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La nonviolenza e' in cammino. 785



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 785 del 21 dicembre 2004

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: Un omaggio a Giancarla Codrignani
2. Janet Chisholm intervista Pat Clark: La pace e' un verbo d'azione
3. Fausto Concer: Dell'attraversare
4. Rocco Altieri: Il risveglio religioso dei popoli puo' sconfiggere la
guerra (parte seconda)
5. Tre note su "Donne disarmanti" di Maria G. Di Rienzo e Monica Lanfranco
6. Come parlare senza farsi del male
7. Riletture: Franco Restaino, Adriana Cavarero, Le filosofie femministe
8. Riletture: Wanda Tommasi, I filosofi e le donne
9. Riletture: Chiara Zamboni, La filosofia donna
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. BENITO D'IPPOLITO: UN OMAGGIO A GIANCARLA CODRIGNANI
[Avendo avuto la fortuna grande di poter ascoltare Giancarla Codrignani in
un recente incontro a Terni, il nostro buon amico Benito D'Ippolito ha
voluto scrivere lieve questo omaggio. Giancarla Codrignani (per contatti:
giancodri at libero.it), presidente della Loc (Lega degli obiettori di
coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei
movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure
piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la
nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994]

Ci sono cose che devono essere dette.
L'orrore di ogni violenza
l'infamia di ogni menzogna.

Ci sono cose che devono essere fatte.
Ad ogni violenza resistere
ed ogni menzogna smascherare.

Cosi' Giancarla, nitida e soave
persona bella
maestra di nonviolenza, amica di verita'
di Antigone discepola e sorella
insegna. E dona le sue tre ghinee
per la salvezza dell'umanita'.

2. TESTIMONIANZE. JANET CHISHOLM INTERVISTA PAT CLARK: LA PACE E' UN VERBO
D'AZIONE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti sheela59 at libero.it) per averci
messo a disposizione questa traduzione di un'intervista realizzata nel 2004
da Janet Chisholm a Pat Clark. Janet Chisholm e' direttrice dei programmi di
training alla nonviolenza della International Fellowship of Reconciliation
(in sigla IFOR, in italiano MIR, Movimento Internazionale della
Riconciliazione). Pat Clark e' coordinatrice nazionale della International
Fellowship of Reconciliation]

