Inchiesta Ilva RadioRai



Una interessante inchiesta di Radio Rai sull'Ilva. Di seguito il link e le schede presenti sul sito:

http://www.radio.rai.it/radio1/laradioneparla/view.cfm?NOTIZIA=117918&DATATEMA=2005-01-10

Al Telefono

Gianluca Scafa
Vicepresidente di TarantoViva

Michele Tursi
Giornalista del Corriere del Giorno

Michele Conversano
Direttore del Dipartimento Prevenzione e Salute dell'ASL 1 di Taranto

Rossana Di Bello
Sindaco di Taranto

In Collegamento

Giovanni Cito
Intervista di Claudio Vedovati ad un ex operaio Italsider e Ilva

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Gianluca Scafa
Vicepresidente di TarantoViva

La situazione dell'ambiente a Taranto è grave e forse irrimediabilmente compromessa. Da anni periodicamente vengono comunicati dati epidemiologici inquietanti e da anni ci si ammala di tumore. La ragione di questa situazione è semplice: la presenza da più di 40 anni dell'Ilva, una delle più grandi acciaierie d'Europa, ex Italsider dell'IRI e dal 1995 di proprietà del gruppo Riva.

Nel 2002 e nel 2003 la classifica del Sole24ore sulla qualità della vita ha assegnato a Taranto il penultimo posto cioè il centoduesimo. Questo anno Taranto ha migliorato la sua situazione di una ventina di posti, rimanendo in ogni caso la realtà più inquinata della regione Puglia. La OMS ha indicato Taranto come la città con maggior incidenza di neoplasie polmonari e l'Unione Europea ha puntato il dito contro Taranto, considerando che, la sola l'Ilva produce più del 10% delle emissioni totali rilevate in Europa per quanto riguarda il monossido di carbone. Interi quartieri adiacenti agli impianti hanno una esposizione alle polveri minerali sconcertante: 250 grammi ad anno per metro quadro (dati estratti dal processo sui parchi minerari dell'Ilva).

Nel corso degli anni ci sono state diverse ingiunzioni di chiusura da parte del Comune di Taranto e della magistratura. Nell'agosto del 2002 la Procura della Repubblica di Taranto, nell'ambito di un'inchiesta sull'inquinamento provocato dagli impianti del Siderurgico, dispose il sequestro di quattro batterie delle cokerie, dalla numero tre alla numero sei, riscontrando valori di emissione dei fumi superiori a quelli previsti dalla legge. E cosi si è arrivati l'8 gennaio 2003 ad un patto d'intesa tra Regione (Presidente Fitto), Comune (Sindaco Di Bello) e l'Azienda.

Il patto d'intesa tra Regione, Comune e Ilva prevedeva che l'Ilva mettesse in regola le cokerie entro dicembre 2004, in modo da renderle ambientalmente compatibili. Da parte della Regione, il patto prevedeva invece un investimento di 56 milioni di euro per il risanamento del quartiere Tamburi, che sta a ridosso dell'Ilva, ed una serie di opere che avrebbero dovuto (negli intenti dei tecnici) ridurre l'impatto delle polveri. Il patto è poi stato riformulato nel febbraio del 2004.

L'Ilva ha mantenuto l'impegno di mettere apposto le 6 batterie e lo ha fatto nei tempi previsti (dicembre 2004). Ora pare siano arrivati pure i 56 milioni di euro (ora diventati 60) che saranno impiegati per il risanamento ambientale di Tamburi. Ma nessuna delle due cose è purtroppo sufficiente a risolvere la difficile situazione. Il rifacimento delle batterie non sarà sufficiente a rispettare gli stringenti parametri della normativa sulle BAT (le migliori tecnologie da introdurre nel ciclo produttivo per rendere lo stabilimento siderurgico ecocompatibile), che deve essere ancora recepita a livello nazionale (e quando si conosceranno i parametri ci si renderà probabilmente conto che servirà un altro patto d'intesa ed altri anni di attesa). I 60 milioni di euro daranno sicuramente una boccata d'ossigeno, ma poco più perché i fondi saranno impiegati non per strutture antinquinamento ma per interventi di pulizia e ripristino del quartiere (1500 alberelli in 5 ettari dovrebbe essere l'intervento più significativo) Nel Patto non parla comunque dei tempi di attuazione per quelli che dovrebbero essere gli interventi più importanti a cura dell'ILVA: la "filmatura" (copertura) del nastri trasportatori (25km) e la copertura dei parchi minerari a cielo aperto, che sono la maggiore fonte produttrice di polveri inquinanti sul quartiere Tamburi e sull'intera città.

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Michele Tursi
Giornalista del Corriere del Giorno

L'Ilva di Taranto è un vero e proprio gigante. Una classica cattedrale nel deserto, nata negli anni '60 ¿ il primo altoforno entra in funzione nell'ottobre 1964 come Italsider per mano pubblica (l'IRI) e gestita per molto tempo con molta distrazione, e senza una vera strategia industriale. La fabbrica doveva produrre non per essere competitiva sul mercato ma per far girare gli impianti e far lavorare gli operai. Poi arrivò la crisi dell'acciaio, all'inizio degli anni '90 e, ormai sommersa di debiti, l'azienda fu messa in vendita. L'ha comprata nel 1995 l'industriale milanese Emilio Riva, a prezzi di realizzo.

