseguite da CNR, su incarico di Ilva, e da ARPA Puglia, con immediati interrogativi e perplessità di PeaceLink e di semplici cittadini sulle modalità delle operazioni, del tutto “coperte” nei confronti dell’opinione pubblica. Le maggiori perplessità derivano dalla “miracolosa limpidezza” delle emissioni dal grande camino dell’impianto di agglomerazione nel periodo delle verifiche e misurazioni. Condivido tali perplessità. Dal 1971 al 1991 sono stato un “italsiderino” di Taranto, in varie posizioni, con l’intermezzo di tre anni alle Acciaierie di Terni, per poi concludere la mia carriera siderurgica nelle Acciaierie Falk di Sesto S. Giovanni. A Taranto ho avuto per anni la responsabilità della manutenzione anche degli impianti di agglomerazione. I miei ricordi riguardano, però, l’impiantistica mentre la "diossina come sottoprodotto dell’agglomerato”, è tema di “processo” e di “esercizio degli impianti”. Se ne occupavano altri colleghi, oggi anch’essi ex dirigenti Italsider/Ilva, in pensione senza essere stati "epurati da Riva" (secondo una graziosa espressione del mio vecchio amico, l'indomito Walter Scotti, forse diretta a me, che, però, dall'Ilva sono andato via parecchi anni prima che arrivasse Riva). Essi sono colleghi esperti e seri che potrebbero dare un proficuo contributo di conoscenza e competenza ai tecnici dell’ARPA, sempre che Riva capisca che impedire l’ingresso in stabilimento a chiunque sia stato dipendente del siderurgico, in qualunque momento, non è proprio un segnale di … trasparenza ed apertura al territorio. Per tornare all’ “italsiderino” che dimora in me, ho da dire qualcosa sulla diossina dall’agglomerato, pur non avendo esperienza di “esercizio” e di “processo di agglomerazione”. All’epoca dell’incidente di Seveso, che fece conoscere al grande pubblico la “diossina”, in Italsider furono verificati, con severità, ma con le conoscenze ed i mezzi di allora, tutti i punti del ciclo siderurgico dove potevano verificarsi le condizioni per la “produzione di diossina”. Furono individuati solo i “trasformatori ad apirolio” (che con il processo siderurgico vero e proprio non avevano nulla a che fare): per essi fu decisa la sostituzione graduale (che, dopo 30 anni, forse non è ancora ultimata), con l’aggiunta di controlli ed accorgimenti particolari. Per questo io ed altri vecchi “agglomeratori” siamo rimasti sconcertati di fronte all’allarme “diossina dall’agglomerato di Taranto”, innescato dai dati dell’autorevole EPER. Per di più, non si hanno informazioni sulle effettive modalità operative con cui sono state effettuate le rilevazioni di CNR ed ARPA. E’ fondamentale, invece, che l’argomento sia trattato con la massima trasparenza e rigore, senza lasciare il minimo dubbio. Mi permetto, quindi, di suggerire alcune verifiche immediate sia al dr. Franco Sebastio, Procuratore Aggiunto della Repubblica di Taranto, da sempre acuto e coraggioso protagonista nelle vicende concernenti l’inquinamento ambientale tarantino (più di venti anni fa, per primo, sottopose a processo il vertice aziendale della Nuova Italsider, l’ing. Magliola ed il dr. Noce, con buona pace di W. Scotti che frequentemente ci ricorda che l’inquinamento a Taranto non nasce con Riva), sia al prof. Giorgio Assennato, attuale Direttore Generale di ARPA Puglia, ma, poco prima della nomina, testimone diretto del clima “sfuggente” riscontrato nel Siderurgico, come ebbe a raccontare lo stesso Procuratore Petrucci durante il recente Convegno sulle polveri sottili organizzato dall’Associazione TarantoViva. Semplificando al massimo, l'impianto di agglomerazione non può funzionare senza una fortissima aspirazione di aria il cui ossigeno è indispensabile per la combustione del coke presente nella miscela da agglomerare. I fumi dell'agglomerato (emissioni primarie derivanti dalla sinterizzazione che avviene nel nastro di cottura) passano attraverso elettrofiltri e poi vengono cacciati in atmosfera attraverso il famigerato camino alto 220 m., quello sulla strada per Statte. La funzione degli elettrofiltri è di "depolverare" i fumi. Ricordo (quasi trenta anni fa) che il pennacchio dell’agglomerato diventava molto visibile quando gli elettrofiltri non funzionavano bene per problemi di manutenzione o in occasione di discontinuità di processo o di esercizio. La manutenzione degli elettrofiltri allora era molto pesante e costosissima. Se l'impianto è in marcia e produce agglomerato (cosa facilmente accertabile a vista durante la campagna di rilevazioni) nelle quantità confrontabili documentalmente con altri periodi, dal camino escono per forza emissioni che possono essere "poco visibili" da lontano (ma non per questo prive di diossina) per particolare cura nella messa a punto del processo e per perfetto funzionamento degli elettrofiltri. Io propongo alla Procura della Repubblica ed all’ARPA di farsi dire da Ilva come hanno provveduto alla manutenzione e pulizia degli elettrofiltri, dove hanno scaricato la polvere captata dagli elettrofiltri e con quali accorgimenti, poiché trattasi sicuramente di “rifiuti pericolosi”; inoltre, è relativamente facile far prelevare ed analizzare campioni di polvere captata negli elettrofiltri, con sopraluoghi improvvisi. All'epoca di Seveso, si cercava la diossina depositata sui campi: analogamente, se nella polvere degli elettrofiltri si trovano tracce di diossina, è pressocchè certo che la diossina è presente anche nelle emissioni al camino e allora va affrontato subito il problema della rilevazione quantitativa, da fare in continuo e non a spot programmati.

Ing. Biagio De Marzo
Consigliere dell’Ordine degli Ingegneri di Taranto e di Federmanager-AJDAI