Janet Chisholm: Pat, quando diresti che e' cominciato il tuo coinvolgimento
nel lavoro per la pace e per la giustizia?
Pat Clark: Sono cresciuta in una famiglia dove mio padre non sapeva ne'
leggere ne' scrivere, e mia madre non aveva finito la scuola. La mancanza di
istruzione creava situazioni di svantaggio per la mia famiglia, la manteneva
in uno stato di oppressione. Percio', da bambina, vedevo l'istruzione come
"a grande liberatrice". Ovviamente, adesso so che le cose sono molto piu'
complicate. Ma fino al liceo, a cui mi avevano dato accesso i miei buoni
voti, ne ero sicura: questo nutriva il mio ego, mi faceva sentire in grado
di dare un contributo e di avere un futuro. Allo stesso tempo, ero conscia
che i miei parenti, pur privi di istruzione formale, mostravano una grande
saggezza ed un grande impegno nel provvedere alla famiglia. Chiunque, e a
qualunque eta', aveva qualcosa da dare.
*
Janet Chisholm: L'esperienza della fede gioco' una parte nella tua crescente
comprensione della pace e della giustizia?
Pat Clark: La piccola citta' dove sono nata, Woodstown nel New Jersey,
costituiva una comunita' di persone assai legate fra loro. Parecchia gente
mi ha aiutato. Io ero molto coinvolta nei progetti della chiesa. Una volta
viaggiai per conto della chiesa fino ad Anardako, in Oklahoma, per lavorare
in una riserva. Era la mia prima opportunita' di quello che veniva chiamato
"lavoro di missione", e mi fece riflettere in modi nuovi, perche' la mia
stessa comunita' era vista da altri come "lavoro di missione".
Una delle mie amiche era invece coinvolta nell'ong "Habitat for Humanity", i
cui mantra erano: "Lavorare insieme, non lavorare sul caso" e "Capitale, non
carita'". Queste parole trovavano rispondenza in me, e mi fecero capire il
valore dell'assistenza concreta e della collaborazione egualitaria fra
persone. Una nuova coscienza del "lavoro di missione" scaturi' dal mio
coinvolgimento con "Habitat for Humanity", dove veniva dato spazio a modi
personali di mettere la fede in azione.
*
Janet Chisholm: Quando sei stata ammessa al prestigioso Smith College hai
affrontato un cambiamento culturale significativo. E poi hai deciso di
affrontarne un altro e di andare in Africa. Perche'?
Pat Clark: Volevo avere l'opportunita' di entrare in contatto con le mie
radici, come altri studenti. Gli amici di "Habitat for Humanity" mi
suggerirono di far parte del loro programma per quello che allora veniva
chiamato Zaire. L'estate precedente, la madre della mia amica raccolse il
denaro per me. Ha poi raccontato questa storia nel suo libro "Bokotola", in
un capitolo che ha intitolato "Le coincidenze di Dio": all'ultimo minuto, il
giorno prima della mia partenza, mancavano ancora 5 dollari per coprire le
spese. Arrivarono giusto in tempo, grazie alla generosita' di una donna del
Mississippi. C'e' un proverbio da noi: "Se hai fiducia, le domande avranno
risposte, e una via si trovera'".
*
Janet Chisholm: Sembra che i tuoi concittadini riconoscessero chiaramente il
tuo potenziale, ed abbiano davvero sostenuto questa giovane donna. Che
intuizioni hai portato a casa dallo Zaire?
Pat Clark: La prima volta ci rimasi per tre mesi, con il programma di
"Habitat for Humanity". Non parlavo ne' francese ne' lingala, la lingua
locale. C'e' stato un mucchio di linguaggio del corpo e di spiegazioni a
segni. Avevo allora 19 anni, ed in quel contesto venivo considerata adulta.
Mi accettarono immediatamente, ed ebbero cura di me. Il dono della nostra
presenza fu quello che apprezzarono di piu': il fatto che fossimo li' aveva
maggior importanza di quello che potevamo effettivamente fare. Andai oltre
il concetto del "siamo qui per aiutarvi", ed ho appreso da loro lo spirito
della generosita' e della cura. Le persone arrivavano da me portandomi un
uovo, o lo spicchio di un frutto: a volte era tutto quello che avevano,
eppure me lo offrivano per farmi sentire benvenuta. La vita era semplice ma
molto, molto ricca. Quando stavo per partire mi dissero: "Difficilmente
avrai l'occasione di tornare". Continuavo a pensarci, percio' decisi che
sarei tornata dopo il college e che avrei appreso la loro lingua.
*
Janet Chisholm: E cosi' hai imparato il lingala?
Pat Clark: Oh, si'. Nel 1979, dopo il diploma, tornai in Zaire con
"Habitat". Il mio lavoro era di supervisione ad una squadra di costruttori,
125 uomini ed una donna, ed inoltre lavoravo con le donne del villaggio di
Ntongo, organizzando le classi di Inglese, di cucito, e di cucina (anche se
io non so cucire). Ero arrivata con le mie idee su cosa serviva a questa
gente, ma essi lo sapevano meglio di me. Volevano un negozio cooperativo ed
un centro per le donne. E noi facemmo questo, ora ce li hanno. Ho lavorato
con loro per due anni e mezzo. Ad un certo punto mi ammalai seriamente, di
malaria. Le vecchie donne del villaggio vennero e sedettero con me per tutto
il tempo. "Anche tu sei nostra figlia", mi dissero. Piu' tardi, quando fu
mia nonna a stare male, negli Usa, "Habitat" mi disse che avrebbero pagato
il mio viaggio di ritorno. Ero sconcertata: ci volevano un sacco di soldi, e
la mia famiglia non avrebbe mai potuto spenderli. E gli abitanti del
villaggio mi dissero: "Come potremo portarti rispetto, se non fai questo per
la tua famiglia, quando la famiglia e' cosi' importante per noi?". E cosi'
tornai a casa. Ho imparato molte lezioni, in Zaire.
*
Janet Chisholm: Piu' di recente, e' stato il tuo impegno contro la pena di
morte ad essere molto intenso. Fai anche parte dell'Associazione familiari
delle vittime di omicidio per la riconciliazione. Che posto ha questo, nelle
tue riflessioni sulla nostra cultura violenta, e sul bisogno di giustizia e
di pace?
Pat Clark: Quando ero molto giovane, fu ucciso mio zio, il piu' giovane dei
figli di mia nonna. Sei mesi piu' tardi fu ucciso il mio primo cugino, il
primo nipote di mia nonna. Le emozioni, nella mia famiglia, passarono tutti
gli stadi della rabbia e della disperazione, seguite dal desiderio di
vendetta. Mia nonna, che era un po' lo stereotipo della matriarca nera, era
una donna dalla spiritualita' profonda. Non solo rifiuto' di cercare
vendetta, ma piu' tardi, quando il figlio dell'assassina di mio zio venne a
casa sua per giocare con i miei cuginetti, ella lo accolse, nonostante il
fastidio degli altri parenti. La risposta della nonna fu che il bambino non
aveva fatto nulla alla nostra famiglia, e non doveva essere punito per cio'
che avevano fatto altri.
Fu il comportamento di mia nonna a gettare le basi del mio lavoro di
opposizione alla pena di morte. Ma fu anni dopo che vidi la questione molto
da vicino. Stavo lavorando con il Centro legale per i poveri del sud, sul
caso di Michael Donald, un giovane uomo di colore che era stato linciato dai
membri dello United Klan of America.
La madre di Michael, Beulah Mae Donald, somigliava parecchio a mia nonna.
Durante la causa che il Centro legale aveva promosso contro il Klan, uno
degli assassini di suo figlio chiese alla signora Donald di perdonarlo. Lei
gli rispose: "Figlio mio, ti ho perdonato gia' molto tempo fa". Quando le
chiesero cosa pensasse della pena di morte, giacche' un membro del Klan era
stato condannato a morte, ella disse che vi si opponeva, perche' non voleva
che un'altra madre facesse l'esperienza dell'agonia di perdere un figlio a
quel modo. Una delle ragioni che mi fanno muovere con tanta passione contro
la pena di morte e' che quelli nel braccio della morte sono figli o figlie
di qualcuno. Questi loro familiari sono vittime invisibili. Essendo
genitrice, ho imparato bene che non posso controllare totalmente i miei
figli. Sono individui indipendenti. Ma li ho portati a cosi' tante proteste
e veglie che posso solo sperare non decidano di diventare attivisti di
destra per dispetto. Moltissime persone che ora sono in prigione avrebbero
potuto prendere un'altra direzione. Non c'e' lo specchio magico che ti fara'
vedere nel futuro di una persona. Ricordarci l'un l'altro che siamo esseri
umani, e siamo connessi l'uno all'altro, e' un altro motivo per continuare a
fare questo lavoro.
*
Janet Chisholm: Personalmente, a volte sento di aver vissuto e lavorato su
tre movimenti separati, senza riconoscere che essi avevano una lotta comune.
Ho lavorato per la giustizia sulle istanze dell'oppressione e della
poverta'; ho lavorato per la pace chiedendo demilitarizzazione e fine delle
guerre. e ho lavorato per la riconciliazione nella tradizione della fede.
Noi parliamo della nonviolenza attiva come del modo per raggiungere tutte e
tre: giustizia, riconciliazione e pace, ma poi sembra che troviamo difficile
dar corpo a questa interezza. Hai avuto esperienze simili, e hai un
consiglio per arrivare ad un approccio piu' largo, piu' "olistico"?
Pat Clark: Certo, senza giustizia non c'e' pace: questo per esempio e' un
mantra che funziona, con me. A causa dell'ingiustizia in cui sono cresciuta,
so che e' molto reale. Ma c'e' anche altro. In molte comunita' di colore, la
gente guarda con sospetto alla "pace", come se essa fosse un modo per
ignorare l'ingiustizia. Numerosi gruppi per la pace non hanno identificato i
modi per tenere insieme pace e giustizia. Non facciamo abbastanza lavoro di
"visualizzazione" e non lo facciamo collettivamente. La pace e' un verbo
d'azione: dobbiamo fare pace per essere pace.
Invecchiando, mi rendo conto che le mie azioni individuali possono anche non
avere un grosso impatto. Forse la lotta e' piu' importante dell'ottenimento,
intendo una lotta per il rispetto di tutti nella comunita' che e' il mondo.
Abbiamo bisogno di continuare a lavorare su noi stessi, per lottare con
integrita'. A me interessano le opinioni, le percezioni degli altri. Voglio
che ogni persona sappia di avere valore, e che le venga dato valore. Questa
e' una lotta costante.
La pace e' fare, non solo essere. La cultura della violenza e' cosi' intensa
che il bisogno di questo e' enorme. Abbiamo bisogno di creativita'. Possiamo
usare le opportunita' che vediamo ogni giorno. So che e' difficile essere
sempre "impegnati": le sfide che dobbiamo affrontare sono continue. Dobbiamo
avere il coraggio di guardare noi stessi, per scoprire se cio' che diciamo e
facciamo e' proprio quello che vogliamo essere.
*
Janet Chisholm: Da quando sei diventata coordinatrice dell'IFOR nel marzo
2002, hai avuto modo di vedere molte delle nostre sfide e delle nostre
opportunita'.
Pat Clark: Le sfide sono opportunita'. Come risolviamo il conflitto, quello
fra persone e quello fra nazioni? L'IFOR e' stata in posti significativi,
per aiutare a trovare buone risoluzioni. La domanda, ora, e' come continuare
a farlo. Cosa abbiamo imparato dalla storia, senza restare invischiati nel
passato, ma applicando di essa il meglio per il nostro lavoro di oggi? Che
opportunita' offriamo alle persone perche' divengano coinvolte? Come alziamo
una voce profetica per la pace e la giustizia? Come definiamo il nostro
lavoro, in modi che nutrano le anime delle persone che gia' sono con noi, e
che alla stesso tempo mantengano vibranti le qualita' di base, in modo da
invitare altre persone ad entrare?
*
Janet Chisholm: Nell'insegnamento della nonviolenza, noi parliamo in
continuazione dell'approfondire le nostre radici nell'azione nonviolenta,
anche per poterci sostenere negli sforzi a lungo termine. Tu come fai
questo, Pat? Cosa ti sostiene, e cosa ti mantiene vibrante?
Pat Clark: L'energia delle altre persone. Ho i figli, che mi mantengono
umile: devo essere ricettiva ai loro bisogni e imparo da loro. Inoltre, mi
danno i momenti buffi di cui ho bisogno. Ho mentori ed amici da cui cerco
consiglio, percio' mi sento parte di qualcosa di piu' grande; questo aiuta a
non restare incastrati nelle proprie cose, intendo quando non riesci piu' a
vedere il quadro d'insieme. E poi abbiamo bisogno di saper ridere, e di
persone con cui passare bei momenti. Io sono sempre alla ricerca di nuove
opportunita', nuovi compagni, e nuovi modi per fare il nostro lavoro. Credo
che la nostra comunita' dovrebbe essere sempre in espansione, perche' in
questo modo si incrementano i punti di vista. Anche la creativita' delle
altre persone mi sostiene. Nessuno di noi dovrebbe prendersi troppo
seriamente. Dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno degli altri. Dobbiamo
accettare l'idea che facciamo e faremo errori, e ricordare che siamo solo
umani. E' il nostro impegno, che conta.
*
Janet Chisholm: Pat, e' una benedizione averti con noi. Grazie per aver
condiviso la tua storia.