Tanto per far capire di cosa si tratta: gli impianti dell'Ilva si estendono su una superficie (15 milioni di mq, più di 18 mila campi di calcio) che è il doppio della città di Taranto, ha 13 mila dipendenti (la popolazione residente nel Comune di Taranto è di 200 mila abitanti), ha al suo interno una rete stradale interna di 50 km, una ferroviaria di 200 km, nastri trasportatori per 190 km, 10 batterie di forni per Coke e 5 altiforni. La città di Taranto convive con questa azienda, anzi: è come se fosse l'Ilva a inglobare dentro di sé la città di Taranto. Gli impianti siderurgici della Riva producono annualmente circa 10 milioni di tonnellate di acciaio grezzo. Di questi circa 7 milioni solo negli stabilimenti di Taranto. La Riva produce circa il 36% della produzione nazionale. Il fabisogno nazionale è di 33 milioni di tonnellate.

Su Taranto pesa evidentemente un tacito ricatto. La chiusura comporterebbe infatti il licenziamento di oltre 10.000 operai, e questo la città non se lo può permettere. Il "caso Taranto" si può quindi riassumere in termini insieme semplici e drammatici: posti di lavoro contro tumori. O malattie, o disoccupazione. Un dilemma come quelli che si vivono nei paesi del Terzo Mondo. Perché se ci si preoccupa troppo dei tumori, il rischio è che l'economia della città ¿ già oggi boccheggiante ¿ subisca un vero e proprio collasso.

Secondo i dati del Registro europeo sulle emissioni inquinanti Taranto da sola produce il 10% di tutto l'ossido di carbonio (Co2) immesso nell'atmosfera in Europa, 9% piombo e di diossina, e '85 degli idrocarburi policiclici aromatici. In città tutto questo si manifesta direttamente con il fenomeno delle polveri, grossolane e sottili (le sottili sono le Pm10 e Pm2) Il 2 dicembre la rete di monitoraggio urbana indicava per 8 centraline su 10 valori di polveri sottili superiori a 100, quando il limite giornaliero, come media annua, deve risultare inferiore a 50. Se quindi ci fossero questi livelli tutti i giorni Taranto soffocherebbe: la sua fortuna sono i venti che soffiano in tutte le direzioni e che puliscono un poco l'aria. Ma quando c'è l'alta pressione la ricaduta si sente fortemente. Queste polveri sono emesse prevalentemente dall'impianto dell'Ilva, in particolare dai cosiddetti parchi minerari (montagne all'aperto alte anche 15 metri di materiale ferroso utilizzato nella lavorazione, collocate vicino a quartieri abitanti di Taranto), dai oltre 150 camini che emettono fumi in atmosfera e dai 190 km di nastro trasportatori che collegano gli impianti al parco minerario e ai moli del porto, e su cui transita all'aria aperta le materie prime. Oltre all'Ilva, a Taranto ci sono altre due grandi impianti industriali, anche se non delle stesse dimensioni dell'acciaieria: l'Agip e la Cementir. Tutti questi impianti insieme producono ogni anno 4 milioni di tonnellate di rifiuti industriali.

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Michele Conversano
Direttore del Dipartimento Prevenzione e Salute dell'ASL 1 di Taranto

Gli insediamenti industriali sono la fonte maggiore di inquinamento atmosferico. I dati sulla mortalità indicano un aumento continuo dei tumori, che nel giro di 20 anni sono raddoppiati. Si tratta proprio di quei tumori che hanno come concausa principale l'inquinamento: tumori all'apparato respiratorio, ad esempio, o a quello urinario.

Ci sono due tipi di dati, quelli dell'ISTAT e quelli dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. I dati Istat riguardano il periodo 1971-2001 (quelli Istat arrivano fino al 1998, poi ci sono i dati dell'ASL). Questi dati indicano un tasso di mortalità (generalizzato) che passa dal 748 a 786 morti ogni 10 mila abitanti, quindi un dato che possiamo considerare stabile. Contemporaneamente però il numero di morti per neoplasie passato da 127 a 212, e quelle legate all'apparato respiratorio (trachee, bronchi, polmoni, pleure) da 23 a 49.
Dopo il 2001 il dato si è stabilizzato.
Questo dato molto preoccupante, tanto più se incrociato con i dati nazionali sulla mortalità per tumori, che indicano che da 4-5 anni morti per tumori sono in diminuzione, e lo sono anche in provincia di Taranto, ma non a Taranto.

Nel 1995 ci fu invece una inchiesta dell'OMS. Emerse in quell'occasione che, rispetto al dato regionale pugliese, la cosiddetta Area ad alto rischio intorno a Taranto presenta l'8% in più di morti per tumori mentre a Taranto il dato sale fino all'11%. In particolare da quell'inchiesta emerse che la provincia di Taranto è la quarta italiana per tumori alle pleure.

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Rossana Di Bello
Sindaco di Taranto

La regione si appresta a stanziare 60 milioni di euro per il risanamento ambientale. Questi soldi, previsti dal Patto d'intesa, rappresentano un primo, fondamentale passo per la riqualificazione ambientale di Taranto. Sarà quindi possibile non solo avviare i processi di riqualificazione urbana urgenti per il rione Tamburi come per il Comune di Statte, ma anche la bonifica delle aree a ridosso dell'Ilva.

Il patto d'intesa sta funzionando e bene. Con il nuovo accordo siglato a dicembre 2004 anche l'industria siderurgica si impegna a dare il suo contributo con l'intervento di copertura dei nastri trasportatori e dei parchi minerali, la limitazione dell'inquinamento nella sua area portuale, la dismissione dei trasformatori industriali.

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Giovanni Cito
Intervista di Claudio Vedovati ad un ex operaio Italsider e Ilva

Tamburi è il quartiere limitrofo alla zona industriale dove vivono 20mila persone. La zona è costantemente interessata dalla caduta di polveri prodotte dagli impianti industriali ed in particolare dai parchi minerali e dalle ciminiere dell'Ilva.