Inquinamento: una strategia per l'Ilva di Taranto



Non una ma cento copertine di rotocalchi nazionali o locali possano
affiancarsi ad organi di informazioni qui esistenti che da anni si
spendono su tali questioni se serve a contribuire alla soluzione del grave
ed improrogabile dramma dell’inquinamento a Taranto.

Non è catastrofismo,né estremismo politico o radicalismo
ambientalista,occorre aggredire il problema non le aziende che lo
producono in quanto, ad esempio l’acciaio,è dimostrato nel mondo,lo si può
fare in modo diverso e ciò non è una utopia ma realtà verificabile.
Occorre imporre a coloro,i preposti, che nell’azienda e nelle istituzioni
hanno il dovere della incolumità sancita per legge dei lavoratori e dei
cittadini , di rispondere nei doverosi e giusti modi con i necessari
investimenti e soluzioni dei problemi causati. Non è un caso che la
questione è tornata prepotentemente alla ribalta per indubbi meriti di
associazioni come Legambiente e TarantoViva a cui deve andare la
gratitudine delle forze sinceramente democratiche di Taranto per il loro
impegno continuo a difesa dell’ambiente. Esse, insieme con altre ed ai
mezzi di comunicazione, hanno dovuto in questi anni occupare anche spazi
politici di una sinistra troppo spesso latitante su tali questioni.  Anche
per questo le amministrative della nostra città possono finalmente
rappresentare una svolta oramai inprocastinabile. Nell’ultima iniziativa
dell’associazione TarantoViva: ”Polveri sospese e polveri in
sospeso”,ricca di competenze e passione sincera, sono stati affrontati
diversi aspetti interessanti del rapporto tra la fabbrica Ilva ed il
territorio. A me preme in questo momento, affrontarne uno, ritengo non di
poco conto, presente anch’esso nel dibattito: come conciliare il diritto
alla salute ed alla vita dei lavoratori e dei cittadini con quello
riguardante il mantenimento dei posti di lavoro, la proprietà privata e
l’impresa. Ciò perché si obietta da alcune parti, ma sembra opinione
diffusa ancora oggi,di una certa strumentalità nei confronti
dell’imprenditore Riva dimenticando che questa fabbrica esiste da quasi
cinquanta anni con il suo carico di inquinamento.

La Costituzione Italiana, difesa in un recente referendum da un attacco
premeditato di forze politiche e sociali ben individuate,prevede il
legittimo e gratuito diritto al lavoro ed alla salute dei cittadini , dei
lavoratori ma anche il fine sociale della proprietà e dell’impresa. In
alcuni casi,è noto, è possibile confiscare ai privati loro beni per il
benessere collettivo, ciò avviene normalmente, ad esempio, per i terreni
dove costruire opere di pubblica utilità. Nel caso dell’area industriale
di Taranto, ovviamente in misura maggiore rispetto a tutte le altre in
Italia per la sua vastità, sono le aziende private ad aver confiscato nei
fatti i beni pubblici, quella proprietà di tutti rappresentata dall’aria,
dall’acqua, dal suolo e dal sottosuolo. Quindi è come se la nostra vita di
lavoratori,cittadini, anziani e bambini, legittimi proprietari di quel
capitale naturale in cui viviamo o sopravviviamo, come nel nostro caso,
venga sempre più impoverita e resa precaria insieme a quei beni. Non è
demagogia, ma la drammatica realtà in cui si vive, basta guardare dentro
di noi stessi, nelle proprie famiglie, tra i propri conoscenti.

La novità degli ultimi anni è però rappresentata da una consapevolezza
sempre più diffusa tra la gente ed i mezzi di comunicazione di massa
svolgono per questo un ruolo straordinario. La questione ambientale e
quell’occupazionale diventano facce della stessa medaglia e non fattori in
competizione tra loro. E’oggi certamente più difficile insediare industrie
inquinanti senza il consenso dei cittadini, si parla oggi del vincolo
dell’“ecocompatibilità”. Viene diffondendosi quindi un’informazione ed una
cultura tra la gente che oramai comprende bene che una centrale elettrica,
ad esempio, ovunque si metta produce ricchezza per altri e povertà, in
termini ambientali, per la realtà che la ospita. Tutti noi abbiamo capito
anche che oggi il Mercato “tira” per l’acciaio, l’energia ed il metano,
del domani non si sa. Inoltre è il Mercato che propone i siti per gli
impianti, quindi la convenienza di un investimento, non le amministrazioni
locali o le istituzioni in genere. Semmai il loro compito è quello di
verificare che alla crescita economica delle aziende, proposta dai loro
investimenti, corrisponda un reale sviluppo della città, cosa che da
decenni a Taranto non è più avvenuta per una sostanziale subalternità
delle forze politiche a quelle economiche e quindi al mercato.

La contraddizione su menzionata però ovviamente è sempre esistita, ma nel
passato era mitigata dal fatto che l’impresa pubblica investiva per creare
occupazione là dove essa era carente,nel mezzogiorno nel nostro caso,
creando con l’Iri megaimpianti come l’Ilva e l’Eni ,ovviamente strategici
ieri come oggi. Essa è esplosa non a caso con la proprietà privata
d’Emilio Riva. Occorre riconoscergli il merito di aver fatto cadere il
velo dell’ambiguità nel porre in modo brutale, con il suo capitalismo
primitivo e predatorio di stampo fine ottocentesco, il rapporto
costi-benefici, l’utile di esserci, di giustificare solo la sua presenza
per i massimi guadagni da conseguire e reinvestendo sulla quantità del
prodotto, basare la produzione dell’acciaio, nel suo caso, sui bassi
salari, i più bassi d’Europa, e sui bassi vincoli
ambientali,sostanzialmente un inquinamento senza controllo per l’assenza
di “controllori”.

Oggi appare normale e legittimo porre dal nostro punto di vista di
cittadini tale rapporto, perciò a fronte d’alcune migliaia di posti di
lavoro,per la città, noi contiamo danni sociali ed umani enormemente
superiori ai benefici, sempre più in crescita. Possiamo,tutelando la
nostra vita,la nostra salute e dignità, affermare che sino a quando in
altre parti del mondo esistono impianti ecocompatibili che producano
acciaio, ed è vero, una trasformazione radicale del rapporto tra Ilva e
città è fondamentale, in alternativa la chiusura dall’area a caldo
rappresenta l’obiettivo chiaro a cui tendere. Mi rendo conto che investire
nell’ecocompatibilità ha costi rilevanti per l’azienda, significa in ogni
modo creare altro tipo d’occupazione convertendo cospicui utili, essere
meno presenti sul mercato, ma bonificare sin da ora lo sterminato
territorio occupato rappresenta il fine sociale che la Costituzione
Italiana conferisce all’impresa privata, esso deve essere fatto! In
alternativa si attenderà che la chiusura dell’area più inquinante d’Europa
sarà determinata prima o poi dal mercato globale in quanto le bramme sarà
più conveniente importarle invece che produrle. Ciò sposterebbe in avanti
negli anni ed a carico dello Stato gli elevatissimi costi sociali per la
città e la bonifica dei siti e non già da porsi ora a carico di Emilio
Riva come è giusto che sia. La posta in gioco a me sembra oggi sia
fondamentalmente questa.

Giancarlo Girardi