3. RIFLESSIONE. FAUSTO CONCER: DELL'ATTRAVERSARE
[Ringraziamo Fausto Concer (per contatti: faustoconcer at libero.it) per questo
intervento. Fausto Concer e' impegnato in varie esperienze, particolarmente
a Bolzano e a Bologna, per la pace, i diritti dei popoli, la difesa della
Costituzione, un'economia di giustizia e di solidarieta']

Leggendo il pezzo di Maria G. Di Rienzo sul notiziario di lunedi' mi e'
tornato alla mente questo aforisma di Nietzsche: "Io amo gli uomini che
cadono, se non altro perche' sono quelli che attraversano'. Nietzsche
pensava che non si potesse che attraversare da soli: e quindi cadere, o
giungere alla meta', senza o, addirittura, contro gli altri. Superuomini o
gregge. Filosofo geniale, ma che aveva in dispregio l'eguaglianza;
l'umanita' quindi.
Noi al contrario sappiamo, che non si puo' che "attraversare"
collettivamente per giungere alla meta, rischiando, certo, anche
personalmente, crescendo e prendendo coscienza, ma con un lavoro comune e in
una prospettiva universale. La vera emancipazione e liberazione porta con
se' anche quella dell'avversario, del nemico. L'attraversamento prometeico e
solitario riproduce e riconferma solo le societa' oppressive fondate sul
dominio dell'uomo sull'uomo e ancor piu' dell'uomo sulla donna.

4. RIFLESSIONE. ROCCO ALTIERI: IL RISVEGLIO RELIGIOSO DEI POPOLI PUO'
SCONFIGGERE LA GUERRA (PARTE SECONDA)
[Ringraziamo Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo apparso su "Quaderni
Satyagraha" (la prestigiosa pubblicazione di cui e' curatore) n. 3, giugno
2003, alle pp. 73-92; pubblichiamo oggi la seconda parte dell'articolo, la
prima abbiamo pubblicato nel notiziario di ieri. Rocco Altieri e' nato a
Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze
religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e
la trasformazione nonviolenta dei conflitti  presso l'Universita' di Pisa,
docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige
la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo
particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale
di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998. Per abbonarsi ai
"Quaderni Satyagraha" (per contatti: tel. 050542573, e-mail:
roccoaltieri at interfree.it, sito: pdpace.interfree.it): abbonamento annuale
30 euro da versare sul ccp 19254531, intestato a Centro Gandhi, via S.
Cecilia 30, 56127 Pisa, specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha"]

Dopo la marcia Perugia Assisi del '61 Capitini aveva scritto:
"In tutte le religioni attuali bisogna sollecitare una spirito di religione
aperta, che affermando l'unita' intima di tutti gli esseri, metta in primo
piano l'uso della nonviolenza, e prepari l'unificazione nonviolenta
dell'Occidente e dell'Oriente asiatico" (49).
Riprendendo, piu' tardi, ormai al tramonto del suo impegno terreno, il tema
della riforma religiosa nonviolenta, che e' stato il filo rosso di tutta la
sua opera, al convegno estivo del '68 dedicato a Nonviolenza e religione
Capitini ripropose la sua persuasione profonda che attraverso il
rinnovamento nonviolento delle religioni tradizionali possa nascere la
grande internazionale della nonviolenza:
"la nonviolenza e' il vero 'ecumenismo' che agisce sulle religioni
tradizionali perche' vi avvenga una prospettiva nuova, che metta al punto
centrale l'apertura a tutti gli esseri; (...) Se l'apertura a tutti e'
preliminare e permanente, non ci sara' lavoro teologico, enunciazione di
verita', autorita' di testi, che non si subordinino alla nonviolenza, cioe'
al religioso orizzonte di tutti fatto concretamente presente nella scelta
della nonviolenza, non per preferenza verso una persona o un'altra, ma per
amore di tutti. Si puo' arrivare perfino a sospendere, o mettere tra
parentesi, la parola dei capi religiosi che inducano alla guerra (per la
civilta', per la patria, per gli altari e i focolari); si puo' arrivare
anche a mettere in disparte concezioni di Dio che lo presentino datore di
dolore irrimediabile; il nonviolento trarra' poi dalla nonviolenza stessa,
come amore per l'infinito miglioramento di ogni essere, una piu' adeguata
concezione della 'parola' e di 'Dio'. Cioe' la nonviolenza comincia oggi ad
esercitare, se messa avanti a tutto, un'influenza ecumenica sulle vecchie
religioni, che andra' molto lontano nel produrre i suoi effetti" (50).
Guardando al percorso ecumenico delle religioni iniziato ad Assisi nell'anno
1986 e rinnovato da Giovanni Paolo II nell'incontro tra i leader religiosi
del  gennaio 2003, Capitini si dimostra ancora una volta un ardito profeta.
*
Lo stesso Parsons aveva guardato con simpatia l'avanzare di questo
straordinario movimento ecumenico di rinnovamento religioso e sociale per la
pace mondiale, in cui Gandhi appare essere stato il profeta, come fu
Giovanni Battista per il cristianesimo (51).
Bellah vide nel movimento di Gandhi e di Martin Luther King il realizzarsi
di quel sogno secolarizzato di una "religione civile" (52), che intesa
rettamente e' qualcosa di altro dal culto patriottico che celebra il destino
imperiale della nazione americana, come e' avvenuto in questi mesi con la
retorica bellica del presidente Bush, perche' si propone come "religione
dellíumanita'".
Pensando alla gioventu' americana degli anni sessanta, impegnata nei Peace
Corps (53), nei movimenti di opposizione alla segregazione razziale e alla
guerra del Vietnam, Bellah cosi' scriveva:
"La recente esplosione mondiale della gioventu' in cerca della giustizia
sociale, ma motivata piu' da valori personali che da rancori di classe, e'
una specie di vivido affiorare alla superficie di un vasto consenso di
valori, che e' andato crescendo nel mondo moderno e di cui la gioventu'
chiede impazientemente la realizzazione. Questo importante movimento morale
internazionale - che ha gia' i suoi santi e i suoi martiri, i suoi Gandhi ed
i suoi Martin Luther King, che trascendono completamente l'identificazione
nazionale - potrebbe essere, nonostante sia soltanto parzialmente conscio di
se stesso, il piu' importante movimento religioso dei nostri tempi" (54).
Tre sono le caratteristiche che Parsons attribuisce a una religione che
vuole orientarsi in senso nonviolento, secondo un'analisi che converge con
quella di Capitini.
Innanzitutto e' importante non assolutizzare le proprie credenze religiose,
il proprio sistema di verita', affermando con Tillich che la fede e'
qualcosa di distinto e di piu' importante delle credenze, e che bisogna
essere umili, rifiutando l'assolutismo morale che puo' generare violenza "in
quanto si vuole arrogare il diritto di punire perche' l'altro ha sbagliato e
tu sei puro" (55). Su questo punto Bellah ha scritto una pagina bellissima,
confessando la grazia ricevuta dall'incontro con la teologia di Paul Tillich
per la maturazione della propria percezione del peccato:
"Vidi che il peggio e' separato dal meglio in ogni uomo ed in ogni societa'
soltanto da un capello. Capii che la dedizione incondizionata a qualsiasi
individuo o gruppo ha implicazioni demoniache. Nessun essere umano puo'
sopportare tale peso. Il totalitarismo del comunismo e del 'mondo libero'
sono ugualmente distruttivi. Ed io imparai a vedere nell'oscurita' dentro di
noi che nei nostri cuori siamo tutti assassini. Se non sono un omicida, e'
in virtu' della grazia che ho ricevuto attraverso l'amore e l'aiuto degli
altri, e non per la mancanza di impulsi omicidi dentro di me. L'unica
differenza tra me e un uomo nel braccio della morte e' che egli in qualche
modo ha ricevuto meno grazie. Una volta sentito questo non potevo piu'
odiare o piuttosto giustificare l'odio. Dato che partecipo alla colpa di
ogni uomo, non c'e' uomo che io possa rigettare o dichiarare non degno di
essere perdonato. Questo e' quello che mi ha insegnato il Nuovo Testamento
in quei mesi, contraddicendo cristianesimo e marxismo quali culture, in
quanto entrambi richiedono un impegno idolatra a strutture e persone
particolari e conseguentemente sviluppano una convinzione di auto-giustizia.
Fu allora che vidi come l'identificazione col corpo di Cristo significasse
l'identificazione con tutti gli uomini senza eccezione" (56).
La confessione di Bellah corrisponde a quel senso tragico della vita e del
dolore dell'uomo, che e' fondamentale in ogni autentica esperienza
religiosa, perche' il bene e il male non vanno visti per intero in un solo
individuo, ma sono presenti in diversa misura in ognuno di noi. Ha scritto
Parsons:
"La storia umana non e' un gioco morale nel quale i buoni vengono premiati e
i cattivi puniti, ma una lotta per la salvezza, l'illuminazione, il
progresso, ovvero vede una comunita' nella quale molti, anche la maggior
parte dei partecipanti, sono stati o stanno per essere coinvolti in
conflitti tragici e in dilemmi angoscianti" (57).
Da queste due disposizioni d'animo, dell'umilta' e del senso del tragico,
deriva un sentimento universale di compassione:
"Se amiamo una persona - un gruppo o un simbolo - noi dobbiamo comprendere e
avere empatia verso le sue difficolta' e i suoi conflitti, inclusi quelli
che dal nostro punto di vista sono distruttivi dei nostri valori, e anche
amarlo, non solo nel senso di un affetto particolare, ma offrendogli
sostegno per la crescita del valore dell'amore universale" (58).
*
Nel suo afflato religioso la nonviolenza appare essere qualcosa di piu' e di
diverso dal pacifismo.
Ma l'aggiunta religiosa non deve essere scambiata per inanita' politica.
Gandhi, senza venir meno all'assoluto etico di un Tolstoj, ha cercato di
incarnare i principi religiosi in un orizzonte razionale e sperimentale,
facendo in modo, questa e' la sua grande innovazione, che  la nonviolenza da
ideale religioso per pochi eletti, divenisse una politica attiva e concreta
per milioni di persone.
Per capire meglio la differenza tra nonviolenza e pacifismo, e' utile
riandare alla critica che Gandhi avanzo' negli anni Venti nei confronti del
pacifismo europeo.
Negli anni 1928-'29 Gandhi ebbe uno scambio epistolare con alcuni leader
pacifisti (59), ponendo l'esigenza che per un'azione efficace contro la
guerra bisognava da parte dell'Occidente modificare il modello di sviluppo e
gli stili di vita. Scriveva  Gandhi:
"Coloro che lottano contro la guerra in Occidente sono partecipi della
guerra anche in tempo di pace, in quanto finanziano i preparativi di guerra
che vengono fatti dai loro governi e sostengono anche in altri modi governi
la cui principale occupazione sono tali preparativi di guerra. Qualsiasi
azione diretta ad eliminare la guerra si dimostra necessariamente
infruttuosa finche' non vengono comprese ed affrontate con decisione le
cause che producono la guerra. La causa principale delle guerre moderne non
e' forse la barbara corsa allo sfruttamento delle cosiddette razze piu'
deboli?" (60).
Come aveva gia' scritto a un europeo nel 1925, indicando la strada per
eliminare l'ingiustizia e la violenza:
"Se le masse vogliono eliminare le ingiustizie della societa' capitalistica,
o in altre parole se vogliono modificare i metodi del capitalismo, allora
esse devono tentare di realizzare una piu' equa distribuzione dei prodotti
del lavoro. Cio' implica necessariamente la moderazione e la semplicita',
volontariamente adottate. Nella nuova prospettiva il soddisfacimento del
maggior numero possibile di bisogni materiali non sara' piu' lo scopo della
vita, che sara' al contrario la limitazione di tali bisogni, compatibilmente
con un minimo do benessere. Non dovremo piu' preoccuparci di ottenere quello
che possiamo, ma rifiuteremo di prendere quello che non tutti possono avere"
(61).
*
C'e' poi un secondo fattore fondamentale in una prospettiva politica
nonviolenta: bisogna costruire alternative funzionali agli eserciti nei
compito della difesa e del peace-keeping.
Questo aspetto delle realizzazioni politiche di Gandhi non e' mai stato
sufficientemente compreso e valorizzato in Occidente: la costituzione di un
"esercito della pace", lo Shanti Sena, e' capace di una azione di
interposizione non armata e nonviolenta nei conflitti locali o
internazionali, nella triplice inseparabile funzione di peacemaking
(mediazione e riconciliazione tra le parti), peacekeeping (mantenimento
della pace) e peacebuilding (costruzione della pace secondo giustizia).
L'idea dello Shanti Sena risale ai tempi del suo soggiorno in Sud Africa
(1913); fu poi ripresa fattivamente negli anni '20 e '30 nel corso delle
agitazioni sociali in India e della celebre marcia del sale verso le spiagge
di Dandi; fu sviluppata da Ghaffar Khan, su impulso di Gandhi, con la
realizzazione di un vero esercito addestrato all'uso delle tecniche della
nonviolenza, composto da oltre centomila pathan, le impavide tribu' della
regione di frontiera nord-occidentale (tra l'attuale Pakistan e
l'Afghanistan); fino a concretizzarsi nell'azione di riconciliazione di
fronte agli scontri scoppiati tra indu' e musulmani negli anni '46-'47,
durante la fase finale dell'indipendenza dell'India.
Il progetto di un "esercito della pace" rientra nel programma gandhiano di
lavoro costruttivo: la pace si realizza avviando dal basso, con la
partecipazione popolare dei villaggi, un modello di sviluppo "verde"
orientato a soddisfare i bisogni umani fondamentali (chiamato sarvodaya,
cioe' il benessere per tutti, nessuno escluso), e promovendo campagne di
satyagraha (letteralmente il potere della verita') per attivare strutture
funzionali di difesa e di mantenimento della pace con mezzi nonviolenti
alternativi agli eserciti in armi.
Di fronte alla constatazione che "il tentativo di imporre la pace con la
forza (peace enforcement) puo' estendere e prolungare il conflitto,
piuttosto che ridurlo", appare evidente che la gestione del conflitto e il
mantenimento della pace non possono essere lasciati in mano ai militari.
Ispirato da Gandhi, un gruppo di pacifisti inglesi, guidato da Maude Royden
(una leader del movimento delle suffragette inglesi), gia' nel '32 formulo'
pubblicamente una proposta indirizzata alla Lega delle Nazioni, pubblicata
sul "Daily Express" del 25 febbraio 1932, che chiedeva la costituzione di un
corpo volontario di pacifisti da spedire a Shanghai in funzione di
interposizione nella guerra tra Cina e Giappone.
L'obiettivo di corpi nonviolenti per il mantenimento e la costruzione della
pace si ripropose alla fine della seconda guerra mondiale con la nascita
dell'Onu. La morte violenta subita il 30 gennaio del '48 impedi' a Gandhi di
presiedere l'incontro internazionale per la pace, convocato in India per
l'anno 1949 allo scopo di proporre la costituzione di un "Esercito mondiale
della pace".
Il congresso si svolse ugualmente, tra il dicembre 1949 e il gennaio 1950,
con la partecipazione di delegati provenienti da tutto il mondo, riunitisi a
Sevagram intorno a Vinoba Bhave (l'erede spirituale di Gandhi) e Abraham.J.
Muste (leader del movimento nonviolento americano). Da allora l'idea
gandhiana di un intervento nonviolento nei conflitti internazionali non e'
morta, ma si e' sviluppata concretamente, dimostrando tutte le sue
potenzialita' in situazioni anche molto difficili di conflitti cosiddetti
"ostinati, intrattabili e di lunga durata", come, ad esempio, attraverso
l'azione delle Peace Brigade in vari paesi dell'America Latina,
nell'intervento dei pacifisti nel conflitto israeliano-palestinese, con la
spedizione dei "Beati i costruttori di pace" nella ex-Yugoslavia. Insuccessi
e debolezze di questi tentativi non inficiano il valore del progetto di
Gandhi. I limiti e le insufficienze, infatti, potrebbero essere superati in
presenza di un chiaro sostegno internazionale a favore della scelta
nonviolenta nella gestione del peacekeeping e di una forte volonta' politica
che porti all'istituzione dei "Corpi civili di volontari nonviolenti" ( i
cosiddetti Berretti bianchi) operanti sotto l'egida dell'Onu.
*
La proposta gandhiana dello Shanti Sena fu ripresa in Italia da Capitini.
La costituzione di una Internazionale della nonviolenza, caldeggiata fin dai
primi anni del dopoguerra, approdo' alla stesura di un piano articolato per
la nascita di una federazione nonviolenta mondiale, che Capitini presento'
al congresso triennale del WRI (War Resisters' International), svoltosi a
Roma, dal 7 al 12 aprile 1966 (63).
L' idea guida era quella di predisporre e verificare piani di intervento
dell'Internazionale nonviolenta nelle zone calde di maggior conflitto:
programmare azioni nonviolente in Vietnam; azioni nonviolente a carattere
sociale in America Latina; azioni per la liberta' di espressione in Spagna e
Portogallo; azioni per il riconoscimento legale dell'obiezione di coscienza,
l'addestramento alle tecniche della nonviolenza nelle scuole pubbliche,
l'educazione dei popoli alla difesa popolare nonviolenta (64).
Nella direzione di questo cammino verso la mondialita' va collocata la
marcia della pace Perugia-Assisi del 24 settembre 1961. La marcia esprimeva
la convinzione che le grandi questioni del disarmo e della pace debbano
essere affrontate operando "dal basso" con il piu' esteso coinvolgimento
popolare, perche':
"le istituzioni giuridiche (come lo Stato, i tribunali, le Nazioni Unite,
ecc.), utili ancora transitoriamente per superare la tentazione o l'atto
della violenza e che l'umanita' progredendo tende a ridurre specialmente
negli aspetti coercitivi, hanno bisogno di essere sostenute da un grande
movimento generale dal basso, perche' operino veramente per tutti e non al
servizio di gruppi di potenti" (65).
Nei confronti dell'Onu, un esempio culminante di uno sforzo giuridico, che
va scrutato e animato diversamente (66), sarebbe importante attivare una
"Internazionale della nonviolenza" che puo' diventare la forza magnetica che
orienti l'ago delle politiche delle Nazioni Unite (67). Altrimenti senza la
pressione "dal basso" delle popolazioni del mondo, ben si scorge il pericolo
che l'Onu sia portata a fare da alone o da decorazione dell'impero americano
(68):
"una struttura giuridica puo' essere (...) associata alla volonta' di
potenza e di preminenza del proprio sistema ideologico-economico, con una
boria che potrebbe assomigliarsi all'ottusaggine dei romani che, in nome
dell'esser loro i guardiani del mondo, sterminavano i compagni di Spartaco e
davano i cristiani in pasto alle belve" (69).
*
C'e' chi propone un governo mondiale, sotto l'egida dell'Onu democratizzato,
con una sua costituzione e una sua polizia internazionale, ma Capitini non
si appassionava per un tale obiettivo, perche':
"corre il rischio di mantenere la violenza e di appoggiarsi a un impero
vincente, e tutto resta come prima; diminuira' qualche guerra, perche' il
diritto di farla rimane al centro dell'impero, ma e' grave l'inconveniente
che se questo governo mondiale fa ingiustizia, non c'e' scampo" (70).
C'e' bisogno di altro e di ulteriore rispetto a una ricerca di sola
democratizzazione giuridico-amministrativa, anche se questa non va
sottovalutata come punto di arrivo di una maggiore razionalita'
istituzionale. La nonviolenza, comunque, si rivolge a un lavoro diverso e
piu' profondo:
"Le Nazioni Unite, come insieme di sforzi per dominare razionalmente le
situazioni difficili e per provocare continuamente la cooperazione, sono
sostenibili, anche perche' tutte le trasformazioni rivoluzionarie che la
nonviolenza porta, sono sempre il fondamento e l'integrazione di quelle
decisioni razionali e giuridiche che gli uomini prendono, quando esse sono
un bene per tutti. Certo, il nonviolento non si scalda per il governo
mondiale, che potrebbe diventare arbitrario e oppressivo, ma per il
suscitamento di consapevoli e bene orientate moltitudini nonviolente dal
basso" (71).
Capitini apre l'orizzonte delle strategie pacifiste a una prospettiva nuova.
Il vecchio generico pacifismo puntava tutto sul governo mondiale, sullo
sviluppo dell'Onu e del diritto internazionale, la nonviolenza, invece,
propone un lavoro piu' incisivo e di piu' diretta ed esemplare
responsabilita', piu' caratteristico e piu' immediato, meno giuridico e piu'
di coscienza.
Perseguendo obiettivi alti, che ad alcuni possono sembrare utopistici, si
apre la strada a una nuova razionalita', che potra' in futuro ben essere
accolta in leggi migliori e in nuovi istituti internazionali. Come insegna
Parsons, l'istituzionalizzazione dei valori nella norma giuridica e'
l'esito, non coercitivo, di un processo di maturazione culturale e politica
che e' gia' avvenuta nella societa'.
Percio', la nonviolenza non deve cedere alla logica del "male minore", che
e' "teoria non adatta a chi mira ad un rinnovamento profondo. Se Gesu'
Cristo avesse scelto il male minore fra la tradizione giudaica e il
romanesimo, noi non avremmo tanto del bene che abbiamo" (72).
Per la nonviolenza "il fondamentale e' l'apertura all'amore e alla realta'
liberata. Anzi dice il Vangelo: 'Cercate il regno di Dio, e il resto vi
sara' dato in sovrappiu''" (73).
Cercare innanzitutto il regno di Dio significa che il resto (l'efficacia
delle nostre azioni) ci sara' dato in sovrappiu', ci spiega Capitini.
Noi abbiamo potere solo sui mezzi, i fini sono nelle mani di Dio, ci
ammonisce Gandhi.
*
Note
49. Aldo Capitini, La nonviolenza oggi, ora in Opere scelte, vol. I, Scritti
sulla nonviolenza, cit., p. 217.
50. Aldo Capitini, Nonviolenza concreta, in "Azione nonviolenta", ottobre
1968, ora in Opere scelte, vol. I, Scritti sulla nonviolenza, cit., pp.
457-8.
51. Talcott Parsons, op. cit., p. 254.
52. La "Religione civile" e' l'equivalente della "Religione dell'umanita'"
proposta da Auguste Comte. Cfr. R. Bellah, op. cit., pp. 240-1.
53. I Peace Corp erano una emanazione governativa: venivano infatti chiamati
"i figli di Kennedy".
54. R. Bellah, op. cit., pp. 240-1.
55. T. Parsons, op.cit., p. 262. Parsons paragona questo atteggiamento a
quello dei docetisti, una eresia dei primi secoli del cristianesimo.
56. R. Bellah, op. cit., p. 35.
57. Ibidem. Le riflessioni sviluppate in questo scritto da Parsons appaiono
come una formidabile confutazione alla filosofia sottesa alla politica
bellicista dell'attuale amministrazione nord-americana.
58. Ibidem. Parsons, pur essendo di fede evangelica, conclude il suo scritto
riconoscendo nel messaggio di papa Giovanni XXIII l'esempio di questa nuova
religiosita', che puo' favorire la diffusione nel mondo del regno
dell'amore.
59. Si tratta di Bart de Ligt (1883-1938), pacifista anarchico olandese, e
di Vladimir Chertkov (1854-1936), amico e seguace di Tolstoj.
60. M. K. Gandhi, "Young India", 9 maggio1929, ora in M. K. Gandhi, Teoria e
pratica della nonviolenza, Torino, Einaudi, 1973, pp. 115-116.
61. M. K. Gandhi, "Young India", 3 settembre 1925, op. cit., p. 119.
62. Cfr. Thomas Weber, Gandhi's Peace Army. The Shanty Sena and Unarmed
Peacekeeping, New York, Syracuse University Press, 1996.
63. Il 9 aprile 1966 vigilia di Pasqua si svolse a Roma una marcia del
movimento Contro tutte le guerre, il terrorismo, la tortura, dove sfilarono
i partecipanti al congresso della WRI. Al termine presero la parola Aldo
Capitini e alcuni rappresentanti internazionali degli obiettori di
coscienza, degli studenti neri nonviolenti nord-americani, dei buddisti
vietnamiti.
64. Cfr. Aldo Capitini, Per una internazionale della nonviolenza, in "Azione
nonviolenta", febbraio-marzo 1966, ora in Opere scelte, vol. I, Scritti
sulla nonviolenza, Perugia, Protagon,1992, pp. 397-8.
65. Aldo Capitini, La nonviolenza oggi, Milano, Comunita', 1962, ora in
Opere scelte, vol. I, Scritti sulla nonviolenza, cit., p. 215.
66. Ivi, p. 143.
67. Cfr. ivi, p. 144.
68. Ivi, p. 143.
69. Ibidem.
70. Aldo Capitini, Religione aperta,, prima edizione Parma, Guanda, 1955,
seconda edizione Vicenza, Neri Pozza, 1964, p. 151.
71. Aldo Capitini, Ragioni della nonviolenza, in "Azione nonviolenta",
agosto-settembre 1968, ora in Opere scelte, vol. I, Scritti sulla
nonviolenza, cit., p. 454.
72. Aldo Capitini, La nonviolenza oggi, op. cit., p. 210.
73. Aldo Capitini, Il potere di tutti, Firenze, La Nuova Italia, 1969, p.
307.

5. LIBRI. TRE NOTE SU "DONNE DISARMANTI" DI MARIA G. DI RIENZO E MONICA
LANFRANCO
Non crediamo ci faccia velo l'amicizia con le due autrici e curatrici (anche
curatrici, perche' il libro ospita oltre i loro testi anche contributi di
Vandana Shiva, Starhawk, Tiziana Plebani, Lidia Menapace, Rosangela Pesenti,
Imma Barbarossa, Dawn Peterson, Luisa Morgantini, Giancarla Codrignani) se
affermiamo che questo libro (Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura
di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003, pp. 290, euro 13;
per richieste alla case editrice: tel. 081290988, o anche 081290720, e-mail:
awander at tin.it, sito: www.intramoenia.it) ha un'importanza fondamentale
nello spazio pubblico italiano.
Primo: perche' vi si tematizza una convinzione che e' anche di questo
foglio: che il pensiero e la prassi, i vissuti e il discorso, l'agire e
l'elaborare, il prendersi cura e il prendere parola del movimento, del
pensiero e delle pratiche delle donne (nelle loro molteplici e assai
variegate espressioni) e' l'esperienza decisiva e trainante della
nonviolenza in cammino.
Secondo: perche' il pensiero delle donne nel corso degli ultimi cent'anni ha
elaborato tutto cio' che di decisivo per l'umanita' e' stato pensato. Certo,
ci sono stati nel Novecento anche pensatori maschi che molto ammiriamo: ma
sono state delle donne a pensare e dire, e concretamente testimoniare e
agire, tutto cio' che sentiamo essere decisivo per l'umanita' intera nella
distretta in cui ci troviamo: da Virginia Woolf a Simone Weil, da Etty
Hillesum a Hannah Arendt, da Edith Stein a Maria Zambrano, da Rosa Luxemburg
a Simone de Beauvoir, da Carla Lonzi a Germaine Greer, da Helene Cixous ad
Adrienne Rich, da Luce Irigaray a Rigoberta Menchu', da Susan George a
Vandana Shiva, da Assia Djebar a Wangari Maathai.
Terzo: perche' crediamo che l'unico programma politico che oggi ci
sentiremmo di sottoscrivere toto corde e' quello lasciatoci da Virginia
Woolf con le Tre ghinee: con la decisiva rivelazione del nesso che lega
patriarcato, fascismo e guerra, e con quella proposta che troviamo luminosa
e folgorante della "societa' delle estranee".
Poi, certo, del libro di Maria G. Di Rienzo e di Monica Lanfranco ci piace
anche trovarvi i nomi di persone amiche e maestre care, ci piace il
prendersi cura anche del che fare qui e adesso, ci piace la sua
articolazione e apertura: consapevoli come sono le autrici che la
nonviolenza investe molti e diversi campi del nostro convivere e
confliggere, consistere e sentire, cercare e trovare; e consapevoli come
sono anche che la nonviolenza e' un cantiere sempre aperto, e che esistono
tante percezioni ed interpretazioni e pratiche della nonviolenza quante sono
le persone che si accostano ad essa, ognuna portando la sua sensibilita', la
sua riflessione, le esperienze sue proprie.

6. MATERIALI. COME PARLARE SENZA FARSI DEL MALE
[Il testo seguente e' la "scaletta" degli argomenti su cui si e' articolato
l'incontro del 20 dicembre 2004 del corso di educazione alla pace del liceo
scientifico di Orte (Vt), incontro dedicato al tema "Come parlare senza
farsi del male". Forse puo' non essere disutile pubblicarla qui, sia pur
nella sua estrema schematicita' di testo la cui unica funzione era di
promemoria a supporto del ragionamento svolto nel vivo conversare]

- sentirsi
- sentire gli altri
- ascoltare
- comunicare
*
- il pudore
- il volto
- lo sguardo
- la voce, la musica, il silenzio
- il corpo
*
- respirare
- l'attenzione
- la lentezza, la profondita'
*
- la relazione interpersonale
- ermeneutica, maieutica, dialogica, cooperativa
*
- struttura della comunicazione
- emittente, ricevente, feedback
- messaggio, contenuto, relazione, veicolo (medium), codice
- parlare e ascoltare
- comunicare, agire, interagire
- le ambiguita' del linguaggio
- la necessita' di dire la verita'
- il punto di vista dell'altro
- interpretazione e cooperazione
*
- coscienza, ragione, emozioni, esistenza
- pensiero e linguaggio
*
- oralita' e scrittura
- la retorica classica: inventio, dispositio, elocutio, memoria, actio
*
- informazione, chiarezza, ridondanza
*
- esercitazioni: alla lettura, al canto, al conversare, all'ascolto

7. RILETTURE. FRANCO RESTAINO, ADRIANA CAVARERO: LE FILOSOFIE FEMMINISTE
Franco Restaino, Adriana Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia, Torino
1999, pp. 260, lire 22.000. Ai due ampi e impegnati saggi di inquadramento
scritti dai curatori (pp. 9-164), fa seguito (pp. 167-251) una sintetica ma
incisiva e rappresentativa antologia di autrici particolarmente rilevanti
(Mary Wollstonecraft, Virginia Woolf, Simone de Beauvoir, Betty Friedan,
Kate Millett, Shulamith Firestone, Anne Koedt, Susan Brownmiller, Juliet
Mitchell, Nancy Chodorow, Carol Gilligan, Luce Irigaray, Helene Cixous,
Julia Kristeva, Carla Lonzi, Luisa Muraro, Adriana Cavarero, Adrienne Rich,
Donna Haraway, Rosi Braidotti, Judith Butler, Christine Battersby); utile
anche la bibliografia alle pp. 253-259.

8. RILETTURE. WANDA TOMMASI: I FILOSOFI E LE DONNE
Wanda Tommasi, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia
della filosofia, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001, pp. 272, euro 18,07. Una
ricostruzione della storia della riflessione filosofica occidentale
utilizzando gli strumenti euristici del pensiero della differenza, una
ricognizione di grande efficacia disvelatrice, un libro da utilizzare nelle
scuole. L'autrice, come e' noto, fa parte della comunita' filosofica
femminile "Diotima".

9. RILETTURE. CHIARA ZAMBONI: LA FILOSOFIA DONNA
Chiara Zamboni, La filosofia donna. Percorsi di pensiero femminile, Demetra,
Colognola ai Colli (Vr) 1997, pp. 160, lire 14.000. Alcune grandi pensatrici
dal medioevo ad oggi, i cui ritratti l'autrice ricostruisce con grande
finezza in sei capitoli (Uno sguardo diverso; Vita attiva e vita
contemplativa - Trotula de Ruggiero, Ildegarda di Bingen, Margherita
Porete -; Le dame francesi del Seicento; Ad occhi aperti - Simone Weil,
Hannah Arendt -; Femminismo e psicoanalisi - Luce Irigaray, Julia
Kristeva -; Lavori in corso), con una utile bibliografia. Anche Chiara
Zamboni collabora alla comunita' filosofica femminile "Diotima".

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 785 del 21 dicembre 2004

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